Non ho visitato Expo, lo dico subito e molto sinceramente.
Non mi interessava, non è il mio campo. Non credevo al tema e a come veniva presentato. Mi è interessato di più osservare, online, quello che succedeva o che non succedeva. Per queste cose, mi affido spesso alla competenza degli amici di Gilda35, il collettivo dadaista che, senza interessi di parte, se non quelli tutti legati alla “scienza della Rete”, più di una volta ha preso a mazzate il “professionismo di Internet” e cioè il modo nel quale, soprattutto in Italia, si sbaglia tutto nel comunicare online.
Partiamo da una considerazione: qualsiasi grande evento – anzi, più grande è, meglio sarebbe – potrebbe essere finalmente l’occasione per fare quello che in altri Paesi stanno già facendo, e cioè comunicare online sganciandosi dalla presunzione, tutta figlia di quel mondo distorto che è Auditel – e di conseguenza l’abominio di nome Audiweb – che QUANTITA’ sia sinonimo di successo.
L’Expo è stato un successo a livello di accessi in real life? I numeri dicono di sì. Le polemiche riguardo il prezzo del biglietto dimezzato e/o le promozioni per attirare più gente, non mi interessano, e non credo che siano neanche troppo pertinenti: in un’esposizione mondiale, prima o dopo, i numeri ci sono.
Questi accessi hanno qualcosa a che vedere con il fatto che gli scopi dichiarati dell’Expo siano stati raggiunti? Non necessariamente.
Ma la domanda è: quali erano, sono e saranno, gli scopi dell’Expo?
Perché, questa volta, ancora, anche con la più grande occasione a disposizione, online è stato solo un mix di lassismo, informazioni mal gestite e mal distribuite, campagne social non incisive, se non del tutto inesistenti e più interesse al fatto che la prima Expo social della storia divenisse in realtà una Expo “selfie-oriented” o “meme-oriented”.
Il dato che presento qui non è il più aggiornato, mi aspetto che, a ceneri posate, ci saranno altri dati da analizzare e sui quali ragionare, ma non credo che il trend sarà difforme, proprio perché non c’è stata alcuna cura comunicativa online, per evitare non dico che certi fenomieni inutilmente “dopanti” non ci fossero, perché è impossibile, ma che fossero così numericamente predominanti.
Il 1 Settembre 2015 Gilda35 pubblica un’analisi dei big data riguardo i primi 130 giorni di Expo sui canali social, tramite l’analisi dell’hashtag #Expo2015. I risultati, sono contenuti nel seguente tweet:
https://twitter.com/Gilda35/status/638756755711873024
1.040.205 tweet generati da 176.517 utenti. Di questi, 607.299, più del doppio, sono retweet, quindi contenuti replicati e ridondanti. Ma la cosa interessante, è che gli utenti con maggiore attività di tweet e retweet, sono dei bot, con all’attivo anche più di 100mila pezzi ciascuno. Inoltre, gli orari indicano che la stragrande maggioranza di questa attività avviene in orario di ufficio, quindi parliamo di account legati ad attività professionali, forse anche “ingaggiati” all’uopo. In un altro tweet, abbiamo un elenco dei singoli utenti maggiormente attivi:
107.731 @Businewss_Bot
56.345 @PCM_Expo2015
25.037 @expo_Milano2015
24.867 @4expo
16.911 @TuttoExpo2015
Elenco, questo, da unire alla classifica delle Top Apps utilizzate per generare questi tweet, reperibile in questo cinguettio: molti strumenti “professionali” per l’automazione di tweet e retweet, pochi dubbi sul modo nel quale siano stati utilizzati.
Esattamente come era successo per altri grossi eventi comunicati online da quando i media tradizionali hanno riconosciuto un ruolo all’ambiente social, questi numeri, ad analizzarli freddamente, fanno nascere naturale una domanda: ma queste attività, fanno parte di una precisa strategia di comunicazione? Se sì, quanto è costata? E inoltre: quali sono i ritorni di questo tipo di assurdo investimento?
Assurdo perché, lo possiamo notare tutti, non c’è stata una singola campagna web/social memorabile, riconducibile all’organizzazione ufficiale di Expo 2015, quindi quello che ci si chiede come utenti, contributori e analisti di questo media che continuiamo a chiamare “nuovo” ma ci ostiniamo a maltrattare è: è possibile che tutta la comunicazione ufficiale online continui ad appoggiarsi sull’assunto che la quantità replicata, il “buzz” senza capo né coda, la copia della copia della copia della copia sia il modo corretto di usare i social media?
Quello che ancora pare non chiaro, ma che in Italia ancora pare avere un mercato, è che il numero di interazioni di un hashtag è un parametro assolutamente vuoto, inutile di per sé. C’è il sospetto, analizzando numeri e orari, che invece ci sia chi questa vuotezza la vende e, ancora peggio, chi questa vuotezza la comperi, per poi riempire slide e redazionali.
Se si volesse quindi fare un’analisi qualitativa, quello che i markettari chiamano “sentiment” della Rete, sarebbe possibile? La risposta è no, perché chi è responsabile dell’evento, per primo non prende le distanze da questi account automatici, che si ritwittano a vicenda.
In questo senso, ho letto con reale stupore l’articolo di Gianni Riotta su La Stampa, che prende i risultati di un’analisi sul “sentiment” riguardo Expo, e li considera sufficienti per dire che “il web premia Expo 2015 Milano“. Lo stupore è dato, in primo luogo, dal fatto di non avere uno straccio di riferimento riguardo lo studio che sostiene questi dati: nell’articolo cita “l’analisi compiuta in questi mesi da Catchy, Alkemy Lab, ONB Analytics e DTOK Lab nell’ambito del progetto Smart Culture“, ma non è possibile trovare alcun riferimento a questo studio, ai metodi utilizzati per misurare il “sentiment” delle discussioni online e quali account siano stati inclusi ed esclusi dal monitoraggio; in secondo luogo, la mancanza di riferimenti diviene maggiormente grave quando sappiamo – per certo, dati i numeri che ho esposto sopra – come il “mercato” degli hashtag e del sentiment online sia drogato dalle botnet e dagli algoritmi di replica e rimbalzo dei contenuti.
Se Expo fosse un evento privato, la cosa non sarebbe poi così grave, è giusto che ognuno se la canti e se la suoni come vuole, se vuole, ma trattandosi di un evento pubblico, di proprietà dello Stato Italiano, il minimo che si debba e possa pretendere sono dati Open: in un ambiente di dati drogati, è semplicissimo, davvero semplicissimo, stabilire un obiettivo e poi, con i numeri in mano, tracciare precisamente la strada verso quell’obiettivo.
La scienza invece impone un percorso diverso: si presentano, pubblicamente, tutti i dati; quindi si fanno le analisi, dichiarando i criteri; poi si leggono i risultati.
Per questo sarebbe davvero importante che un grosso evento, un giorno, si affidasse alla scienza e non alle società di marketing, per segare definitivamente le gambe al doping dei Big Data: solo depotenziando e rendendo inutili certe pratiche, si potranno inaugurare pratiche di comunicazione più efficienti e anche più penetranti.
Ma sono sicuro, viste anche le pre-analisi di Gilda35, che prima o poi avremo dati indipendenti e completi da analizzare e di cui parlare.
Non mancherò di farlo, personalmente, qualsiasi cosa dicano quei dati.