Si parla di Senato e legge elettorale mentre l’Europa, strisciando, si nsinua nel nostro Referendum. Renzi non vuole la bandiera dell’Ue a Palazzo Chigi, ma sulla (voluta) entrata di Bruxelles a gamba tesa nella Costituzione, nessun problema
Diciamoci la verità: in questi ultimi due mesi abbiamo letto, visto e sentito tutto e il contrario di tutto sulla tornata referendaria del 4 dicembre. Codazzi di parlamentari ed ex parlamentari riesumati per l’occasione, costituzionalisti, volti noti, giornalisti, hanno dato man forte al matrimonio Renzi-Boschi da un lato (hanno detto più Sì loro di tutti i coniugi del pianeta messi insieme), e al fronte del No della vecchia guardia del Pd e dei Cinquestelle dall’altro. La battaglia, però, non è politica, ma più giocata sul fronte delle opinioni (spesso della convenienza) personali. Per conquistare il popolo degli indecisi dell’ultima ora se ne combinano di ogni: c’è chi opta per lo “srotolìo” della scheda elettorale (Renzi), chi tenta di fare il piacione con le signore in prima serata (Berlusconi) e chi passa dal truccatore e dal parrucchiere per mettere sul piatto più delle doti comunicative (Boschi). Persino chi rievoca il “voto di pancia”, in barba a chi è convinto che, tolti i discorsi fiume e quelli cronometrati in maniera rigorosa, la cosa migliore sia prendersi mezz’ora e leggersi il testo della riforma costituzionale.
Convincono, nell’ordine, i toni enfatici, le risposte sibilline, l’impeto giacobino e l’eyeliner sull’ombretto rosa antico, ma il senso vero delle parole, beh, quello rimane confinato nell’Iperuranio di Platone. Sappiamo ormai tutto su Senato e senatori e sull’elezione del Capo dello Stato, mangiamo pane e titolo V della Costituzione e avvertiamo un “tin!” interno ogni volta che sentiamo nominare “quattro” e “dicembre” nella stessa frase, si tratti o meno del Referendum. C’è chi afferma di sentirsi alfiere del cambiamento o difensore della Carta dei padri costituenti a giorni alterni, altri, più informati o legati a un qualunque beniamino referendario, sentono di avere le idee più chiare. Anch’io, devo ammetterlo, ho esitato: mi piace l’idea di dare un colpo di falce al numero dei senatori, meno quella di perdere la possibilità di eleggerli e di vedere aumentare il numero degli inquisiti tra gli scranni di Palazzo Madama. Credo che le Province siano da sopprimere, ma temo che le Città Metropolitane non saranno poi tanto diverse dagli enti che le hanno precedute.
E con l’Europa come la mettiamo? Se ne è parlato poco, e solo dal punto di vista dei mercati (tremeranno? Lo fanno di continuo, e certo non si può dire che tutte le scosse sismiche siano terremoti) e del supporto al Sì di Juncker. L’Italia – ha detto – deve continuare con le riforme, e poco importa se nel fare questo si aggredisce l’architettura istituzionale. Per forza. L’Europa, nella riforma costituzionale, ci entra con la stessa forza del nuovo Senato, e portando con sé problematiche importanti quanto quelle che riguardano la riforma elettorale. Solo, se ne parla molto meno, e così quest’organismo – di cui sappiamo poco e che in buona misura ci è stato imposto – entra strisciando in un quesito referendario che sembra spiccatamente italiano ma che, in realtà, non lo è affatto. Noi chiudiamo la porta, e l’Europa di Merkel e Juncker entra dalla finestra in tuta mimetica, senza dare più di tanto nell’occhio.
Perché? Perché dove i nostri padri costituenti avevano previsto un generico “ordinamento comunitario” (che dell’Ue, ovviamente, non aveva nulla), adesso ci sarebbe “l’ordinamento dell’Unione europea”. Fin qui, insomma, la Costituzione era stata solo “interpretata” in senso europeista, adattata in caso di necessità, ma di concreto niente che legittimasse un organismo regolato dai trattati internazionali e non da una Costituzione vera e propria. Tanto che nemmeno quella europea (Trattato istitutivo di una Costituzione per l’Europa, 2004), è stata mai approvata: chiedere a Francia e Olanda per tutte le conferme del caso. Perché invece l’Italia dovrebbe mostrare così tanto il fianco e accettare una ulteriore limitazione della propria sovranità a favore dell’Europa? Questo accadrebbe, infatti, semplicemente modificando due termini apparentemente innocui (Unione europea in luogo di ordinamento comunitario), ma che invece danno tutt’altro valore, per esempio, ai principi contenuti nell’articolo 11 della Costituzione. E Renzi? Continua a calcare le orme dell’ex presidente del Consiglio che, al netto dei vessilli politici, sembra essergli più affine: Berlusconi schiera le aziende a favore del Sì e poi va in tv a decantare i pregi del no, Matteo fa togliere le bandiere dell’Ue da Palazzo Chigi e intanto, distraendoci come il buon vecchio costume consiglia, ci rifila la “cantonata comunitaria”.
Twitter: @ZairaBartucca