Questo non e’ un necrologio, ma un ricordo, parziale, smussato dal tempo e dagli eventi che, in qualche maniera, ci modificano le sinapsi e le memorie che contengono. E’ un ricordo del professor Paolo Chiari, che ha insegnato filosofia e storia a generazioni di studenti del Liceo Gramsci e del Liceo Dante, scomparso a 72 anni il 14 agosto. Per come ci aveva abituati, una dipartita in linea con il suo carattere schivo, per ogni cosa che riguardava lui.
Il professor Chiari arrivo’ al Liceo Dante, quando ero in prima liceo, nella sezione E, nel 1987. Erano gli anni del riflusso generazionale e si presentava una transizione sociale, prima con la Pantera del 1989 e poi con Mani Pulite nel 1992. Ricordo benissimo quando arrivo’, una presenza inedita per il mondo ovattato di tradizioni e di professori che ci davano del Lei, del Dante. Un liceo considerato l’antagonista del Michelangelo, l’altro “classico” storico di FIrenze, perlomeno politicamente.
Fin dal primo giorno, lo notammo, con il suo impermeabile color avana, gli occhiali dalla montatura nera e spessa e i capelli all’epoca gia’ bianchi ma fluenti. A me sembro’ di veder arrivare Wim Wenders, nell’anno del ‘Cielo sopra Berlino’, giunto in maniera miracolosa per insegnarci filosofia e storia.
Eravamo la sua prima ‘prima liceo’ e gli bastarono pochi minuti a conquistarci. Entro’ silenzioso nella classe dove noi, ai primi giorni del trienno classico, eravamo ancora a raccontarci le vacanze e le aspettative per l’anno in arrivo. Una trentina di adolescenti pronti al percorso verso le decisioni vitali.
Chiuse la porta con calma, una di quelle gigantesche del Dante, pesanti e in vetri piombati. Ci squadro’, quasi uno per uno, o cosi’ ci parve negli anni dopo a parlarne. Ed esordi’ con un solenne ‘Vediamo di cominciare bene l’anno…’. E gli affioro’ un sorriso, con il suo gesto solito di toccarsi il mento quando qualcosa lo rallegrava. Per un attimo pensammo ‘un professore sessantottino!’, nella dicotomia gia’ piccolo-borghese che ci era stata inculcata, in quello stesso liceo descritto da Marcella Holsky nel suo racconto dell’anno scolastico del 1939 come un luogo reazionario ma aperto alle grandi rivoluzioni interiori. Il Dante, a vedere cosa facciamo in tanti della mia generazione, attraverso il rigore dei contenuti e dello studio, inculcava il metodo, il percorso. Per essere, un giorno, pronti a sparigliare tutto.
Invece, capimmo subito, il professor Chiari non era un sessantottino, perlomeno nel modo di convincerci a dare il meglio di noi ed a studiare. Non aveva, apparentemente, altra fede che non quella dell’educazione come motore sociale. E dell’educatore come strumento di sviluppo della persona. O lo pensavo ora in questi giorni di commozione continua al pensiero del Prof.
Si rivelo’ subito per quello che era, un buon maestro in quella che era all’epoca ancora l’ottima scuola superiore italiana (non ci accontentavamo di una solamente ‘buona’), anche se ancora troppo ingessata ai suoi protocolli e programmi e, gia’ allora, alla ricerca di un’identita’, per essere meno luogo dove imparare le nozioni ma piu’ uno spazio di formazione.
Il “Prof”, come lo chiamavamo fra di noi, ci sorprese subito, proprio perche’ si pose di fronte al programma in maniera inedita: ci impedi’ di studiare la filosofia sui libri di testo, quelle antologie critiche dove tutto diventa a uso e consumo di un domandificio o un mero processo di validazione sterile, ma ci fece aprire gli occhi sugli autori, attraverso le loro opere di pensiero. Ignoro’ coscientemente per tutto il liceo i libri di testo, anzi, quando ci diceva ‘prendete il manuale’ sapevamo che era arrabbiato con noi. Ce lo faceva per ripicca. L’applicazione non spontanea del programma ministeriale diventava una specie di punizione.
Studiavamo sui testi dei filosofi stessi. Ricordo un’estate passata a cercare un’antologia di Plotino introvabile, che poi veniva spacciata in fotocopie fatte alla cartoleria accanto al Bar Marcello, che era anche il luogo alternativo di ricevimento del professore. Ancora recentemente, quando passo da Firenze nelle mie peregrinazioni, rimane questo rito, caffe’ e tramezzino uovo e pomodoro, ad un prezzo da deflazione catastrofica. E, ora, mi rammarichero’ di non correre piu’ la ventura di incontrare il Prof. Che, dopo la pensione, passava ancora tempo nella biblioteca del Liceo, a catalogare libri, mi disse, una volta ‘in testa e poi negli scaffali‘.
