Vedo che la querelle sul femminile di nomi come “sindaco”, “ministro”, ecc – polemica sollevata dal richiamo ad un giornalista, da parte di Valeria Fedeli – appassiona l’utente medio del web come non mai. A tal punto che si sente di raffinati linguisti, fino ad ora sfuggiti alla mia attenzione e a quella ben più autorevole delle accademie, che discettano sul cosa si può o non si può dire. E insomma, il femminile – per quelli che son visti come “mestieri maschili” – non si può dire.
Or bene, andando per ordine e cercando di fare un po’ di chiarezza.
1. La parola “ministro” deriva da MINISTER, latino. Vuol dire colui che sta sotto, da MINVS. Ha un corrispettivo, MAGISTER (da MAGIS) che ha il significato opposto: colui che sta sopra. Quest’ultima parola ha, a sua volta, un femminile: MAGISTRA. Da cui deriva la parola italiana “maestra”.
2. Se ne deduce che, se si può dire “maestra”, per le stesse identiche regole di derivazione si può usare serenamente “ministra”. È l’italiano che ce lo chiede, insomma. E se ci fa strano, è perché viviamo in un paese di cavernicoli che pensano ancora che ci siano lavori da uomini e da donne.
Prima di pensare alle cose che si possono o non si possono dire, pensiamo a cosa non sarebbe più il caso di sentire. E sarebbe ora di smettere di usare a sproposito parole e teorie su regole e usi – dalla grammatica ai vaccini – che evidentemente i più non dominano. Sarebbe poi anche il caso di studiare e informarsi, ma capisco che vivere in un paese come il nostro espone alla stessa decadenza intellettuale che lo sta divorando. Anche se questa non è una scusa. Semmai un’aggravante.