Esiste un’anomalia, tutta italiana, che per tradizione confina i temi delle libertà Lgbti agli spazi politici della sinistra. Da Sinistra e Libertà, passando per Arci, i soggetti legittimati a parlare di diritti Lgbti sembrano essere in numero sempre limitato, e non mancano le contraddizioni. Negli ultimi anni si sono infatti moltiplicate le adesioni dei gruppi Lgbti italiani ai movimenti politici che si dichiarano contro lo Stato di Israele. Una contrapposizione che però lascia qualche perplessità e su cui abbiamo scelto di confrontarci con Yuri Guaiana, membro del direttivo e referente per le questioni internazionali di “Certi Diritti”, associazione Radicale per la promozione e la tutela dei diritti civili, per la responsabilità la libertà sessuale delle persone. La prima associazione Lgbti europea ad aver preso posizione ufficiale contro il fenomeno del “Pinkwashing”, un movimento politico che da qualche tempo è entrato a far parte dell’esteso vocabolario dei termini di delegittimazione dello Stato di Israele.
Yuri Guaiana, cosa s’intende per Pinkwashing?
Il Pinkwashing descrive una teoria e movimento politici che condannano Israele perché promuove i diritti Lgbti e il gay pride.
Questo sembra un paradosso.
È così. I sostenitori della teoria del Pinkwashing sostengono che Israele utilizzi la promozione dei diritti Lgbti per mascherare la violazione dei diritti umani delle persone palestinesi derivanti dall’occupazione della Palestina e per avere vantaggi commerciali grazie al turismo generato dai gay pride. Davvero un paradosso.
Da dove nasce questo movimento politico?
Nasce in Occidente, ovviamente, da una costola di un movimento politico anti-israeliano ben più ampio, che si chiama Bds, che sta per Boicottaggio Investimento e Sanzioni. Bds sostiene che bisogna boicottare, non investire e addirittura sanzionare Israele per la sua politica estera nei confronti dei palestinesi. La loro teoria però nasconde in realtà un’agenda politica. Questi signori benché usino la retorica dei diritti umani, non si preoccupano minimamente di difendere i diritti umani delle persone Lgbti palestinesi che, come nel resto del mondo arabo, sono soggette alle discriminazioni più atroci. Non dimentichiamoci infatti che in alcuni Paesi è prevista la pena di morte per il “reato” di omosessualità. Insomma, il vero obiettivo è politico ed è delegittimare Israele.
Qual è la situazione attuale rispetto ai diritti Lgbti nel Medio Oriente?
Israele è un’isola felice in un mare di discriminazione. Nel Medio Oriente possiamo distinguere tre situazioni: la peggiore è quella in cui l’omosessualità è punita addirittura con la pena di morte, come l’Iran e altri 3 Paesi, poi una situazione intermedia, in cui l’omosessuale non rischia la pena di morte, ma i lavori forzati o vari anni di incarcerazione, dai 3 del Marocco fino ai 14 o 15 di altri Paesi. Fino ad arrivare ad altre situazioni in cui l’omosessualità non è punita dalla legge ma è perseguitata sotto altre forme. Per esempio nei territori sotto controllo dell’Autorità nazionale palestinese l’omosessualità non è punita dalla legge, ma esiste una grande omofobia sociale, radicata, che porta a situazioni per le quali i familiari arrivano a uccidere i propri figli o fratelli se omosessuali, e dove le persone Lgbti vivono situazioni di discriminazione molto severe.
Cosa fa Israele per la comunità Lgbti palestinese?
Molte persone Lgbti trovano rifugio in Israele, aiutate da associazioni israeliane, tra le più famose ci sono “Open House” a Gerusalemme, e “Aguda” a Tel Aviv. Entrambe hanno costruito progetti per aiutare persone Lgbti sia in Palestina, che in Africa e nel mondo arabo.
Cosa fanno in concreto le associazioni israeliane?
Cercano di aiutare queste persone, accogliendole.
È possibile accogliere i rifugiati Lgbti nonostante il conflitto?
È evidente che siamo in una situazione in cui vi è un conflitto tra due entità, per cui Israele ha difficoltà a concedere il diritto di asilo a cittadini che provengono da entità diplomaticamente “ostili” o nemiche, ma è stato possibile costruire delle soluzioni per aiutarli. Se il/la palestinese ha una relazione con un israeliano, allora si riesce a ottenere il permesso di soggiorno e lo status di rifugiato. In casi differenti, la pratica che si adotta è di non far deportare il rifugiato palestinese (che rimarrebbe quindi un immigrato illegale) e di tenerlo in Israele fino a quando non venga collocato in un altro Paese, dove si possa garantire la sua sicurezza.
In Israele qual è la situazione che riguarda le libertà Lgbti?
Israele è anni luce avanti rispetto al contesto in cui si trova. Il matrimonio è legale dal 2006. E vi racconto una curiosità. In realtà in Israele il matrimonio civile non esiste per nessuno, esiste solo il matrimonio religioso, che viene registrato civilmente. Nessuna delle 15 confessioni riconosciute dallo Stato aveva scelto di celebrare i matrimoni omosessuali ma dal 2006, grazie a una sentenza della Corte Suprema, anche i matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero si possono registrare. In questo modo, da oltre 10 anni, le coppie omosessuali si sono viste riconoscere molti dei diritti riconosciuti a qualsiasi coppia sposata, compresa la possibilità di adottare. Inoltre le coppie lesbiche hanno accesso alle tecniche d’inseminazione artificiale e le coppie dello stesso sesso vedono riconosciuti i propri figli generati all’estero grazie alla gestazione per altri. Per ovviare alla mancanza di cerimonie ufficiali in Israele sono frequenti le celebrazioni simboliche, e una delle prime è avvenuta nel 2009, con il sindaco di Tel Aviv.
Come mai c’è ancora così tanto pregiudizio verso Israele?
Più che pregiudizio c’è ignoranza dei fatti storici. Le ideologie, anzi, la non conoscenza, non permette di ragionare sui fatti storici e quindi spesso ci si dimentica cosa sia stata la Seconda guerra mondiale, e si è deciso che tra tutti gli spostamenti di popoli l’unico che non va bene è quello degli ebrei.
Si può essere per i diritti Lgbti e per il diritto dello Stato di Israele a esistere?
Secondo me questa è l’unica posizione coerente. Essere per i diritti Lgbti significa difendere anche una democrazia che sostiene le persone Lgbti.
A che punto siamo in Italia su diritti e libertà civili?
In una battuta: siamo passati dallo schiavismo all’Apartheid, ovvero dalla totale inesistenza giuridica delle coppie dello stesso sesso, a un ghetto, dove possiamo avere alcuni diritti. Possiamo, insomma, sederci in alcuni posti del tram a noi dedicati. Per esempio possiamo avere diritti di coppia ma i nostri figli continuano a non essere riconosciuti come tali. Insomma, esistono ancora posti di lusso e posti non di lusso.
Quali saranno le prossime battaglie di “Certi Diritti”?
Come da mozione congressuale continua la battaglia per la riforma del diritto di famiglia e il matrimonio egualitario, su questo non molliamo. Continueremo a batterci per i diritti umani delle persone intersex, la cui integrità fisica viene violata da bambini con vere e proprie mutilazioni genitali, e per l’autodeterminazione individuale di coloro che scelgono di svolgere il lavoro sessuale. Ci battiamo per una piena decriminalizzazione del lavoro sessuale, regolandolo solo attraverso il Codice civile e non quello penale, ma anche per una regolamentazione etica della gestazione per altri.
Elisa Serafini
Da L’Opinione