Se dovessi indicare un elemento positivo nel decreto legge sulla riforma del Credito Cooperativo direi che il provvedimento del Governo ha funzionato meravigliosamente bene come cartina di tornasole. Il giorno dopo che se ne è avuta notizia, infatti, è stato chiaro a tutti dove stessero i veri e dove i falsi cooperatori.
Cosa c’è del vero spirito cooperativo in chi pensa a costituire una Spa, anche attraverso lo scorporo dell’attività bancaria, non appena intravede una possibilità di uscita?
Del resto, come chiamereste voi le banche che hanno applaudito la clausola del way out, per come è prospettata dal documento, ossia con una soglia d’imposta del 20%? Cosa c’è del vero spirito cooperativo in chi pensa a costituire una Spa, anche attraverso lo scorporo dell’attività bancaria, non appena intravede una possibilità di uscita? Non si tratta soltanto di cancellare con un colpo di spugna la propria storia –il che, comunque, non è cosa da poco–, ma anche di immaginare un futuro che con la cooperazione non vuole avere più nulla a che spartire. E questo come se la cooperazione fosse cosa antiquata, inadatta ai tempi. Forse gli anni che ci siamo appena lasciati alle spalle, anni veramente duri, non hanno insegnato nulla. Sono stati anni in cui la cooperazione ha dimostrato di non essere un dinosauro, anzi. Ha dimostrato come mettere a fattor comune risorse e capacità sia una strada per fronteggiare le difficoltà e, soprattutto, per provare a uscirne tutti insieme. È stata una risposta, quella cooperativa, dal basso. Ha dato i suoi risultati.
il cambiamento sociale non ci è ‘concesso’ dall’alto dalle Istituzioni ma realizzato dal basso da noi.
Leonardo Becchetti
A ognuno le sue considerazioni; a me sono piaciute quelle dell’economista Leonardo Becchetti sul proprio blog. Facendo un parallelo fra salute dell’organismo e benessere delle comunità locali, Becchetti scrive che queste ultime “sono organismi che respirano e vivono in salute in proporzione alla loro capacità di costruire e realizzare opere dal basso che producono fiducia e speranza nella possibilità di migliorare le proprie condizioni”. Secondo tale principio il cambiamento sociale non ci è ‘concesso’ dall’alto dalle Istituzioni ma realizzato dal basso da noi. Becchetti individua “una sorta di correlazione inversa nei territori tra capacità delle comunità di autorganizzarsi e livello di vittimismo”, individuato come il peggior nemico, e ricorda che già secoli fa Tocqueville osservava una differenza tra i Neonati Stati Uniti e la vecchia Europa. Quando, nel Nuovo Mondo, nasceva un problema i cittadini si organizzavano in associazioni per cercare di risolverlo; in Europa bussavano alla porta del vescovo o del principe per chiedere che fosse risolto. E questo fa tutta la differenza.
La cooperazione è precisamente l’atteggiamento proattivo di chi si chiede cosa è in suo potere di fare per risolvere un problema comune, contrapposto a un modello dove c’è chi decide e chi, volente o nolente, subisce queste scelte
La cooperazione è precisamente l’atteggiamento proattivo di chi si chiede cosa è in suo potere di fare per risolvere un problema comune, contrapposto a un modello dove c’è chi decide e chi, volente o nolente, subisce queste scelte. Tornando ai giorni nostri, indiscrezioni sui primi passi dell’iter parlamentare del decreto parlano di minimi interventi; ergo non sembra, al momento, che quel tipo di way out sia in discussione. Io resto ottimista fino all’ultimo, ma so bene che sono tanti a preferire l’uomo solo al comando alla democrazia economica rappresentata delle BCC. E purtroppo non mancano anche fra chi, a parole, si professa cooperatore.