Di quante architetture, quartieri, città intere oggi ci vergogniamo o dovremmo vergognarci? Quante di queste occasioni d’imbarazzo, al limite tra l’intimo ed il collettivo, domani potrebbero essere riconosciute Patrimonio dell’Umanità? Quali, al contrario, segnano il limite, cangiante, tra giusto e disonorevole, tra organizzazione virtuosa o imposizione colpevole dello spazio collettivo?
Se dovessimo immaginare oggi un’architettura di cui vergognarci in un futuro già prossimo, penseremmo certamente al muro dell’America dell’era Trump. Un muro che chiude l’America nel suo perimetro, che ne cambia il profilo, che divide la sua gloriosa storia da un futuro che appare incerto e pericoloso, non solo per i cittadini americani.
“Il Messico va rispettato, Mister Trump” si leggeva su un immenso striscione in testa al corteo a Città del Messico, dove hanno sfilato circa 20mila persone. Con bandiere messicane, molti vestiti di bianco, i manifestanti hanno invaso il viale principale della città messicana, rispondendo in massa all’appello delle organizzazioni sindacali, delle università e delle aziende. La determinazione con la quale il presidente Trump ha affrontato questi suoi primi mesi di presidenza porta a pensare che, probabilmente, questo imbarazzate e vergognoso muro potrebbe davvero essere alzato. La firma del decreto per la costruzione del muro è stato il primo passo. Una decisione che trova consenso nell’America più profonda, quella delle estreme periferie che ha votato Trump e che ancora vede nel tycoon di New York la speranza di un riscatto.
Nello studio dell’architettura della vergogna non c’è solo il muro tra Messico e USA. La storia dell’uomo è piena di opere imbarazzanti che hanno violentato la bellezza dei luoghi e della natura. Questo studio sull’architettura imbarazzante è nato da un gruppo di ricerca di Matera, capitale europea della cultura per il 2019, e città bollata in passato come “vergogna d’Italia”, per via delle condizioni fatiscenti in cui vivevano i suoi cittadini, fino al 1952. Con un approccio quasi escatologico, questo gruppo di ricerca, nato dall’incontro di studiosi pronti a porsi domande in merito all’architettura, al paesaggio, alla giurisprudenza e all’arte, ha cominciato a interrogarsi sul concetto di architettura della vergogna. L’idea, nata intorno alle riflessioni di Fabio Ciaravella, ricercatore allora fellow al MIT di Boston, ha trovato proprio nella città dei Sassi la sua più naturale collocazione. Il progetto Architecture of Shame vuole diventare un centro di ricerche e documentazione sulle relazioni tra Architettura e Vergogna ponendo proprio Matera al centro simbolico e geografico di una “terapia analitica collettiva” che coinvolge l’architettura europea. Non è un caso che una parte del fortunato dossier di candidatura di Matera2019 sia dedicato proprio a questo tema.
Ma non c’è solo Matera nelle loro analisi.
Il gruppo di ricerca guarda al muro tra Messico e USA come ad un gesto importante sul piano geopolitico e che lascia intravvedere la possibile concretizzazione di una politica xenofoba con immaginabili ripercussioni in Europa nel rafforzare la voce di partiti e movimenti nazionalisti, anti-europeisti e contrari ai flussi migratori.
Osservare il nuovo muro e confrontarlo con il “limite” della vergogna oggi significa capire di cosa sentiamo di vergognarci oggi, perché oggi questa decisione si dirige verso qualcosa che il nostro tempo ha deciso di qualificare come negativo, in che modo il mondo delle connessioni infinite può prendere una posizione davanti a questo contro senso della contemporaneità e del futuro? Secondo l’opinione del gruppo di ricerca, “il legame tra architetture e sentimento della vergogna apre una discussione su molti aspetti della cultura contemporanea in grado di raccontare le complesse relazioni tra le comunità e lo spazio che vivono, sia quando lo definiscono sia quando lo subiscono. Una discussione che crediamo abbia la forza di problematizzare convinzioni e dinamiche che oggi come ieri “producono gli spazi” e la simbolicità della vita quotidiana.”
Il progetto di Architecture of Shame ha mosso i suoi primi passi lo scorso novembre prendendo parte alla XV Biennale di Architettura di Venezia con la mostra “Indagine sui non abitanti”. La mostra è stato il risultato di una ricerca sperimentale sul patrocinata e sostenuta dalla Fondazione Matera 2019, realizzata in collaborazione con Biennale Urbana, Ater Venezia, il centro di ricerche storiche e sociali IVESER e ThisIsaCo_op Padiglione Grecia alla Biennale d’Architettura di quest’anno.