Gli uffici sono dei piccoli microcosmi all’apparenza familiari. Ma sappiamo davvero riconoscere chi ci lavora accanto, magari sotto mentite spoglie? Dario Solera ha preparato un pratico prontuario per stanare ogni lavoratore-tipo. Dopo l’insabbiatore, il delegatore, il lercio (che però, in quanto trash, è opera mia), il paraculo, il bestemmiatore, il cialtrone, il giullare, il catastrofista, il masochista, il veneziano, il masticatore seriale, il rompiballe, l’inserviente psicopatico, lo strizzacervelli e il sovversivo, ecco il perfezionista; nella prossima puntata, il nerd.
Il perfezionista di Dario Solera(*)
Perfetto è nemico di fatto.
Ci sono diverse varianti di questo detto, ma a quanto pare la sua prima trascrizione risale al diciassettesimo secolo ed è di origine italiana. In altre parole, va bene fare le cose con la dovuta precisione, ma a un certo punto bisogna concludere. È necessario saper scendere a compromessi, insomma, e consegnare il progetto.
Di solito le cose vanno così: si stabilisce che il progetto durerà N mesi e che Tizio farà X, Caio si occuperà di Y e Sempronio di Z. Il progetto parte e una volta alla settimana si fa una riunione sullo stato di avanzamento. Già dal secondo incontro iniziano a emergere segnali inquietanti di perfezionismo:
Project Manager: “Come va? A che punto siamo?”
Tizio: “Ho finito la prima parte del lavoro, sono più o meno al 20%”.
PM: “OK, molto bene”.
Caio: “Ho incontrato qualche difficoltà e sono un po’ in ritardo, ma dovrei riuscire a recuperare”.
PM: “Quali difficoltà?”
C: “Le specifiche non erano chiare, ho dovuto parlare con l’analista per capire meglio”.
PM: “D’accordo. Fammi sapere se ci sono altri intoppi”.
Sempronio: “Io ho completato il primo modulo”.
PM: “Ma non l’avevi già completato la settimana scorsa?”
S: “Sì, ma l’ho rifatto utilizzando un altro motore per l’interfaccia grafica”.
PM: “Perché?”
S: “Questo è meglio”.
Con l’ultima frase, l’allarme perfezionista scatta. Ogni azienda dovrebbe averne uno, collocato di fianco a quello antincendio.
Il perfezionista ha la capacità di rifare il lavoro più e più volte, finché non è, appunto, perfetto. Ma siccome “perfetto”, nella sua vera sostanza, è un concetto relativo, il soggetto andrà avanti all’infinito, cercando di avvicinarsi sempre di più alla perfezione assoluta e rimanendo prigioniero in un inferno in cui possiamo trovare anche Zenone e i suoi paradossi, in particolare uno che non ha mai reso noto: per completare un progetto è necessario arrivare prima a metà, poi a metà della metà successiva, e così via.
Purtroppo, in ogni gruppo di lavoro c’è un perfezionista – e uno è il massimo tollerabile. Zero sarebbe meglio, ma l’universo ha disposto diversamente. Forse in una dimensione parallela i team non includono neanche un perfezionista, oppure hanno soltanto perfezionisti. Provate a immaginare: l’Homo Sapiens non esisterebbe neppure. Non saremmo stati capaci neanche di accendere il primo fuoco. O meglio, staremmo ancora accendendo il primo fuoco e anzi, l’avremmo acceso così tante volte che sarebbe dell’altezza giusta, alla temperatura corretta e con la migliore resa possibile in base al tipo di legna e al vento. Insomma, perfetto per cuocere la gazzella che staremmo per cacciare – dopo aver affilato la punta della lancia, s’intende. Ancora qualche aggiustamento, giusto un paio…
(*)Dario Solera è un milanese che “lavora coi computer”, anche se in realtà lavora con gli umani. Le macchine sono la parte facile. Gli umani invece… Fugge dalla città appena possibile e ama riferire che legge e scrive fantascienza.