Ieri sera alla Manchester Arena, il mega palazzetto su Trinity Way sede di moltissimi eventi musicali e sportivi, poteva esserci uno qualsiasi di noi. Un normale lunedì sera, il concerto di una cantante amata anche dai giovanissimi, la star americana di lontane origini italiane Ariana Grande, la musica, gli smartphone che fotografano e registrano pezzi di spettacolo, la birra, che da queste parti non manca mai.
Ci sono attentanti terroristici tutti i giorni, è vero, ma quando la mappa del terrore si arricchisce di una città che è legata al nostro vissuto l’effetto emotivo è più forte. Dopo Madrid, Londra, Nizza, Stoccolma, Berlino, Parigi, l’Europa piange nuovamente. Manchester, circa 350 chilometri a nord di Londra, la città nota per le acciaierie e il calcio (ha sede qui il glorioso Manchester United che domani sera a Stoccolma si gioca l’Europa League), in una notte di festa si è trasformata in un teatro di morte.
Un kamikaze si è fatto esplodere nel foyer della Manchester Arena, il bilancio – per ora – parla di 22 morti e 59 feriti soprattutto ragazze e bambini.
Gli obiettivi dei terroristi non sono più i simboli del potere, politico o economico, ma bensì, quei luoghi di aggregazione e vita quotidiana: bar, stadi, locali e ristoranti. Non c’è metodo, non c’è strategia. Solo la volontà di uccidere quanti più occidentali è possibile, meglio se giovani. Questa guerra vigliacca, fatta di paura e terrore, ha per nemico la nostra generazione con la sua gioia di vivere.
Questo terrorismo odia e vuole minare le nostre libertà, le fondamenta della nostra società aperta, cardine degli ideali che ci hanno portato al punto di farci odiare da chi ci vuole divisi, chiusi nelle nostre case, impauriti dal nostro vicino nella metro.
Ariana Grande nelle sue canzoni, canta l’amore delle ragazze di oggi in tutte le sue sfumature. Quello che Isis odia di più. Ma Isis odia prima di tutto noi, la generazione Erasmus, e non cadiamo nell’errore di pensare ai terroristi come a violenti che arrivano nel nostro continente coi barconi. Sempre più spesso sono ragazzi europei che odiano l’occidente, pensano che la società ce l’abbia con loro. L’islamizzazione è un pretesto per sacralizzare il loro odio.
Venticinque anni fa, proprio in questi giorni, il mattino seguente all’attentato che costò la vita al giudice Falcone, sua moglie Francesca ed agli uomini della sua scorta, lungo il corso che attraversa il centro di Capaci comparvero, attaccati agli alberi, dei cartelli sui quali c’erano scritte frasi di condanna alla mafia. Li avevano fatti i ragazzi del posto ed erano il segno che la speranza di un futuro migliore era più forte del terrore e delle bombe.
Stamattina, leggendo le notizie che arrivano da Manchester, viene voglia di comprare un biglietto per un concerto, uno qualsiasi e andare. Deve essere questo il nostro modo di resistere, di continuare a vivere, di non lasciarci vincere dalla paura. Non è facile, non è per niente facile. Noi, con la nostra voglia di vivere, siamo l’obiettivo di chi mette la vita e la morte sullo stesso piano.
Mi piacerebbe che oggi, in tutto il mondo suonasse la musica di Ariana Grande, perché nessuno può stare tranquillo, ma il modo migliore per onorare le vittime di questo odio assurdo e vigliacco è non smettere di vivere, non indietreggiare, non cedere alla paura.