Montagne russe della grandi banche in Borsa? MPS stritolata dalla sofferenze? L’esposizione ai derivati della Deutsche Bank? Macché, per i soloni della finanza il problema del mondo bancario è sempre quello: le dimensioni delle banche. Una vera e propria ossessione quella di cui Alberto Gallo di Algebris Investments dà l’ennesima riprova nell’approfondita intervista su Linkiesta http://www.linkiesta.it/it/article/2016/06/30/i-soldi-alle-banche-saranno-inutili-se-non-si-taglieranno-gli-sportell/30985/
…il vero scienziato è quello che mette sempre in discussione la tesi acclarata, anche se vale il Nobel, perché si può sempre trovare una crepa in un sistema di pensiero o in un modello economico. Ed è in quella crepa che possono germogliare nuove idee e partire nuove traiettorie. Così, da sempre, si caratterizza la nostra specie. E per questo non accetto e non accetterò mai i dettami del pensiero unico; le conseguenze -e basta aprire gli occhi- sono evidenti a tutti: un mondo in cui chi ha tutti i mezzi stabilisce tutti i fini.
Per il gestore delle strategie macro del fondo di investimento guidato da Davide Serra è inutile dare soldi alle banche italiane se queste non risolvono il loro vero problema da trent’anni a questa parte, la redditività. «… bisogna fare un’analisi economica dei modelli di business delle banche. Quelle grandi funzionano bene e generano profitto. Quelle medie e piccole, con qualche eccezione (per esempio UBI), utili non li fanno e non li hanno mai fatti. Sono state spesso create per non farli e per operare a fini sociali, come il credito cooperativo». Grandioso davvero. Si è mai chiesto Alberto Gallo il perché di queste bizzarrie? Come mai da oltre un secolo a questa parte esistono banche come quelle di credito cooperativo? Forse per il capriccio di qualcuno? Dà fastidio qualcuno che suona una musica diversa? Forse stona al suo orecchio assuefatto al pensiero unico e globalizzato? Chissà. Io, per allargare i miei orizzonti, mi sto dando alla lettura di grandi pensatori come Popper e Hayek. In loro ho sempre apprezzato –e apprezzo sempre più– l’approccio analitico: il vero scienziato è quello che mette sempre in discussione la tesi acclarata, anche se vale il Nobel, perché si può sempre trovare una crepa in un sistema di pensiero o in un modello economico. Ed è in quella crepa che possono germogliare nuove idee e partire nuove traiettorie. Così, da sempre, si caratterizza la nostra specie. E per questo non accetto e non accetterò mai i dettami del pensiero unico; le conseguenze -e basta aprire gli occhi- sono evidenti a tutti: un mondo in cui chi ha tutti i mezzi stabilisce tutti i fini.
Questo non è liberismo, ma un turbo capitalismo, nutrito dall’alta finanza globale, che, come esito ultimo, finisce nel riflettersi nel suo opposto: la vecchia omologazione dell’economia collettivistica dei Soviet. Non nascondiamoci dietro un dito: se ci sono due o tre banche nei fatti ce n’è una sola. Ricordate la favola di Esopo? Non c’era argomentazione del lupo che tenesse; aveva deciso di mangiarsi l’agnello e tanto bastò.
Questo non è liberismo, ma un turbo capitalismo, nutrito dall’alta finanza globale, che, come esito ultimo, finisce nel riflettersi nel suo opposto: la vecchia omologazione dell’economia collettivistica dei Soviet. Non nascondiamoci dietro un dito: se ci sono due o tre banche nei fatti ce n’è una sola. La letteratura economica è piena di esempi di mercati che, con queste condizioni, costruiscono cartelli, di fatto, monopolistici, quindi lontani anni luce dagli interessi dei consumatori. E allora addio competizione virtuosa, vero motore di un mercato aperto, libero di crescere e di sperimentare nuove vie, magari nate in una di quelle crepe del sistema da cui la cooperazione è nata oltre cento anni fa e che oggi, con buona pace degli strateghi della City, sta avendo la forza di riformarsi. Ricordate la favola di Esopo? Non c’era argomentazione del lupo che tenesse; aveva deciso di mangiarsi l’agnello e tanto bastò.