Innegabilmente, ciò che emerge dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi è il grande elemento del cambiamento, già motivo di grande curiosità, oltre che di una certa apprensione. Quella del prossimo 7 Maggio si preannuncia del resto come una sfida dal forte carattere innovativo: con un Le Pen al femminile, capace di rinnovare completamente un nome storicamente scomodo e pesante da un lato, e un giovane semi-sconosciuto di nome Macron, abile emergente in un panorama politico sempre più ambiguo.
Storicamente, la politica francese era animata dalla competizione fra due grandi famiglie politiche principali: i socialisti dell’uscente Francois Hollande (un caso il suo tracollo odierno?) e i repubblicani, sostanzialmente ex-gollisti, del già noto Nicolas Sarkozy. Essi rappresentavano cioè due culture politiche solide nel Paese, divenute ormai portavoce di una dialettica partitica dai valori e dalle prospettive chiare, resistenti e categorizzanti. L’esatto opposto, insomma, di come si presentano oggi, alla luce dei risultati appena ottenuti.
La cristi totale che ha investito i partiti tradizionali di molti paesi europei ha difatti mostrato nuovamente tutta la sua essenza sul suolo francese, palesando consensi alle forze tradizionali dai livelli imbarazzanti o, comunque, lontani da aspettative vincenti: solo un 6,3% per il Partito Socialista e un affannato 19,9% per il Partito Repubblicano.
La decadenza del vecchio, del “già provato e conosciuto”, ha ceduto quindi il passo a personalità e gruppi politici nuovi, outsider o totalmente rivoluzionati rispetto al sistema politico precedente. La lotta per il ballottaggio conferma, in altre parole, il trionfo del nuovo, dell’inconsueto, inteso come il venir meno di collocazioni in schemi dalla cultura politica ampiamente assimilata. Un trionfo pertanto anche della confusione, dello smarrimento dell’elettorato, il quale, sempre più deluso e disaffezionato ai soggetti tradizionali, cerca potenzialmente di sfogare la propria rabbia, delusione e colpa esprimendo il consenso in favore di forze diverse, di nuovi emergenti dalla non ben chiara derivazione ed evoluzione.
Crisi dei partiti tradizionali, inoltre, significa crisi delle élite politiche consuete. Non è un caso se a vincere sono, appunto, outsider della politica o personaggi dal passato più variegato. Ciò sottolinea l’oramai chiaro segno di un distacco profondo dalla realtà e dalle reali, tangibili istanze popolari da parte di certi gruppi dirigenti, incapaci non solo nella risoluzione di problemi reali, bensì proprio di presentare prospettive, idee e forze rinnovate e di nuovo entusiasmanti.
La retorica del “sono sempre le stesse facce, le solite persone ecc.” presenta dunque echi di verità assoluta, che naturalmente vanno a chiamare in causa la priorità di considerare una migliore attenzione circa i processi di selezione dei singoli componenti della classe politica. A volte non è sufficiente procedere ad una rottamazione, per lo più solo di nome e non di fatto. Laddove si volessero ripristinare valori e forze tradizionali e sicuri, evitando dunque di cadere in movimenti sospetti o improvvisati, occorre piuttosto una vera “rivoluzione” interna, tale da consentire un riordino completo e l’avvio di una epoca nuova perché diversa, in cui prevalga la ricerca di un’azione sostenibile e, in quanto tale, concretamente realizzabile. No slogan a vuoto o irreali, ma proposte serie e fattibili.
Il ballottaggio francese del 7 Maggio è dunque uno scontro sicuramente senza precedenti, che porta con sé una serie numerosa tanto di cambiamenti, quanto di imbarazzi. L’incertezza lo circonda, così come un elevato grado di caos identitario che aprirà una porta verso l’ignoto e, potenzialmente, verso tristi destini.