Solo alcune settimane fa un editoriale di Guido Vaciago aveva catturato la nostra attenzione all’indomani dello scontro tra due tra le più eleganti signore del calcio, la Juventus ed il Milan. Un’agrodolce pagina di riflessione su cosa sia divenuto lo sport in Italia con il passare degli anni e, soprattutto, il calcio: “La Lega, da strumento di governo, si è trasformata in strumento di litigiosa spartizione delle risorse scadendo a livello di assemblea di condominio, la Figc ha navigato a vista, troppo impegnata a mantenere gli equilibri interni per permettersi il lusso di prendere decisioni. E così si è giocato, giornata dopo giornata, facendo finta di niente, senza neppure il pudore di rattoppare stadi che da semplicemente brutti e inefficienti sono pure diventati pure pericolosi. Solo la Juventus e l’Udinese, hanno costruito uno stadio moderno investendo parte di quei soldi che, comunque, il calcio italiano ha continuato a incassare”.
Amministrazioni comunali e società, infatti, a parte alcune fortunate eccezioni, sembrano non avere alcuna intenzione d’investire in progetti a lungo termine di riqualificazione o di costruzione ex novo di strutture sportive, perdendo così di fatto un’occasione di ritorni significativi in termini economici, di visibilità e di riconoscibilità del proprio brand. Stadi ben progettati, accessibili, atti a rivalutare in particolar modo le zone periferiche ed in grado di ospitare anche attività collaterali extrasportive (concerti, eventi e manifestazioni) possono senza dubbio diventare un polo all’interno della città, ambire a rappresentare un luogo d’aggregazione per un intero quartiere e contribuire a valorizzare le aree in cui sono inseriti. Uno studio inglese, infatti, mostra che il valore degli immobili che si trovano in un raggio di 5 km intorno all’Emirates Stadium dell’Arsenal o al rinnovato stadio di Wembley è aumentato mediamente del 15% da quando queste infrastrutture sono state realizzate.
In Italia negli ultimi anni, invece, la volontà è sempre stata quella di vivere di rendita. Eppure, anche se non dovremmo essere noi a ricordarlo, la dimensione sportiva di una città determina la qualità della vita dei suoi stessi cittadini (basti pensare all’occupazione che potrebbe essere generata). Non solo, come ricorda anche Marco Bellinazzo, autore di “Goal economy“: “Altro aspetto da non sottovalutare è la possibilità di riqualificare urbanisticamente le aree intorno allo stadio, dando la facoltà a una società costituita da privati e club di costruire abitazioni civili e uffici nelle aree circostanti e dai ricavi finanziare l’area sportiva”. Anche se, è bene ricordarlo, nella legge di stabilità 2014 è stato escluso che tra le misure compensative che i Comuni possono concedere ai privati, affinché finanzino i club, ci potesse essere l’edilizia residenziale, depotenziando un intervento legislativo atteso da anni.
A sostegno di un investimento, però, il Governo sembrebbe aver finalmente lanciato un segnale positivo incentivando i Comuni: sono stati infatti stanziati 100 milioni di euro per la realizzazione di impianti sportivi nelle periferie delle città italiane (20 milioni nel 2015, 50 milioni di euro nel 2016 e 30 milioni di euro nel 2017). A muovere le fila di questi finanziamenti, Palazzo Chigi di concerto con il Comitato Olimpico Italiano, come previsto dal Decreto Legge del 25 novembre 2015 n. 185, “Misure urgenti per interventi nel territorio”.
Particolarmente interessante l’articolo 15 dello stesso Decreto, “Misure urgenti per la realizzazione di impianti sportivi nelle periferie urbane”, grazie all’istituzione del Fondo Sport e Periferie: ecco come, quindi, il potenziamento dell’attività sportiva agonistica e la comunicazione della cultura dello sport passano finalmente attraverso l’incentivazione e la riqualificazione delle strutture in zone svantaggiate e periferiche. Nello specifico, il Fondo sarà finalizzato, quindi, “alla ricognizione degli impianti sportivi esistenti sul territorio nazionale; alla realizzazione e rigenerazione di impianti sportivi con destinazione all’attività agonistica nazionale, localizzati nelle aree svantaggiate del Paese e nelle periferie urbane e diffusione di attrezzature sportive nelle stesse aree, con l’obiettivo di rimuovere gli squilibri economici e sociali ivi esistenti; al completamento ed adeguamento di impianti sportivi esistenti, con destinazione all’attività agonistica nazionale e internazionale”.
Precursore il comune di Bari, sotto l’amministrazione del Sindaco Antonio Decaro, come spiegato in esclusiva ai microfoni di Radio 103 dall’Assessore allo Sport e all’Ambiente, Pietro Petruzzelli, nel corso della trasmissione sportiva “103′ minuto”: «Alcuni mesi fa abbiamo candidato la riqualificazione del campo “Mirko Variato” e del “Bellavista” al credito sportivo ed entrambe le domande dovrebbero essere state accettate. A Bari – ha poi concluso l’Assessore – c’è una dotazione impiantistica importante. Il problema, che caratterizza un po’ tutta l’Italia, è che spesso gli impianti non sono stati realizzati in maniera polifunzionale per poter essere utilizzati da più discipline. La nostra amministrazione, a partire dall’anno prossimo, vuole desportivizzare lo sport portandolo fuori dagli impianti e, quindi, per strada, installando ad esempio degli attrezzi ginnici nei parchi e nelle piazze». Lo sport, quindi, come comune denominatore della qualità della vita di tutti noi cittadini. Uno strumento di partecipazione orizzontale, capace di donare nuova luce ad aree dimenticate dei nostri quartieri e riportarci al significato più autentico della parola: citando il tennista Gonzales, “C’è un circolo virtuoso nello sport: più ti diverti più ti alleni; più ti alleni più migliori; più migliori più ti diverti“.