La puzza di fregatura si sentiva già da quando Myriam El Khomri venne nominata ministro del Lavoro, lo scorso 2 settembre 2015. Ormai funziona così: più un volto è rassicurante, più bisogna temerlo. Se uno come François Hollande, che dall’inizio del suo mandato ci sta abituando al peggio, sceglie una donna giovane, “cool” e con un cognome dai sublimi richiami multiculturali per un posto di tale responsabilità, vuol dire che sta mettendo le mani avanti, alzando le difese del politicamente corretto contro eventuali attacchi dei anti-modernisti di turno, preparando un colpo basso nella speranza di passarla liscia. La politica è storytelling: c’è bisogno di un buono e di un cattivo; del politico giovane, “cool” e idealista contro l’orrendo mostro neonazista, che, guarda caso, è sempre a un passo dalla vittoria, minaccioso come non mai. Alla fine, però, vincono sempre i buoni – perfino in Austria -, tu ti senti una persona migliore perché li hai fatti vincere e loro alla fine te lo mettono comunque nel didietro. E’ successo anche con lo stesso Hollande, il “Presidente normale”, la “forza tranquilla”, l’orsacchiotto della politica francese. Sembrava il giardino dell’Eden, finora è stato l’inferno.
Ma torniamo al caso El Khomri. Il piano di Hollande sembrava funzionare piuttosto bene. Quando la nuova ministra si è prodotta in una gaffe da antologia durante l’intervista mattutina con il “cattivissimo” Jean-Jacques Bourdin – non sapeva quante volte poteva essere rinnovato un CDD (contratto a tempo determinato), una roba vergognosa – l’opinione pubblica ha fatto finta di niente: capita a tutti di sbagliare. Povera ragazza. Poi però, quando a quel volto giovane e “cool” hanno affibbiato la nuova legge sul lavoro, non c’è stato niente da fare: la gente s’è incazzata sul serio. Fessi sì, ma fino a certo punto.
Più un volto è rassicurante, più bisogna temerlo. E’ successo anche con lo stesso Hollande, il “Presidente normale”, la “forza tranquilla”, l’orsacchiotto della politica francese. Sembrava il giardino dell’Eden, finora è stato l’inferno.
Da Nuit Debout ai continui cortei e sit-in (sia a Parigi che in provincia), fino agli scioperi dei treni, dei trasporti pubblici, dei depositi di benzina, la Francia tutta sta onorando la sua reputazione “rivoluzionaria” (e scioperista) contro una legge liberale molto simile, per quanto edulcorata, al Jobs Act di Matteo Renzi. Non a caso, pochi mesi prima della presentazione del disegno di legge, i giornali francesi non facevano che elogiare il nostro Premier, giovane, “cool”, che sta rimettendo in sesto il Paese. Visto che bella la saponetta? Ora chinatevi a prenderla, da bravi.
Rincoglionendoci con gli slogan sui diritti civili, la sensibilizzazione alle violenze “di genere”, i corsi di raccolta differenziata nelle scuole, la lotta al diesel, le battaglie contro il fumo e la prostituzione, questi governi cosiddetti “di sinistra”, che più bacchettoni e moralisti non si può, tradiscono senza pietà i propri elettori proprio sul tema cruciale per cui sono stati (teoricamente) votati: il lavoro. E allora: se ci si rende conto che, di sinistra o di destra che siano, i governi fanno passare le stesse leggi dappertutto, perché continuiamo a criticare chi non crede più in questa Europa? Perché criticare un elettore che si rende conto che il suo voto non serve più a niente? Se tutte queste persone che si sentono private del loro fondamentale diritto di essere cittadini non sono rappresentate da un soggetto politico, è logico che scendano in piazza. E’ inevitabile. Forse si stancheranno, prima o poi. Ma fino a quando si potrà continuare a tirare la corda?