Se al posto di Riina junior, Bruno Vespa avesse ospitato a “Porta a Porta” il giornalista Lirio Abbate, Rai Uno avrebbe svolto degnamente il suo ruolo di servizio pubblico.
Se al posto di dare voce al figlio di uno spietato mafioso senza scrupoli, avesse dato la possibilità ad Abbate di parlare della mafia senza edulcorazioni, la nostra televisione e il Paese in cui viviamo sarebbero migliori.
Lirio Abbate è un giornalista coraggioso che sa fare bene il suo mestiere e che per questa ragione vive sotto scorta dal novembre 2007. Nel gennaio di quest’anno è stato vittima dell’ennesima intimidazione da parte di uno degli avvocati di Massimo Carminati nel corso del processo a “Mafia Capitale”. Ieri, al Festival Internazionale di Giornalismo di Perugia, Lirio Abbate è stato protagonista di una rappresentazione teatrale dal titolo “Morti di mafia”. Il piccolo e suggestivo Teatro della Sapienza di Perugia, gremito per l’occasione da gente di tutte le età, ha visto raccontare da Abbate le storie dei giornalisti ammazzati su ordine della mafia perché raccontavano verità scomode, strappavano il velo su rapporti di potere tra criminalità e uomini dello Stato, svelando appalti truccati e commistioni tra interessi pubblici e privati. Uomini che, svolgendo il loro mestiere esclusivamente al servizio della verità, mostravano senza infingimenti e ipocrisie le ragnatele ordite dalla mafia e quanto fosse labile il confine tra il ‘mondo di sopra’, abitato dagli uomini di potere, e il ‘mondo di sotto’, il regno della criminalità.
Sullo schermo in sala sono sfilati i volti e le voci di Beppe Fava, di Mauro Rostagno, di Peppino Impastato, di Mauro De Mauro, di Giancarlo Siani. Storie conosciute di giornalisti che, in tempi in cui anche solo pronunciare la parola ‘mafia’ in pubblico era un affronto insopportabile, ne svelavano segreti e intrighi, non temendo di fare nomi e cognomi. Insieme a questi nomi noti, Lirio Abbate racconta la storia di giornalisti ammazzati meno conosciuti, come Giovanni Spampinato, corrispondente da Ragusa per il quotidiano “L’Ora”, che non ebbe remore a fare il nome del figlio di un giudice coinvolto in un omicidio e che, proprio per questa ragione, fu barbaramente ucciso a soli 26 anni. Abbate ricorda anche Cosimo Cristina, assassinato dalla mafia a soli 24 anni a Termini Imerese, il cui omicidio è rimasto impunito; il giornalista siciliano si emoziona raccontando la storia di Mario Francese, ottimo cronista siciliano che aveva pestato i piedi alla mafia scrivendo articoli sull’avanzata dei corleonesi Riina e Provenzano che si apprestavano a mettere le mani sulla città di Palermo. Mario Francese fu ucciso nel gennaio del 1979, ma all’identificazione dei suoi assassini si arrivò soltanto più di vent’anni dopo, grazie all’abnegazione del figlio Giuseppe che fece della verità sulla morte di suo padre lo scopo della sua vita. Quando la verità processuale identificò in Totò Riina e Bernardo Provenzano i mandanti dell’omicidio di Mario e in Leoluca Bagarella l’esecutore materiale, il figlio Giuseppe si tolse la vita, a riprova di come la mafia continui a uccidere con armi silenziose e invisibili, anche a distanza di anni.
Lirio Abbate si è commosso raccontando la storia di Giuseppe Francese e di suo padre, narrata in un piccolo teatro, dinanzi a uno sparuto e fortunato gruppo di gente. Mentre in televisione, solo la sera prima, sul principale canale del servizio pubblico andava in scena tutta un’altra storia.