In queste ore Pino Maniaci viene ascoltato in Procura dai magistrati e, dopo, parteciperà a una conferenza stampa in cui risponderà a domande ormai pressanti. Finalmente si darà spazio alla versione del giornalista, si vedrà o meno se con la stessa rilevanza con cui si sono diffusi presunti documenti schiaccianti. Antonio Ingroia, legale della difesa, per esempio non pensa rientrino in questa categoria il video e gli stralci di intercettazioni a cui quasi tutti hanno dato subito credito. Il lavoro della magistratura non è ancora iniziato, ma per fortuna a quanto pare l’Italia di futuri magistrati è piena. Gente tanto lungimirante da non aver neppure bisogno di pezze d’appoggio, di documenti da consultare. Professionisti del “è così è basta”, incuranti del fatto che – anche questo – sia un atteggiamento mafioso. Sì, mafioso. Se così non fosse, si aspetterebbe il lavoro dello Stato – quello Stato cui si fa riferimento a intermittenza – prima di dare sentenze lapidarie.
A chi, dopo il post di ieri ha parlato di illazioni, senza neppure avere la decenza di farmi recapitare la carineria di persona ma facendosi forte degli anfratti di Facebook, rispondo che chi è giornalista dovrebbe saper compiere quantomeno un distinguo tra un pezzo di cronaca e uno di commento. Forse, nonostante venti anni di attività, non ne ha mai fatti, e forse nessuno ne ha mai sentito la mancanza, né mai la sentirà. Sull’attacco diretto alla mia attività giornalistica (quasi che esprimere un’opinione discorde sia indice di scarsa professionalità), rispondo senza personalismi. Non fanno parte del mio carattere, né tantomeno del mio lavoro.
Basti sapere che non ho vent’anni di esperienza alle mie spalle come il signor Celi: per averli avrei dovuto iniziare a lavorare a nove anni. Ho alle spalle sette anni di passione e di lavoro a fianco di giornalisti mediocri o molto validi, di inchieste e pezzi fortunati, ma anche di tanti articoli normali.
Non ho mai lavorato in maniera approssimativa né per interessi di terzi, e spero che questo possa bastare a placare le ansie immotivate di un “collega” che evidentemente non conosce il mio lavoro. Del resto, io non conosco il suo, e per questo non lo giudico. Lui però dovrebbe fare altrettanto con il mio. Anche spiegare perché le mie sarebbero illazioni, mentre quelle di chi si è affrettato ad accusare Maniaci siano oro colato. Chiudo ringraziando i lettori de Linkiesta che in numerosi hanno dato credito al contributo di ieri e alla testata che lo ha ospitato. Non è forse la sede adatta, ma è un doveroso atto di stima verso chi sta dimostrando di avere libertà di pensiero. Giudicare, accodarsi, sparare dal mucchio, è fin troppo semplice, difficile ma doveroso è fare il contrario, se si ritiene che sia giusto.