“Assad è peggio di Mussolini, peggio di Hitler. Sono cresciuto sotto un regime totalitario. Facevo il poliziotto e ho visto cose che mi porterò dentro come un peso ingombrante per tutta la vita: orrori, torture di ogni genere. Sono parole di Hassan Dgaim, ex poliziotto siriano, oggi imprenditore a Reggio Emilia.
Ci siamo incontrati la prima volta due mesi fa. Sorseggiando il the alla cannella nel suo locale in stile mediorientale a Reggio Emilia, il Rotani 2, mi ha raccontato la sua Siria. Il vero nemico di Assad è il cervello, mi ha spiegato: “Già prima della rivoluzione molti di quelli che finivano in carcere erano gli intellettuali, quelli che avevano studiato. Anche i miei parenti sono stati imprigionati. Erano avvocati, medici, scienziati. Alcuni sono morti…Mio zio è ancora vivo. Gli tiravano le unghie dei piedi, perché aveva studiato. Sai immaginare il dolore?”
Parte della famiglia di Hassan è ancora in Siria. “Non vogliono lasciare la terra agli iraniani o agli uomini di Assad”, mi spiega. Parla dei suoi genitori, di alcuni dei suoi zii, dei suoi tanti fratelli. Il più piccolo ha dieci anni. Non va più a scuola, perché “la scuola è tra i primi obiettivi delle rappresaglie terroristiche del regime e di Putin”. Suo padre è un maestro, saprà aiutarlo…A Idlib, vivono lì, in una provincia al confine con la Turchia già liberata dal regime, come tante altre visto che “Assad oramai è come un sindaco del suo quartiere“.
In casa e nel suo studio a Reggio, il mio amico ha un tappetino da piedi con la faccia del presidente siriano. Gli passa sopra ogni giorno. È un modo come un altro per lasciar parlare il dolore, per sfogare la rabbia contro chi va massacrando la sua stessa popolazione. Per Assad tutti i siriani che non si sottomettono sono terroristi. Il primo terrorista, però, è proprio Assad, mi spiega, e aggiunge: “Vedrai, quando sarà spodestato, non sentirai neanche più parlare di ISIS, in Siria!
Hassan suppone che ci sia un legame tra il presidente siriano e l’ISIS tanto che-racconta-i primi ad abbracciare quel gruppo di pazzoidi in Siria furono i peggiori e più violenti detenuti delle carceri siriane, liberati nei giorni delle prime manifestazioni pacifiche contro il regime, quelle del 2011. Alcuni documenti svelati di recente da Sky News potrebbero aprire un’interessante pista di indagine per dare fonte ai suoi racconti e a tante vignette che girano sui social…
Hassan è arrivato qui in Italia 15 anni fa circa. Il pretesto era quello di cercare un nuovo lavoro. Il desiderio intimo e il motore la voglia di scoprire il mondo. In Siria era costretto a guardarlo con gli occhi del regime e della paura.
Spesso è tornato nel suo paese. Qualche anno fa ha organizzato una vera e propria spedizione di medicinali, vestiti, cibo, trasportandoli sui furgoni che usa per la sua seconda attività, quella di commerciante di macchine agricole. Allora, come ogni volta che è rientrato in Siria, qualcuno gli ha fatto un interrogatorio: “Cosa hai fatto lì? Cosa si racconta di noi? Cosa dice l’Europa della Siria?” Il regime ha paura del giudizio del mondo, dei racconti dei profughi.
Il terrore con cui sono cresciuti i siriani, però, si fa sentire anche una volta che hanno varcato i confini, tanto, che-secondo Hassan-facciamo fatica anche parlare tra noi.
“Aleppo is burning“: le manifestazioni recenti per denunciare gli orrori del regime e di Putin su Aleppo, forse, sono un miracolo…
NB. Pubblicherò sulla mia pagina facebook, talentosprecato, video della mia chiacchierata con Hassan. Intanto lo ringrazio e mi scuso: mi hai raccontato tante cose. Un post sul blog non basta per condividerle con gli altri…
Partigiani come i nostri nonni. Occhi lucidi e vigili anche tra le rovine, gli stenti e la morte. La paura si fa coraggio, le lacrime lubrificano il lutto. Ci si aiuta, ci si difende, si lotta, terrore dopo terrore, bomba dopo bomba, lì, nell’inferno del mondo…
Sfidano la morte ma sentono di essere finalmente vivi, protagonisti della propria storia. Sono i ribelli siriani…