Punti di vistaQuando di Pino Daniele. Piccole giaculatorie del cuore umano

Un anno fa moriva Pino Daniele. Per l’occasione sono andato a riascoltare Quando, scritta per il film di Massimo Troisi Pensavo fosse amore…invece era un calesse. Poi ho provato ad analizzarla, più...

Un anno fa moriva Pino Daniele. Per l’occasione sono andato a riascoltare Quando, scritta per il film di Massimo Troisi Pensavo fosse amore…invece era un calesse. Poi ho provato ad analizzarla, più o meno come si fa a scuola con le poesie. Naturalmente non ci sono riuscito.

E allora ho cercato parole. Così, confusamente, parole che le stessero bene, e mi è venuto un aggettivo: “inafferrabile”. Non la afferri mai, questa canzone: non racconta una storia, non esprime un contenuto unitario, non ha un inizio né una fine. Non ha logica, forse.

Ho sentito e risentito quei versi per giungere a una conclusione: non è una sola canzone, neppure tante strofe, sono versi tra loro separati. Sono tante piccole giaculatorie del cuore umano. Giaculatoria è una preghiera semplice, parole brevissime e in sé concluse, gettiti (il verbo d’origine iaceo indica proprio questo) d’animo: preghiera (desiderio, domanda) gettata (iaceo) in cielo come una saetta (iaculum).

Sono gettati lì, i versi di Pino Daniele. In sé conclusi, separati.

Tu dimmi quando quando? Dove sono i tuoi occhi e la tua bocca. Forse in Africa… che importa?

Sono domande chiare, logiche, il dove e il quando. Ma la risposta non c’è. Anzi, il che importa quasi la svaluta.

Tu dimmi quando quando, dove sono le tue mani ed il tuo naso. Verso un giorno disperato…

Una risposta, quando non l’aspetteresti più, però arriva (verso un giorno disperato), ma getta un velo di malinconia.

Poi però c’è la svolta, c’è l’avversativa, sempre potentissima in poesia (come ben sapeva Leopardi), che introduce il verso più bello, il vero cuore, il vero “ritornello” (non musicale) della canzone:

Ma io ho sete, ho sete ancora”.

E’ la sete il centro, il desiderio. Di cosa? C’è un’altra giaculatoria più avanti, un’altra frase-verso in sé conclusa, che sembra rispondere alla domanda.

Siamo angeli che cercano un sorriso.

Quale sorriso? Metaforico? Celeste? Astratto? No, è concretissimo, riguarda un tu.

“Non nascondere il tuo viso, perché ho sete, ho sete ancora”.

C’è poi, più avanti, un’altra bellissima e inafferrabile giaculatoria:

Chi vuole un figlio non insiste.

Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, mentre la eseguiva in un concerto, ebbe a dire: “La frase più bella mai scritta in una canzone“. Cosa significa? Non so. Forse – ci provo – che per i grandi desideri è richiesto un quid di pazienza, tatto, delicatezza, attesa. Non di cinica determinazione. Insomma, non si insiste.

Parlavo dell’inafferrabilità del testo. C’è un verso che paradossalmente ne parla, la esprime tutta. Lo saiche non ti avrò

Ma poi, anzi e poi (non c’è l’avversativa, c’è la copulativa)…

lo sai che non ti avrò e sul tuo viso, sta per nascere un sorriso.

Lo sai che non ti avrò. Eppure (non c’è la logica, le emozioni spesso non ne hanno) l’inafferabilità non frena il desiderio. ..

E vivrò, sì vivrò tutto il giorno per vederti andare via / fra i ricordi e questa strana pazzia /e il paradiso, che non esiste /chi vuole un figlio non insiste.

Non è vinta la speranza, anzi. E l’ultimo verso, infatti, la riafferma: E io ho sete, ho sete ancora. Questa volta non c’è più l’avversativa ma, come prima, ma la copulativa e.

Come è bello guardare il video in cui Troisi la ascolta per la prima volta: non la afferra neppure lui ma si vede bene che già la ama.

Conclusione? La indirizzo alla canzone con i suoi stessi versi. Io lo so che non ti avrò, non ti capirò, ma ho sete, ho sete ancora. Non ti fai afferrare dalla logica interpretativa, ma hai un effetto: la sete aumenta. Pino ti ha scritta per questo. Aumenti la sete. E non chiudi le domande. Dove? E quando?

Quando, quando, quando?