Un rapporto pubblicato dall’Atlantic Initiative e curato da due esperti, Vlado Azinovic e Muhamed Jusic, descrive il fenomeno foreign fighters islamisti che hanno fatto ritorno in Bosnia Erzegovina dopo aver combattuto in Iraq e Siria. Il documento, che si propone di essere “la prima analisi completa sul fenomeno” è disponibile a questo indirizzo (in inglese). Esaminarlo può essere utile anche per cercare di affrontare un problema reale – la presenza di elementi integralisti radicali del Paese – senza i consueti pregiudizi ideologici.
(Abdullah Ramo Pazara, un bosniaco morto nelle fila dell’ISIS nel 2014. Durante la guerra degli anni novanta aveva combattuto come volontario … per l’esercito dei Serbi di Bosnia)
PER QUALE MOTIVO I RIENTRANTI SONO PERICOLOSI. Viene spiegato nell’introduzione al documento: “i foreign fighters bosniaci che da Iraq e Siria fanno ritorno nel Paese sono una minaccia diretta alla sicurezza della Bosnia Erzegovina e di tutta la regione. Possono appartenere a network radicali, o possono stabilirne di nuovi; la loro presenza può provocare effetti duraturi nella società bosniaca, perché potrebbero mettere in discussione la leadership esistente nelle comunità d’origine e diventare dei modelli per i più giovani”. A fronte di questa minaccia bisognerebbe creare “una contro-narrazione”, ma finora – stimano i due ricercatori – “non è stato fatto alcuno sforzo in questo senso”.
I DATI. Nel calcolare quanti cittadini bosniaci siano partiti per l’Iraq o la Siria, gli autori lamentano “la mancanza di un database solido e unitario” che contenga i dati di queste persone. In molti casi, ci si deve basare su voci e su informazioni di seconda o terza mano, e spesso non si sa nemmeno se un dato individuo sia nel paese oppure si trovi all’estero. Un altro problema è che un buon numero di cittadini bosniaci, che sono cioè in possesso della cittadinanza, non vivono in Bosnia Erzegovina. Inoltre, la struttura complicata e decentralizzata della polizia bosniaca (con 22 agenzie totali) non semplifica certo la circolazione di informazioni.
Secondo le statistiche rese note dai ricercatori, dalla primavera del 2012 alla fine del 2014 un totale di 192 cittadini bosniaci adulti (156 maschi e 36 donne) e 25 bambini sono partiti dalla Bosnia Erzegovina e da altri paesi.
“Se si considera che la popolazione bosniaca è di circa 3,8 milioni di persone, il paese ha in proporzione uno dei più elevati contingenti di FF in Europa – tenendo conto dei soli maschi, si parla di 41 FF per un milione di residenti”. Nello stesso periodo, i ritornati dalla Siria e dall’Iraq in Bosnia Erzegovina sono 48 uomini e 32 donne. Le vittime bosniache in Siria e Iraq sono 26, tra le quali una donna. Principalmente sono morte in scontri interni tra il fronte Al-Nusra e le brigate dell’ISIS.
IL TREND E LE CARATTERISTICHE DEL FENOMENO. All’inizio, nel 2012, le partenze erano motivate principalmente da “motivazioni umanitarie”. Nel corso del 2013 le cose cambiano e si cominciano a richiedere ex combattenti. L’anno di maggiore affluenza di cittadini bosniaci è il 2013 (114 casi). Spesso si tratta di persone che vanno e vengono, magari solo per qualche mese. In alcuni casi, i combattenti partono soli per poi ritornare in Bosnia Erzegovina e sposarsi, e quindi fare di nuovo rotta verso la Siria portandosi appresso tutta la famiglia. Nel 2014 le partenze si sono ridotte, come effetto di più fattori (non ultimo il fatto che le autorità bosniache hanno approvato una legge che rende penalmente perseguibili i FF). Ma la differenza è che ora, secondo il documento, chi decide di partire lo fa per restare.
LA VITA IN SIRIA E IN IRAQ. Chi è andato in Siria e Iraq per combattere (anche se il rapporto mette in luce il fatto che “in alcuni casi chi è partito lo ha fatto non per arruolarsi, ma semplicemente per vivere in una società dove sarebbero stati liberi di professare le proprie convinzioni”) spesso si è trovato a far fronte a gravi carenze organizzative. Soprattutto nel corso del 2013 i bosniaci giunti in Siria non si premuravano di scegliere in quale formazione arruolarsi (proprio per questa ragione in molti si sono trovati da entrambe le parti della barricata durante gli scontri tra Al Nusra e ISIS). La paga mensile si aggirava tra i 50 e i 100 dollari, con la possibilità di rivendere le armi rubate al nemico per arrotondare il proprio salario.
IL JIHADISTA BOSNIACO. L’età media dei jihadisti bosniaci è di 32 anni, secondo il rapporto. Si possono individuare chiaramente due categorie generazionali: quelli che oggi hanno circa 40 anni, ex combattenti che combatterono la jihad in Bosnia Erzegovina e che si sono riarmati; e quelli che invece hanno 18-20 anni, spinti alla jihad soprattutto da motivazioni economiche. Per loro, la prima causa resta l’esclusione sociale: si tratta di persone che vivono di espedienti, con un diploma elementare e senza un lavoro (il tasso di disoccupazione giovanile in Bosnia Erzegovina è del 63% ed è il più alto al mondo).
Ad alimentare questo flusso, è anche il contesto sociale e morale bosniaco, che si sta rapidamente deteriorando, e nel quale molti giovani “fanno ricorso alla violenza oppure adottano ideologie retrograde”. A questo proposito è interessante notare che 44 combattenti maschi su 156, quindi circa un terzo del totale, avevano precedenti penali di varia natura.
“Un’analisi della radicalizzazione di questi cittadini bosniaci evidenzia il fatto che il processo spesso avviene attraverso un certo numero di atti condannabili moralmente (adulterio, stupro, violenza domestica, furto) presentati come un imperativo teologico. Nella sostanza, si tratta di un tentativo di introdurre nuove norme in una società che non ne ha più nessuna”. L’alternativa, spiegano gli autori, deve essere prima di tutto ideologica e di valori. Le autorità bosniache hanno introdotto nuove norme per punire i propri FF, ma questo non basta. Occorre dare una risposta morale alla violenza.