Va bene che il Governo italiano abbia chiesto alle BCC di autoriformarsi e abbia legiferato in materia. Va bene che Banca d’Italia abbia presentato la sua normativa secondaria per costituire il gruppo unico e per la gestione dello stesso. Va bene anche che la BCE abbia presentato le sue controdeduzioni a questa normativa secondaria in termini restrittivi rispetto a quanto formulato da Banca d’Italia. Ma che anche dal Fondo Monetario internazionale si sprecassero parole per le banche piccole è davvero un onore inaspettato.
Infatti Washington, che immagino in questi giorni abbia gettato un occhio all’affaire Deutsche Bank, ha esplicitamente sollecitato una valutazione della qualità dei bilanci delle banche più piccole, quelle che non sono sottoposte all’esame della Banca centrale europea. Capite? Meritiamo l’attenzione dell’FMI come DB.
Infatti Washington, che immagino in questi giorni abbia gettato un occhio all’affaire Deutsche Bank, ha esplicitamente sollecitato una valutazione della qualità dei bilanci delle banche più piccole, quelle che non sono sottoposte all’esame della Banca centrale europea. Capite? Meritiamo l’attenzione dell’FMI come DB. Lette notizie come queste, mi conforto andando su qualche firma sicura. Ammetto di avere un debole per lezioni come quelle che ci offre il professor Leonardo Becchetti, l’ultima delle quali, pubblicata da Avvenire il 4 ottobre, aveva come titolo proprio “Una lezione tedesca”. Misurata come nel suo stile ma non per questo meno efficace, la lezione tedesca è proprio quella che ci arriva dal caso Deutsche Bank. Il ragionamento di Becchetti è di una chiarezza cartesiana: nessuno all’indomani dello scandalo Lehman si è sognato di invocare la cancellazione delle grandi banche d’investimento e nessuno, alla luce dei timori sulla sostenibilità di Deutsche Bank sollevati dalla richiesta di multa della Federal Reserve, si sogna di reclamare la testa delle banche grandi. Piuttosto è il caso di riflettere seriamente, come suggerito dal dimenticato dossier dei saggi UE, il cosiddetto Rapporto Liikanen (non ci sono economie di scala oltre i 50 miliardi di euro d’attivo), sul modello unico per le banche, quello della crescita dimensionale.
Peccato che queste micro banche –nota Becchetti– esistano in economie di tutto rispetto, statunitense e tedesca su tutte. Evidentemente assolvono a una funzione che ne giustifica l’esistenza –si dirà. E in Italia no? Provate a chiedere alle Pmi chi fa loro credito e poi vedrete che la presenza di un sistema finanziario diversificato un senso lo ha eccome
Un’amnesia che, volutamente o meno, porta a deviare l’attenzione su altri e cioè i limiti del modello “banca di territorio a voto capitario”. Peccato che queste micro banche –nota Becchetti– esistano in economie di tutto rispetto, statunitense e tedesca su tutte. Evidentemente assolvono a una funzione che ne giustifica l’esistenza –si dirà. E in Italia no? Provate a chiedere alle Pmi chi fa loro credito e poi vedrete che la presenza di un sistema finanziario diversificato un senso lo ha eccome. A ognuno il suo; alle grandi banche sostenere i processi di internazionalizzazione e alle banche di territorio il tessuto di Pmi che è l’ossatura dell’economia italiana. Il discorso non fa una grinza: non esiste l’abito buono per tutti; ognuno ha la sua taglia. Anche lei, mi permetta, Madame Lagarde.