Punti di vistaSe il Governo tradisce la sua BuonaScuola

Non più chiamata diretta, ma chiamata per competenze. Per la serie: come far cadere nel vuoto una buona intuizione, impopolare ma sostenuta con coraggio. O, per essere più diretti, come “calarsi le...

Non più chiamata diretta, ma chiamata per competenze. Per la serie: come far cadere nel vuoto una buona intuizione, impopolare ma sostenuta con coraggio. O, per essere più diretti, come “calarsi le brache di fronte ai sindacati” dopo aver tenuto duro per un anno.

Quella che ora il Sottosegretario Davide Faraone prova a far passare come una soluzione innovativa (“scelta non in base all’anzianità di servizio ma alle competenze”) rappresenta invece un significativo passo indietro del Governo nella concretizzazione delle linee di fondo della Legge 107, cosiddetta BuonaScuola.

Tra queste, assieme al piano di assunzioni, al bonus di formazione (500 euro) e a quello premiale, c’era infatti il meccanismo della cosiddetta chiamata diretta: i Dirigenti avrebbero potuto scegliere in libertà, e perciò assumendosene la piena responsabilità, i docenti più adatti a realizzare il Ptof (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) della propria scuola.

Non sarà così. Si sceglierà in base a un punteggio relativo alle competenze, con graduatorie e numeri. Ne scrive Corrado Zunino su Repubblica, che dà notizia dell’esito dell’Accordo di programma siglato tra Governo e sindacati l’altro ieri. Come funzionerà? Si legge su Repubblica: Per esemplificare […] il dirigente di un istituto scolastico del centro di Roma potrà decidere che alla sua scuola serve un insegnante con alte certificazioni in inglese, che abbia esperienze di Clil (lezioni solo in lingua), preparazione informatica e almeno cinque anni trascorsi con ragazzi disagiati. Chi avrà queste quattro caratteristiche, sarà assunto. Se nessuno le possiederà tutte e quattro, si assumerà chi ne potrà vantare almeno tre. Se ci saranno due docenti con quattro caratteristiche entrerà, a questo punto sì, quello con maggiore punteggio”.

Ancora una volta, in Italia, non vince qualità, non il rischio, ma i punteggi e le certificazioni. In altre parole, i corsi e corsetti che alla fine rilasciano il pezzo di carta.

E’ un male? Sì, e mi spiego con un esempio personale. Ho maturato un’esperienza decennale nell’ambito della blogosfera, con attività di scrittura breve, scrittura on line, giornalismo e molto altro; ho costruito blog per anni, ne ho seguito le tendenze di opinione e stile; insomma, una competenza spendibilissima per attività di apprendimento nella mia disciplina (l’Italiano) ma mai certificata. Perché? Uno: perché certe cose, per fortuna, non si certificano; due: perché preferisco formarmi (cioè spendere) e certificarmi su ciò che non so fare. Sbaglio? Sì, perché mi passerà avanti chi avrà fatto il più classico corsetto informatico di qualche ora.

Esempio non personale. C’è gente che conosce benissimo le lingue straniere (non io, per ora), magari ha trascorso un anno in Università all’estero ma non ha pensato di spendere soldi e tempo per le certificazioni Cambridge e cose del genere. Sarà superato da chi, con qualche mese di studio e un esame, avrà preso il pezzo di carta.

Con l’accordo – ha dichiarato Faraone – consentiremo agli istituti di scegliere in autonomia gli insegnanti di cui hanno bisogno ed eviteremo una deregulation selvaggia”.

Quella che ora Faraone chiama “deregulation selvaggia” era, invece, l’occasione per trasformare la scuola in uno spazio libero di azione (così lo definisce la sua compagna di partito Simona Malpezzi) in cui ciascuno sceglie e risponde delle proprie scelte. Invece no: si torna ai lacci, alla burocrazia, alla perdita di tempo per Dirigenti e segreterie.

Regole e punteggi, infatti, se da una parte danno parvenza di trasparenza e legalità, dall’altra deresponsabilizzano chi deve solo applicarli.

Ancora una volta, i Dirigenti Scolastici potranno schermarsi dicendo: “Cosa volete? Non ho scelto io quel docente, ne aveva diritto per il punteggio…”. I Presidi dinamici protestano, molti di loro, invece, in silenzio esultano: già temevano polemiche sulle scelte, già temevano di correre il rischio della responsabilità che invece il loro ruolo dovrebbe imporre.

Chi vince? I sindacati.

Chi vince? Le agenzie di formazione, erogatrici di corsi e corsetti con annesse certificazioni.

Chi vince? I più ricchi, quelli che avranno i soldi per permettersene di più, anche oltre i 500 euro del bonus.

Chi perde? Le competenze, quelle vere, quelle che non si misurano per titoli e certificazioni, ma si vedono sul campo.

Chi perde? I docenti che si impegnano per migliorarsi.

Chi perde? La BuonaScuola, cioè gli allievi.

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