La City dei TartariIl mondo all’incontrario (Keep Marching On)

Da bambino, mi divertivo a guardare il mondo piegandomi in avanti e mettendo la testa fra le gambe divaricate. Cosa che ora mi preoccuperei del sangue alla testa, della pressione e di far cadere te...

Da bambino, mi divertivo a guardare il mondo piegandomi in avanti e mettendo la testa fra le gambe divaricate. Cosa che ora mi preoccuperei del sangue alla testa, della pressione e di far cadere telefonini e chiavi dalla giacca. Il 2017, un consiglio, osservatelo cosi’.

Era un mondo dove i cipressi diventavano radici nel cielo e le case si tramutavano in navi flottanti sul mare di nuvole. Il mondo delle favole dei regnanti che diventavano pezzenti, dei buffoni di corte che diventano imperatori per un giorno, il mondo all’incontrario. Dove tutta la ragione diventa follia, ed i folli si vestono da saggi.

E questo sembra questo inizio di 2017, nella sua prima manifestazione, fra nuvole di smog, nebbie, nevi paradossali e cieli sereni, ma non senza turbamento. Quel turbamento delle domande classiche, cosa ci guida e ci guidera’ nel 2017? Quale certezza, quale direzione, quale senso di leadership e quale leader? A chi affideremo futuro, speranze, sogni a chi chiederemo di darci la via, il programma o, come si dice a Firenze, l’abbrivio? Soprattutto, chi siamo diventati, noi?

Sembra una domanda malposta, banale, ma, davvero, chi siamo Noi. O chi sono Io? Se osservo il prossimo anno, forse il prossimo decennio, lo vedo con la prospettiva delle mie figlie, 5 e 10 anni, che giocano su Minecraft assieme, su due tablet diversi. E io e mia moglie chiediamo alla piccola: dove e’ tua sorella? Lei risponde: qui con me, accanto alla foresta di lava ed alla montagna di cristallo. Mia figlia maggiore era in realta’ al piano di sopra, in camera sua, ma per la sorellina la sua posizione era quella virtuale, del gioco, della simulazione. Viviamo gia’ in posti diversi, non nel presente fisico, ma nella realta’ nascosta e parallela delle chat, dei social media, delle conference call con colleghi in altriquando, in mondi sparsi. Viviamo altrove e, forse, sempre di piu’ da nessuna parte.

L’io e’ minacciato, non i mercati, non le aspettative di crescita ed il nostro benessere. Non mi preoccupano l’intelligenza dei robot, quella delle macchine che costruiscono altre macchine, o che fanno spaghetti, rendendoci nel tempo obsoleti, ma, forse ancora utili (che qualcuno li deve mangiare gli spaghetti). Mi inquieta questo continuo allontanarsi in mondi paralleli, di realta’ fittizie, dove tutto puo’ accadere e dove si cura il cancro con le parolacce, dove si vestono di abiti boriosi e osceni piccole verita’ frugali, rendendole assolute. La paura del diverso e’ la paura dell’ignoto o del Neo-Io che ci troveremo di fronte, un giorno, inaspettato. O pianificato non a tavolino ma come congettura di milioni di azioni.

Osservo questo accumularsi di conoscenza, di opinioni, di informazione su noi stessi, come individui e come collettivita’, in luoghi fuori da noi stessi e dove il codice per richiamare questa informazione ci appartiene ogni giorno di meno. Abbiamo abdicato alla difesa della nostra individualita’. La rete conosce le nostre preferenze, quello che facciamo, pensiamo, sa dove siamo, cosa compriamo, di chi ci innamoriamo e lo sa meglio di noi. Come mia figlia che sa, meglio di me e di mia moglie, che l’altra figlia sta bene perche’ la vede muoversi nel videogioco. Sono gia’ oltre, loro, in un mondo dove la realta’ e’ gia’ quella fisica e quella virtuale, unite, congiunte, senza ritorno.

Questa e’ la giungla che abbiamo davanti, un mondo dove, piano piano, stiamo abdicando a gestire il reale, per seguire le nostre emozioni. Le macchine stanno prendendosi il primato della razionalita’, la res cogitans e’ una macchina che elabora. Noi siamo sempre piu’ confinati al cuoricino, all’emotivita’. E, allora, non stupiamoci se, in questa deprivazione di razionalita’, di conseguenze date dai fatti, di uno piu uno fa ancora due, se in questo momento di desertificazione umana della complessita’, vincono le emozioni, i populismi. Le persone sentono, spesso prima dei potenti, di chi gestisce l’opinione comune (in un contesto nel quale questa opinione comune non esiste piu’), che qualcosa stona. Che questo esilio dal fatto, dalla realta’ conseguenziale e casuale ci sta alienando. Ci sta rendendo altro, ci sta modificando il senso dell’Io. Siamo emozione, sempre meno raziocinio. Senza profondita’ che non venga questionata, perche’ disturba, perche’ implica un lavoro, una fatica, un ripensamento. Perche’ implica lo studio di alternative e di soluzioni diverse o perche’ la realta’, spesso, troppo spesso, ci ricorda che senza umanita’, senza rispetto, senza costruzione di una societa’ nuova, si torna alle randellate, agli scontri, agli odi ancestrali.

