Charles Darwin una volta dichiarò che le lacrime emotive sono “senza scopo” e circa 150 anni più tardi, la psicologia del pianto rimane uno dei misteri del corpo umano più contraddittori.
Mihael Trimble, neurologo comportamentale e professore emerito allo University College di Londra, uno dei massimi esperti al mondo di psicologia del pianto, si stava preparando a rilasciare un’intervista in un programma radiofonico della BBC quando l’intervistatrice gli fece una strana domanda: “Come mai alcune persone non piangono per nulla?” Ella spiegò che un suo collega sosteneva di non aver mai pianto; aveva persino invitato il collega a vedere “I Miserabili”, certa che avrebbe versato una o due lacrime, ma i suoi occhi rimasero asciutti. Trimble rimase senza parole. Lui ed una manciata di altri scienziati che studiano il pianto umano tendono a focalizzare le loro ricerche sugli occhi bagnati, non su quelli asciutti; così, prima che iniziasse la messa in onda, decise di istituire un indirizzo email, [email protected], e una volta in onda chiese agli ascoltatori che non piangono mai di contattarlo. In poche ore, Trimble aveva ricevuto centinaia di messaggi (Oaklander, 2016).
Psicologia del pianto: il valore adattivo del pianto emozionale
Abbiamo pochissime informazioni a proposito delle persone che non piangono. Infatti ci sono anche molti scienziati che non sanno, o non sono d’accordo, riguardo al fatto che esistano persone che non piangono.
Charles Darwin una volta dichiarò che le lacrime emotive sono “senza scopo” e circa 150 anni più tardi, il pianto emozionale rimane uno dei misteri del corpo umano più contraddittori. Si ritiene che alcune altre specie versino lacrime riflessivamente, come risultato di dolore o irritazione, ma gli umani sono le sole creature le cui lacrime possono essere provocate dai propri sentimenti.
Nei bambini, le lacrime hanno l’ovvio ruolo cruciale di sollecitare l’attenzione e la cura da parte delle figure d’accudimento (Trimble, 2012). Ma che dire degli adulti? La risposta a questo quesito è meno chiara. Hanno tentato di rispondere in uno studio i due scienziati esperti in psicologia del pianto Rotteberg e Vingerhoets (2012), costruendo una narrazione sulle motivazioni del pianto attraverso le varie età e sulle modalità con cui questo viene ad essere sempre più regolato; questo ha permesso di riunire varie ricerche ma anche di individuare le lacune, come il pianto in età adolescenziale o senile, che è stato fortemente trascurato.
E’ ovvio che le forti emozioni causino le lacrime, ma perché? C’è una sorprendente penuria di fatti certi a proposito di un’esperienza umana così fondamentale. Il dubbio scientifico che il pianto abbia qualche reale beneficio oltre a quello fisiologico di lubrificazione degli occhi è persistito per secoli. Oltre a ciò, i ricercatori hanno generalmente focalizzato la loro attenzione più sulle emozioni che sui processi fisiologici che sembrerebbero i loro sottoprodotti: “Gli scienziati non sono interessati alle farfalle nei nostri stomaci, ma all’amore” scrive Ad Vingerhoets (2013), un professore dell’Università di Tiburg nei Paesi Bassi, maggiore esperto al mondo in psicologia del pianto.
Ma il pianto è più di un sintomo di tristezza, come Vingerhoets ed altri stanno mostrando. Esso è stimolato da una gamma di sentimenti, che vanno dall’empatia e dalla sorpresa alla rabbia e all’afflizione e, diversamente da quelle farfalle che svolazzano invisibilmente quando siamo innamorati, le lacrime sono un segnale che gli altri possono vedere. Questa intuizione è centrale nel nuovo pensiero riguardante la psicologia del pianto.
Darwin non era l’unico con opinioni ferme riguardanti il perché gli uomini piangano. Secondo alcuni studi, le persone hanno fatto congetture sull’origine delle lacrime e sul perché gli uomini le versino sin dal 1500 a.C. circa. Per secoli le persone hanno pensato che le lacrime si originassero dal cuore; l’Antico Testamento descrive le lacrime come il risultato di quando il materiale del cuore si indebolisce e si trasforma in acqua. Più tardi, ai tempi di Ippocrate, si pensava che la mente scatenasse le lacrime. La teoria prevalente nel 1600 sosteneva che le emozioni, in particolar modo l’amore, riscaldassero il cuore, che generava vapore acqueo al fine di raffreddarsi. Il vapore del cuore sarebbe poi risalito alla testa, condensandosi vicino agli occhi ed uscendo sotto forma di lacrime (Vingerhoets, 2001).
Infine, nel 1662, uno scienziato Danese di nome Niels Stensen scoprì che la ghiandola lacrimale era il corretto punto di origine delle lacrime. Fu il momento in cui gli scienziati iniziarono a scartare l’ipotesi che le lacrime possedessero un possibile beneficio evolutivo. Secondo la teoria di Stensen le lacrime erano semplicemente un modo per tenere l’occhio umido (Vangerhoets, 2001).
Perché piangiamo? Diverse teorie a confronto
Pochi scienziati hanno devoluto i propri studi a cercare di scoprire perché gli uomini piangano, ma quelli che lo hanno fatto non sono concordi. Nel suo libro, Vingerhoets (2001) elenca otto teorie in competizione tra loro. Alcune sono assolutamente ridicole, come la visione degli anni ’60 secondo cui gli umani si sono evoluti da scimmie marine e le lacrime ci avrebbero quindi aiutato in passato a vivere nell’acqua salata. Altre teorie persistono nonostante la mancanza di prove, come l’idea divulgata dal biochimico William Frey nel 1985, secondo cui il pianto rimuove le sostanze tossiche che si sviluppano durante i periodi di stress dal sangue…