“Tutti gli esseri umani hanno tre vite: una pubblica, una privata e una segreta.”
Il 9 gennaio del 2007 al Moscone Center di San Francisco Steve Jobs, il visionario fondatore della Apple, presentava al mondo l’iPhone. Lo faceva citando il mito canadese dell’hockey su ghiaccio Wayne Gretzky “Io pattino dove il disco sta andando, non dove è appena stato”.
Infatti, senza ombra di dubbio, quella mattina al 747 di Howard Street a San Francisco non si stava assistendo solo alla presentazione di un nuovo telefonino ma si stava scoprendo un nuovo mondo. Nel 2006 erano stati venduti, a livello globale, meno di un milione di smartphone, nel 2016 sono stati comprati un miliardo e mezzo di cellulari smart e si prevede che nel 2020 saranno 5 miliardi le persone connesse ad internet grazie ad un apparecchio mobile tanto che per molti già adesso “internet è mobile”.
Ormai viviamo in simbiosi con un oggetto di cui non sappiamo più fare a meno, comunichiamo, sempre con maggiore frequenza solo grazie ad esso, ci stiamo isolando in un mondo fatto di pixel e gigabyte. Siamo sempre connessi, ma a chi e a che cosa?
Così i nostri smartphone finiscono per conoscerci meglio perfino di noi stessi, la nostra vita vera è quella racchiusa in quell’oggetto grande come una merendina, la cui batteria scarica ci provoca non poche ansie e che è diventato la scatola nera della nostra vita.
Al tempo dell’iPhone – come nel film di Paolo Genovese “Perfetti sconosciuti” – è lui a svelare chi siamo davvero; i messaggi, le chiamate, i selfie che accendono il display svelano zone sconosciute e imprevedibili del carattere di ognuno, suscitano ilarità, ma anche sorprese, imbarazzi, amarezze, risentimenti.
Diceva lo scrittore colombiano Gabriel García Márquez: “Tutti gli esseri umani hanno tre vite: una pubblica, una privata e una segreta.” così quella parte che ognuno di noi non vuole far conoscere agli altri passa esclusivamente attraverso il telefonino. Quello che ormai non è più solo un gadget elettronico da sfoggiare con gli amici ma un’ appendice di noi stessi, quel’ “i” inserito davanti al nome dei prodotti della casa di Cupertino per identificare quei dispositivi capaci di connettersi a internet, dall’iPhone in avanti ha assunto sempre di più il significato del pronome “io” tanto che secondo l’ultimo rapporto Eurodap, l’associazione europea disturbi e attacchi di panico, nove italiani su dieci custodiscono il proprio cellulare con cura per evitare che finisca nelle mani di familiari o amici.
Così più che portarci il mondo a portata di mano, lo smartphone diventa l’uscita d’emergenza ogni qualvolta che serve prendere la classica boccata d’aria fresca dalla recita quotidiana da fare agli occhi degli altri.
Secondo l’istituto Demopolis l’84% dei giovani tra 15 e 24 anni usa uno smartphone e resta connesso per 15 ore al giorno. La principale attività è l’accesso ai social network (Facebook soprattutto), ma per dirla con le parole del sociologo Zygmut Bauman “I social media spesso sono una via di fuga dai problemi del nostro mondo off line, una dimensione in cui ci rifugiamo per non affrontare le difficoltà della nostra vita reale”.
Così la grande rivoluzione, alla quale abbiamo assistito senza accorgercene, introdotta da Steve Jobs quel 9 gennaio di dieci anni fa non è tecnologica (ben venga la tecnologia) ma la fragilizzazione delle relazioni. Il peggior incubo della nostra società è essere esclusi, abbandonati, trovarsi in una posizione in cui nessuno ha bisogno di noi.
Connettersi con altre persone on line è molto semplice, non lo è invece nel mondo reale. In rete l’altro è sempre presente, c’è sempre uno spazio dove poter entrare in contatto con lui o con lei, c’è sempre uno storytelling che possiamo costruire senza la prova del nove della vita vissuta. L’effetto inaspettato è che si tratta di connessioni molto fragili, che è facile spezzare: non si hanno bisogno di scuse per interrompere una relazione, basta semplicemente ignorare.
La mia ovviamente non vuole essere una critica agli smartphone, ma un invito, soprattutto alla generazione alla quale questo blog è dedicato a vivere l’emozione di un “vuoi uscire con me?” lontano da Facebook, o di un complimento che non sia solamente un like, o ancora ad ascoltare un concerto guardandolo non attraverso lo schermo del telefonino.
11 Gennaio 2017