L’uomo, con le macchine che stanno lentamente prendendo il suo posto, tornera’ a credere ad Olimpi popolati di divinita’ contrarie e raramente benevole, un mondo oscuro dove tutto viene controllato, senza che nessuno imponga le regole al controllore. Tanto vale, allora, l’anarchia, il leaderismo senza piano, le decisioni prese sull’istante, tenendo conto dell’ultimo tweet o del penultimo sommovimento di pancia.

Newton, oggi, se vedesse una mela cadere dall’albero, forse cercherebbe un bastone per castigare chi gliela ha tirata addosso. Fermat scriverebbe quiz per facebook.

Il rischio del 2017 e’ questa sottile, trasparente, ma pervasiva angoscia del diminuirsi dell’umanita’, del suo ruolo. Dove, allora, vince chi fa la voce grossa, chi ha argomenti luridi ma pesanti. Dove tutto cospira, e’ contro, perche’, ci dicono, gli esperti non sono altro che robot e macchine pensanti, il ragionare non crea ricchezza, non crea prosperita’. Sembra.

Ecco, contro questo rischio, la sfida e’ riaffermare la nostra natura duplice, o triplice, come dicono gli indu, di cane, uomo, stella. La capacita’ di empatizzare ancora con il pianeta, con la natura, la capacita’ di pensare e creare logos, discorsi coerenti e costruire astrazioni di pensiero che diventino azione. Capire, ascoltare, interpretare, dati, persone, emozioni, anche. Ma, soprattutto, riappropriarsi della propria centralita’ umana.

Di fronte a noi, ci aspettano cambiamenti epocali, climatici, tecnologici e sociali. Migrazioni di massa, alleanze inusuali e ribaltoni del pensiero dominante. Vedere Jack Ma a Davos con un abito da prete che parla di globalizzazione, di liberta’, fa venire in mente il Don Milani della lettera dall’oltretomba dove scrive che saranno i missionari cinesi a riportare la fede in Occidente. La cosa che Don Milani non poteva aver capito allora e’ questa fede e’ la fede nell’uomo, nella sua capacita’ di cambiare il mondo attorno in meglio, di far diventare la sua comprensione delle cose azione politica. In un mondo dove la politica, ahime, appartiene alla sfera delle derivate seconde o terze del mondo. Sillabari e linguaggi politici classici non appartengono piu’ al logos del mondo. Nemmeno io capisco il senso di centinaia di persone in abiti eleganti seduti in stanze ottocentensche a premer bottoni e discutere di ogni cosa.

Qualcosa deve cambiare, qualcosa deve diventare improvvisamente surreale, profondo, per poter essere riacquistato: il nostro Io.

O, alla fine, ci cercheremo tutti in rete e non piu’ nel mondo. E non ci cercheremo per un abbraccio ed una discussione sul meglio da fare, ma per spegnere la connessione.

Intanto, davanti, una giungla da attraversare.

Frammento dalla marcia del 21 Gennaio 2017 a Londra

Cosa ci facciamo qui a marciare”, dice mia figlia piccola, sollevando l’ilarita’ delle persone attorno, una manciata di anime rispetto ai milioni di persone in piazza. E mi immagino che mia madre avrebbe detto la stessa cosa: “o perche’ la porti in una manifestazione?”, con la reminiscenza delle dimostrazioni in centro a Firenze negli anni Settanta, che finivano sempre sotto all’ufficio di mio nonno, in piazza della Signoria, fra sirene ululanti, celerini e botte da orbi fra fazioni diverse. Ricordo anche io quegli anni incredibili, di fazioni, di violenza, sangue e idee radicali.

Vorrei rispondere alla piccola che stiamo marciando perche’ vogliamo dire la nostra, riappropriarci delle nostre decisioni e del nostro futuro. O, forse, cominciare ad abituarle, lei e sua sorella, come tanti dei bambini attorno, a pensare alla loro vita come uno spazio ancora da scrivere, che possiedono e che possono influenzare. La vita, la politica, il mondo. Poter decidere senza paura, senza timore, e, se del caso, mettersi assieme, trovare angoli di cooperazione, di discussione e di accordo. Marciare per riaffermare la presenza nel mondo, nelle sue cose, e per scoprire che non si e’ mai soli, quando si segue il cuore. la figlia piu’ grande lo sa, sa che il mondo e’ pieno di cose da cambiare, migliorare. Lo legge sui giornali, lo percepisce dalle discussioni e, la sera prima della marcia, ci ha proposto lei di scendere in piazza. Cosa che non facevo dalla marcia dei due milioni, nel Febbraio del 2003. E la figlia grande ci ha convinto, un segno del passaggio del tempo, quando si accetta che quello che ci dice una bambina sia giusto, giustissimo e perfettamente razionale.

Le guardo, una accanto che indica cartelli e persone, e l’altra, da sotto, la faccia sorridente sulle mie spalle. Alla piccola rispondo: marciamo perche’ ci piace stare con le persone, ci piace andare assieme agli altri, in una giornata di sole e circondati da persone serene. Ecco cosa ci piace. Una specie di mondo all’incontrario, tutti sono contenti di camminare e di fare fatica, perche’ vale la pena. Ride. ‘Quando si mangia?’ risponde.

SOUNDTRACK

The Alarm – Marching On

https://www.youtube.com/watch?v=kx7_MU-F2HM

Japandroids – Near to the Wild Heart of Life

https://www.youtube.com/watch?v=pSkrhQiwFcE

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