Ancora oggi, quando dormo nella mia camera da studente dai miei genitori, rileggo le note prese durante le sue lezioni su tutte e tre le critiche kantiane, per non tacer delle opere di Hegel e degli idealisti. Ci appassiono’ al pensiero originale, ad un modo di interpretare il reale dove la critica nasce innanzitutto non da una interpretazione ma da una conoscenza dell’oggetto. E, poi, le interrogazioni. Che accadevano in maniera non standardizzata. Quando odiavo studiare Cartesio, mi interrogo’ sei volte in un solo semestre. ‘Pacciani, io continuo finche’ non la smetti di provare ad interpretarlo, ma impari a conoscerlo senza pregiudizio’. Il processo educativo come comprensione e non come adesione ad un preconcetto. Una cosa rivoluzionaria all’epoca, dove tutto era interpretato, testo e contesto, destra, sinistra, morale, immorale.
Invece, su Kant e Hegel, non mi volle mai interrogare, nonostante li amassi, se non per una chiacchierata di ufficio. Fra i compagni di classe, ci ricordiamo di quando interrogo’ una nostra compagna di classe molto timida, negli intervalli di un concerto di musica della scuola, ed alla fine gli disse: ‘brava, ti metto sette’.
Il professor Chiari e le storie che giravano su di lui, sempre epiche, a volte buffe (girava questa leggenda di un cestino in fiamme al Gramsci, per un mozzicone spento male, mai certificata neanche con lui) e che raccontavano di una persona non antagonista ma fuori dalle righe, la gioventu’ passata in giro per l’Europa, la famiglia e la moglie, premorta a lui di vari anni, a cui era devoto, la casa alle Sieci, terra di renai e della Firenze Pratoliniana, la passione incredibile per la musica, di ogni tipo. Ci prestavamo dischi, Tom Waits del primissimo periodo contro i Cure di Disintegration. ‘Pacciani, questi qui sembrano troppo i Beatles‘, mi disse degli Husker Du.
Ogni tanto ci parlava di compositori come John Cale e Philip Glass e devo a lui la passione per le suonate di piano di Beethoven, anche se ci raccomandava sempre le edizioni di Benedetti Michelangeli – che solo ora trovo grazie a Youtube. Non mi ricordo, dopo tanti anni, se parlassimo di certi argomenti non da programma a a ricreazione, prima, durante o dopo le sue lezioni. O da Marcello. Poco conta. Nella sua ottica, di professore onnivoro dei destini dei suoi studenti, come e perche’ aveva un ruolo, nel nostro destino, questa suddivisione delle cose, dei tempi scolastici non esisteva. Il mondo era la scuola. Ma raramente si parlava di politica. C’erano accenni, battute, ironie. Ma quel che contava era darci gli strumenti di giudizio.
Il professor Chiari, con le sue sigarette dall’odore da bistrot parigino fumate fuori dal Liceo, mentre gli studenti lo circondavano, ogni mattina, in ogni momento, e’ negli anni mutato in una presenza, nelle vite dei suoi studenti proprio per questa sua abnegazione e dedizione agli altri che eravamo noi, come se fosse un ultimo testimone di un’era dove l’educazione potesse creare e modellare le sorti future progressiste del mondo. Ognuno di noi ha qualche ricordo, qualche memoria, di sue parole, espressioni, consigli, battute, sulla vita, sulla futura carriera, sulle scelte da fare. La sua idea di insegnamento era, per certi versi, simile a quella di orientamento, di aiuto non solo ad assimilare nozioni, ma ad assimilare le sfide della vita.
Custodiva una dinamicita’ di pensiero incredibile, nonostante la sua presenza binaria fra Piazza della Vittoria o le Sieci. O, in molte occasioni, lo incontravamo nei posti piu’ strani, di fronte ad un banco dei latticini alla Coop, a teatro. E, anche in quelle occasioni, con il suo trench di ordinanza, o in mise estiva, che era semplicemente una camicia senza trench, riusciva sempre a rendere ogni cosa che diceva un remix di memorie liceali, ispirazione e spinta a essere persone migliori. Non nel senso di ‘piu’ buone’ ma piu’ vicine alla propria passione, alla propria inclinazione. Il professor Chiari aveva l’imprinting del maestro, dello spirito non libero, ma liberante. E, con la sua morte, scompare una parte importante di quella cultura comunicata, comunitaria, che si chiama e si dovrebbe chiamare educazione. A volte, penso che sia stato l’ultimo a poter essere chiamato Il Prof. Il buon maestro negli anni si svela negli anni, perche’ e’ quello che, quando provi a descriverlo agli amici, racconta invece le tue scelte, perche’ uno e’ diventato quello che e’. E questo era il prof Chiari, un amico a cui si dava del lei, per alcuni di noi forse una figura paterna a cui confidare dubbi e chiedere certezze che non aveva, ma che aiutava a modellare dentro. E aveva sempre tempo per tutti. Ci manchera’ e, forse, per la mia generazione di studenti del Dante, quella del 1990, quella generazione che oggi ha 40 anni, e’ una ulteriore chiamata alla responsabilita’ , in un’epoca dove, come nel 1987, tutto accade altrove.
