Oggi è un giorno triste: è morto Maurice Sinet, detto Siné, il più grande dei satiri francesi. Qui in Italia non lo conosceva nessuno, ma era uno dei più grandi satiri d’oltralpe, un maestro di ironia e libertà, che, anche da incatenato al letto d’ospedale e attaccato a un respiratore, è stato sempre un uomo libero.
Perché Siné era proprio così, libero, perfino troppo libero, anche per Charlie il settimanale per cui lavorò per quasi trent’anni, fino al giorno in cui fu licenziato — sì, da Charlie — per un’accusa di antisemitismo (aveva preso per il culo il figlio di Sarkozy). Era il 15 luglio del 2008. Da quel momento Siné, emarginato da Charlie, fece il suo settimanale e lo chiamò Siné Hebdo. Non fu facile, i soldi scarseggiavano tanto che a un certo punto fu costretto a diventare mensuel.
Anche dal letto d’ospedale dove da anni languiva, Siné non ha mai smesso di scrivere. Le ultime righe, uscite mercoledì, sono state queste: «Sento la morte che grufola e curiosa senza sosta intorno al mio letto come un maiale da tartufo. È veramente una merda pensare ossessivamente alla morte che si avvicina, ai propri funerali futuri e all’amarezza dei propri cari».
In realtà ai funerali ci aveva già pensato. E anche alla sepoltura. Qualche anno fa si è comprato il posto al cimitero, a Montmartre. Ci ha fatto costruire sopra una statua di bronzo: un cactus a forma di dito medio — doigt d’honneur, si dice in francese con eleganza proverbiale — e sotto ci ha fatto incidere una frase: «Muorir? Plutôt crever!» («Morire? Schiattare piuttosto!»)
Stasera, se vi capiterà in mano una birra, un bicchiere di vino, un amaro, una grappa o qualsiasi altra bevanda che sia degna di un brindisi, alzate i bicchieri e brindate a Sinè.