(Es)cogito, ergo sumMohamed, il bracciante senza nome che non trova spazio sui giornali

Sui giornali in edicola ieri mattina, di Mohamed non c’è quasi traccia. A parlarne solo i giornali locali e Il fatto quotidiano. Sulle altre testate, neanche un trafiletto di poche righe racconta ...

Sui giornali in edicola ieri mattina, di Mohamed non c’è quasi traccia. A parlarne solo i giornali locali e Il fatto quotidiano. Sulle altre testate, neanche un trafiletto di poche righe racconta il triste epilogo della vita del bracciante sudanese morto martedì mattina, probabilmente a causa di un infarto, mentre era al lavoro nei campi di Nardò, nel leccese, a raccogliere pomodori.

Subito dopo il fatto, nei giornali online che ne riportavano la notizia, solo un paio parlavano di lui chiamandolo per nome, per gli altri non era altro che ‘uno del Sudan’, come se la nazionalità bastasse a definirne l’identità.

Sembra irrilevante, ma dare il nome a chi un nome lo aveva, è il requisito minimo di dignità da restituire ad ogni essere umano. E’ grazie a quell’insieme di lettere e vocali che ci contraddistingue fin dalla nascita, la cosa che ci impedisce dall’essere semplicemente dei numeri.

Per questa ragione, leggere decine di articoli che raccontavano il triste epilogo della breve vita di quest’uomo africano venuto dal Sudan per trovare fortuna in Italia, con un regolare permesso di soggiorno, senza mai menzionarne il nome, lascia un’amarezza particolare. Mohamed non aveva un contratto di lavoro regolare, probabilmente lavorava sotto il sole cocente per un numero massacrante di ore senza avere la possibilità di fermarsi per bere un bicchiere d’acqua. Come racconta qualcuno, si era già sentito male il giorno prima di morire, accasciandosi, ma poi riprendendo subito a lavorare, per paura di essere mandato via.

Sappiamo poco di Mohamed, non sappiamo quali fossero i suoi pensieri, le sue speranze, le sue paure. Possiamo solo ipotizzare che avesse avuto coraggio a lasciare la sua terra d’origine e trasferirsi in Italia e per non spaventarsi alle avvisaglie di quel malessere fisico che, solo dopo qualche ora, lo avrebbe ucciso in pochi minuti.

Ma soprattutto sappiamo che aveva un nome, che usava, come tutti noi,  ome biglietto d’ingresso nel mondo e con cui coloro che lo amavano lo chiamavano.
 

Adesso che Mohamed non c’è più, non possiamo fare molto per lui. Una cosa però gliela dobbiamo, per la sua e la nostra dignità: chiamarlo per nome e provare a raccontare la sua vera storia.
 

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