L’esempio del Prof e’ basato sul rieducare alla responsabilita’ delle scelte, allo sguardo lungo verso il futuro ma che nasce e passa da quello che si impara. E, come amavo pensare in questi giorni, il professor Chiari, nei suoi tanti anni di insegnamento e nella sfacciata fortuna che ho avuto ad averlo come professore e amico negli anni, mi ha sicuramente indicato che, nella vita, conta imparare quello che e’ necessario sapere e non l’ogni-cosa. La sua prima lezione, la differenza fra necessario e contingente…solo in questi giorni mi si svela il contenuto, come mai prima.
Ho un ricordo, fra i tanti, dal giorno della mia maturita: era il 12 luglio del 1990, una mattina caldissima dentro il Dante. Lui era il nostro membro interno, anche se per convincerlo dovemmo fare cose turche. La professoressa della Commissione mi chiese: ‘Pacciani, mi dica, cosa le fanno pensare quegli alberi nel giardino, cosa ne penserebbero gli idealisti?’ Ricordo il professor Chiari seduto sulla finestra, dietro il sole e i pini di Piazza della Vittoria che fa un occhio folle alla domanda e quasi si butta di sotto. E io che rispondo: ‘credo che gli avrebbero apprezzati, perche’, nonostante la loro bellezza, i loro frutti sono inutili, non si possono mangiare, sono ippocastani. Per gli idealisti, in quegli alberi contano solo le foglie’. La professoressa mi disse ‘bravissimo!’ e, dopo qualche altra domanda, la mia maturita’ era finita. Mentre gia’ correvo per le scale di pietra serena del Dante, con negli occhi, come nei momenti importanti, tante immagini accumulate di quegli anni dentro quel Liceo, assieme ad un misto di felicita’ e paura, sentii dietro di me il Prof chiamarmi. Rideva come un matto. ‘Pacciani, mica mi ha sorpreso la tua risposta, ma che alla commissione sia piaciuta un sacco!’ Ecco, quel ricordo del professore che ride, con la mano alla bocca, sotto ai busti del Dante, alla mia risposta farlocca ad una domanda insulsa della commissione di esame, nell’estate che avrebbe cambiato la mia vita, rimane uno dei momenti che avro’ in testa per tutta la vita.
Aver avuto questo professore di filosofia delle Sieci, in tutta la sua timidezza e compostezza, e’ stata una vera grazia laica. E spero che, in qualche maniera, permanga e si trasmetta quanto tanto abbia influito nella vita dei suoi studenti. Forse, una borsa di studio sarebbe un’idea giusta.
Sono qui, dopo aver controllato i voli, con dolore e commozione che immagino essere una porzione infinitesimale di quello della sua famiglia. Se questa lettera potesse servire a qualcosa, che sappiano, le figlie e le loro famiglie, che in giro per il mondo ci sono tantissime persone che devono quello che sono (e non, americanamente, quello che sono diventate) a Paolo Chiari. Ora non piu’ o, forse, per sempre, Il Prof. O il suo archetipo.
P.S. Al Liceo Dante quest’anno e’ arrivato come professore di filosofia un mio amico, Leonardo Eva. Ha una quarantina di anni. Appena nominato, mi scrisse subito ‘ho davanti questo monumento del Chiari, spero di essere degno della sfida’. A Leonardo, anzi al Prof. Eva, dico solo che, forse, il segreto del Chiari non era quello di aspirare per se, ma di aspirare per i suoi studenti. Sicuramente, avro’ ancora scuse per fermarmi di fronte al Dante, per un tramezzino di Marcello e per una passeggiata vaga nell’entrata del Liceo, immaginandomi i volti, i suoni, le memorie di un’adolescenza fiorentina. These Important Years, Your Life, come cantavano gli Husker Du, caro Prof…
SOUNDTRACK
Tom Waits – My Blue Valentine
Husker Du – These Important Years
The Cure – Disintegration
https://www.youtube.com/watch?v=WVb1gsS1y8M
Beethoven – Sonata nr 3, Arturo Benedetti Michelangeli
ATTENZIONE: Scritto con una tastiera non italiana dove non trovo gli accenti…perdonatemi o vedetelo come un esempio di ironia romantica.