Non vi spaventate. Non ho armi con me. Non intendo incitare spiriti giacobini, propagandare la storiella della tabula rasa, sdoganare «Prima Linea» o riproporre qualche spot populista. I moderati possono tranquillizzarsi, anche se a loro non piacerà quel che segue.
Vorrei parlarvi in due battute di un filosofo italiano che nella prima metà del Novecento ha intonato i versi dell’amore e del rispetto incondizionato verso gli uomini, le donne, i cagnolini, i lombrichi e gli alberi. Uno spirito rivoluzionario custodito in un corpo fragile, un partigiano della morale con la voce timida, un intellettuale che non firmava autografi, un religioso che ha ridicolizzato con sguardo severo i cristiani senza Cristo, un liberale che disprezzava la libertà negativa, un socialista a cui non importava il vangelo determinista o la lotta cocciuta di una classe a scapito di un’altra, un idealista che non si limitava a guardare dalla finestra, un profeta che cercava i sedili posteriori negli autobus, un poeta che non voltava le spalle al dolore, un’anima nobile da accostare a Francesco d’Assisi, Gandhi e Luther King. Non è una leggenda. È esistito davvero Aldo Capitini.
Riporto un ricordo molto importante del suo amico Guido Calogero, così almeno ci credete: «venuto su dal popolo» il giovane Aldo «era riuscito a prendere la licenza liceale soltanto tardi, e quando già si guadagnava la vita col suo lavoro. Vinto il concorso per entrare alla Scuola Normale di Pisa, aveva potuto laurearsi in lettere in quella università, e della Normale era diventato segretario. Un posto invidiabile, per chi, come lui, poteva bene non desiderare altro che attendere ai suoi studi e discutere e diffondere idee in quell’ambiente di alta intelligenza giovanile. Ma a un certo punto era stato messo al bivio tra il conservare il posto iscrivendosi al partito fascista e il rifiutare l’una e l’altra cosa tornando ad affrontare la miseria a casa propria: e aveva scelto questa seconda via».
Aldo ha scelto «la strada meno battuta» e ciò «ha fatto tutta la differenza», come direbbe il poeta Robert Frost. Ha scelto la via della libertà interiore, quella che ti copre bene prima di dormire, e che ti consente di guardare negli occhi i tuoi figli, tua moglie, il tuo allievo. Nonviolento, vegetariano, sobrio fino alla nausea, elegante rompiscatole pronto a insultare il potente con il suo rigoroso stoicismo, Capitini non ha eredi.
Oggi direbbe al chiunque di vivere nel mondo e lanciare la sua «aggiunta» a titolo gratuito, sfuggendo ai giochi massonici del do ut des. Direbbe al giovane di lasciar perdere lo spinello, di non fare il gioco del sistema, di non arrendersi alle strategie del cinismo, di andare a prendersi quel che gli spetta. Di vivere l’eterno nell’istante, senza scomodare i seguaci dello Sturm und Drang. Di guardarsi attorno e interloquire con il passante in attesa che arrivi il suo treno, di sentire il brivido dell’empatia e frenare il solito recital di tutte quelle comparse gettate dans la rue, di respirare l’onestà trasmessa dai nostri nonni, che spesso non trova riscontro nel manichino in giacca e cravatta. Di mettere in pratica quel che si pronuncia in silenzio nella propria stanza, e che il mercato del folle vieta. Aldo ti direbbe, con il sorriso, che è giunta l’ora della rivoluzione.