SkypeEuropaIl Massimo della Rivoluzione

Ancora qualche giorno e il paese sarà immerso nella dura e importantissima battaglia referendaria che punta a modificare la Costituzione. Gli schieramenti sono abbastanza delineati, nel senso che a...

Ancora qualche giorno e il paese sarà immerso nella dura e importantissima battaglia referendaria che punta a modificare la Costituzione. Gli schieramenti sono abbastanza delineati, nel senso che a parte il PD, tutti gli altri partiti, chi più chi meno (alcuni timidamente), hanno dichiarato che voteranno contro il Referendum Costituzionale.

Inutile ridire che si tratterà di un appuntamento importante perché ad essere modificata sarà la Carta Costituzionale e non un semplice regolamento.

È curioso cogliere, in questi caldi giorni di settembre, che il soggetto a cui più interessa battagliare e che più si sta esponendo per il NO secco e deciso sia il neonato raggruppamento che ha come massimo esponente Massimo D’Alema, già Presidente della Bicamerale, che la costituzione voleva riformare nel 1998, poi fallita per il dietrofront del Cavaliere.

Strano. Davvero strano che un esperto politico come D’Alema, contrariamente ai suoi coetanei ed ex colleghi politici (Veltroni, Cacciari, Fassino, solo per citarne alcuni) si sia esposto così. Un’esposizione pubblica sfociata in un’intera serata a pochi km da Perugia a parlare della sua ossessione per Matteo Renzi e del referendum che il Partito Democratico sta portando avanti.

Da non renziano, e quindi non tifoso della persona Renzi ma convinto assertore che occorra votare SI, ho trovato quest’esposizione quanto meno curiosa per due motivi.

Il primo perché il Massimo non è un ingenuo. Sa che si tratta di un appuntamento importante. Piero Fassino ha dichiarato “Se il PD fallisce per l’Italia c’è il baratro”. Massimo Cacciari ha parlato di “Riforma maldestra, ma è una svolta”. Walter Veltroni nel maggio scorso saggiamente suggeriva a Matteo Renzi di “evitare di trasformare il referendum in un PRO o CONTRO la sua persona” ma di andare avanti. Come dargli torto, si tratta del testo costituzionale.

Ma il Massimo no, pur avendo perplessità come tutti su un testo non idilliaco non si è fermato. Ha addirittura aperto un Comitato per il NO. Una mossa eretica per chi è cresciuto nel PCI, che rischia di stravolgere il senso di questo referendum agli occhi di molti militanti del PD e che genera sbandamento in una base sempre più ristretta e confusa.

Il secondo curioso motivo, ben più importante, dell’atteggiamento di Massimo D’Alema è che questo referendum come ormai ogni appuntamento europeo di una certa rilevanza, avrà dei risvolti politici non indifferenti tra i 27 paesi dell’UE. Riformare la madre di tutte le leggi, anche se in modo non ottimale (ma la politica è compromesso e se in parlamento abbiamo Grillo, Brunetta e Verdini, non vedo alternative!), rappresenta da un lato un miglioramento dell’attuale sistema costituzionale e dall’altro accresce la reputazione del nostro paese in Europa, dove da oltre 30 anni, chiunque fosse il Presidente del Consiglio, racconta ai leader europei che “abbiamo intrapreso il percorso delle riforme”. E Massimo D’Alema lo sa molto bene, visto che negli ultimi 30 anni ha partecipato a diversi di quei vertici.

Oggi il Massimo appare più come un rancoroso vecchio politico scontento per non essere stato invitato a fare il Ministro degli Esteri prima, e l’Alto Rappresentante per la politica estera dell’UE poi. E la fotografia di un bambino che interrompe il gioco e si porta via il pallone (o che invita i compagni a non giocare) è quanto mai calzante. Ottima, e che ben rappresenta la classe dirigente che per anni si è opposta a Silvio Berlusconi. E del perché i tanti messaggi lanciati da militanti, girotondinni, società civile e partiti di sinistra siano in questi lustri caduti nel vuoto, non sfondando mai oltre lo zoccolo duro del nostro elettorato.

Ma non è tutto. Il massimo, inteso come non plus ultra, si sta raggiungendo con questo tentativo, del Massimo!, di coalizzare intorno a se ex amici che in passato lo hanno abbandonato proprio per questo lampante e sfacciato narcisismo umano e politico proposto in passato agli italiani.

Andare al(col) Massimo non cancella trent’anni da politico di primissimo piano della politica italiana e di una carriera, da rispettare, ma costellata di inciampi ed errori madornali di cui il paese porta oggi i segni.

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