La City dei TartariLa memoria del tennis club

Nelle istituzioni anglosassoni di ogni tipo, e’ abbastanza normale trovare lapidi, o memorie, come si dice a Firenze, di legno o altro material, sui muri. Spesso negli androni dell’ingresso o dentr...

Nelle istituzioni anglosassoni di ogni tipo, e’ abbastanza normale trovare lapidi, o memorie, come si dice a Firenze, di legno o altro material, sui muri. Spesso negli androni dell’ingresso o dentro le sale di riunione, che siano universita’, chiese, corporazioni, e club di Tennis. Sono spesso dedicate ai caduti o a rendere visibile la geneaologia dei rettori, o dei presidenti delle auguste associazioni. Una lista di date e nomi, in vernice dorata, argentata o scolpiti in marmo. In quella maniera, le persone, forse, permangono nello spazio, il loro nome viene ripetuto, soprattutto se strano od originale.

Ed e’ proprio quello che ha attratto il mio sguardo, su una di queste ‘lapidi lignee’, appesa in un club di tennis, mentre aspetto che mia figlia reciti, con le sue amiche della scuola di dramma amatoriale. Il tennis club dove sono ha la peculiarita’ di essere a poche centinaia di metri dall’All England Lawn Tennis Club, la capitale del tennis mondiale. La relazione e’ come una parrocchia di Trastevere e il Vaticano. Una dozzina di campi in sintetico, a tiro di schioppo, o di ace, dalla mastodontica dimensione della sede delle corti in erba del pianeta. Ma, nella sua piccola dimensione, ha una sua eleganza segreta ed inglese. Un piccolo bar che serve ale e gin & tonic e un barbecue in un angolo. I campi, anche se non in erba, sono regolarmente verdi, di un colore quasi accecante. Il club ha origini all’inizio del secolo scorso, e, in maniera regolare, sui muri le lapidi ricordano i vincitori di singoli femminili, maschili. E, mentre aspetto sorseggiando un caffe’ appena deliofilizzato, noto un nome, Shakespeare, di una vincitrice del torneo nel 1946. Ma, come sempre, in questi luoghi, appare appena sopra che dal 1940 al 1945 non ci furono tornei. Per la guerra, dice la scritta.

Voglio fare una foto, perche’ in qualche maniera trovo ironico (in maniera tragica) che, dopo la guerra, vinca Shakespeare. O la cultura inglese ed angloamericana, che, nonostante tutti, hanno pervaso e modificato gli ultimi settanta anni di storia del mondo. Tiro fuori l’iphone e, mentre sto per scattare, arriva il guardiano del circolo, un signore inglese in maglietta e cappellino da baseball. ‘Interessato alla storia del club?’ Gli dico che mi colpiva quell’intervallo di anni durante la guerra, mi immagino, gli dico, ‘per rispetto ai soldati’. Lui ride e mi dice ‘no, perche’ sui campi c’erano cavoli, carote e patate!’. MI spiega che, fin dall’inizio della guerra, il governo inglese chiese a tutti i cittadini e le associazioni di usare ogni spazio verde possibile per coltivare ortaggi, per ridurre la dipendenza dalle esportazioni. E, in quegli anni, tutti i campi in erba di Londra diventarono orti. Tranne, ovviamente, l’All England Lawn, dato che avevano campi in abbondanza per difendere i loro campi prestigiosi. Il signore mi dice che si ricorda dei racconti dei genitori e dei fratelli piu’ grandi, di come una carota diventasse un lollipop e come tutti i tennisti diventarono giardinieri e ortocultori.

E continua: ‘dopo la guerra, ovviamente, non c’erano soldi per ricostituire i campi in erba ed allora usarono le macerie della guerra, dei bombardamenti locali, per fare campi con la polvere dei mattoni rossi’. Come Roland Garros. Con la differenza che, nel clima londinese, l’argilla dei mattoni rendeva il gioco pesante. Allora, fu cemento e poi sintetico. Il signore mi dice ‘I campi in erba costano troppo per noi, ma siamo contenti cosi’. Spesso vengono persone a giocare qui e dicono che erano a Wimbledon, all’altro!’.

Mi lascia ad osservare la lapide, avendone estratto altri possibili storie ed episodi, come una signor ache , mi fa notare maliziosamente, vince sei anni di fila, ma con tre cognomi diversi, dato che si era sposata con due membri del club (che appaiono fra i vincitori del singolo maschile). La storia, la microstoria di Londra e dell’Europa in una lastra di legno. Il tennis, la recita di mia figlia, la danza, lo yoga che il club offre, sono sulle macerie della guerra, sulle memorie ormai scomparse di una parte di Londra che fu bombardata come l’est. E rimane quella maniera incredibile di caduta e risalita, di saper sacrificare tutto per una causa, del popolo inglese. I cavoli al posto delle palline da tennis. La perseveranza, parola che preferisco a resilienza, che sa di passivo. Chi persevera, si ostina, continua a provare. E’ un motore della storia, un ingranaggio che vuole funzionare, partecipare. Un po’ il segreto di tutto questo volontariato e darsi da fare che si nasconde ovunque, a Londra, dai charity shop di ogni tipo di organizzazione no-profit, ai circoli per bambini, anziani, musicisti, tennisti. La societa’ anglosassone, forse, paradossalmente, e’ la piu’ adatta, come imprinting e struttura sociale, ad essere un vettore di una futura societa’ europea, basata sul mutuo supporto, su formule di collaborazione privato/pubblico, di solidarieta’ non posticcia. Di unione e di abnegazione allo scopo finale. Paradossalmente. Quei campi da tennis trasformati in filari di ortaggi lo diventarono sia per difendersi sia per permettere la ‘riconquista’ dell’Europa. La leggenda diceva che i piloti della RAF fossero i migliori al mondo per il carotene dei tuberi degli orti di guerra. E, da quella storia di tornei sospesi, fino al convegno del 1948 organizzato da Churchill all’Aja, con i primi europeisti (incluso Spinelli), nacque ogni cosa che oggi chiamiamo Europa.

Osservo la memoria, ancora una volta. Con quel senso di fascinazione che solo gli oggetti semplici possono evocare. Gli arcani di un continente narrati da una lista di nomi. Laddove rimane questo spirito, di ricordo, di attenzione ad una storia che va narrata non solo attraverso i leader, ma attraverso le mille storie personali, possiamo ancora sperare, nel futuro. Di un paese, di un continente o, forse, di una societa’ nella sua interezza. Quella societa’ europea che esiste gia’, nelle nostre memorie e in quel tracciato neurale e storico che ci circonda. Non saranno i muri a fermare la genetica, la stratificazione dei ricordi, l’idea subdola e rivoluzionaria che una cultura nasce negli intersizi dei sacrifici che facciamo o siamo pronti a fare per gli altri, che siano le persone di un altrove che non conosciamo, come per gli abitanti di Wimbledon erano i francesi sotto il nazismo, o le generazioni future che non conosceremo mai. Se non in un dialogo unilaterale, dove racconteremo per quello che riusciremo a fare di buono. Come il campo da tennis ha fatto per me.

SOUNDTRACK – Christ T-T – We are the kings of England https://www.youtube.com/watch?v=7Ftk1Z4uQlY