Lo sapevamo, ma ora ce l’hanno gridato nelle orecchie. Continueremo a fingere di non sapere? Che cosa? Oh, è molto semplice: che il debito pubblico ci sta schiacciando come il pastorello Aci lo fu dal macigno scagliatogli in testa da Polifemo. Là, nel mito, per una ninfa del mare, una nereide: Galatea; qui, nell’insolitamente poco assolata Italia di fine maggio – un presagio? – per una ignavia forse più degna di una liberatoria e opportuna pedata in culo che dei vesponi e dei mosconi e dei vermi che Dante riserva all’Inferno a tutti coloro «che mai non fur vivi».
«Ma che fai? Ma non lo sai che se vuoi fare politica devi volare basso? Devi dire cose immediatamente comprensibili a tutti, e che mai e poi ma dovrai costringere i tuo lettori a consultare un libro per intendere?». Chi parla, i latori di questa arguta obiezione, solitamente non hanno mai combinato nulla nella vita.
Io penso che questa inveterata convinzione così solertemente espressa dai non richiesti consiglieri d’ogni risma, sia la causa del degrado della politica, della democrazia contemporanea. Comunicare non è una disfida, è un atto di amore e se la parola suona troppo zuccherina, diremo che è un atto di stima.
Stimare chi ti legge, chi poi magari ti voterà, significa considerarlo esattamente al pari tuo. Non pretendo certo che un meccanico colga immediatamente il riferimento mitologico, ma probabilmente anche un ingegnere e – considerando il livello scolastico italiano – nemmeno un laureato in lettere, temo, e tuttavia forse che io comprendo le spiegazioni circa la coppia conica quando porto l’auto a riparare? La prima volta che le sento?
E io che faccio: mi documento, mi informo, e poi comprendo. Che c’è di riprovevole o bizzarro? Sapete qual è il discrimine? Che per me il sapere meccanico vale quanto quello classico mentre per chi si ritiene indimostratamente membro di una élite, questo semplice convincimento si traduce inevitabilmente nel crollo della propria autostima intera.
Io sono meglio, indimostratamente. Eccolo il cuore putrido del razzismo, la sua infinita stolidità. Pavidità, meglio. Il pensatore versus l’homo mechanicus, una cosa da iniziare a ridere adesso e non finirla più.
Ma torniamo al debito pubblico. Bankitalia ci fa sapere oggi che a marzo, causa l’aumento del fabbisogno delle Amministrazioni Pubbliche (26,3 miliardi), il debito pubblico ha raggiunto il record storico di 2.260 miliardi: il livello più alto dal luglio dello scorso anno, allorché la cifra monstrum si attestò a 2,252 miliardi.
Chiedo scusa al signor Primo Ministro Gentiloni, ma non ho ben capito come intende affrontare il Ciclope. Spero non chiedendo ulteriori sacrifici agli italiani, perché com suol dirsi in gergo sportivo, gli italiani “non ne hanno più”.
Vorrei tanto che si smettesse di favoleggiare nel Def su crescite e avanzi primari inesistenti e che si dicesse una volta per tutte che la clausola di salvaguardia dell’IVA al 25%, stanti così le cose, è ineluttabile.
E l’IVA tra le tasse è la più iniqua, colpisce tutti indiscriminatamente, a lor signori importa?
A me sì. Cari lettori, vi rivolgo un invito, dopo avervi posto a un bivio: credete alle previsioni governative? Allora votate PD e buona fortuna. O magari 5 Stelle, che ha sterilizzato un consenso sufficiente a cambiare radicalmente l’Italia con la logica del “non ci alleamo con nessuno”, che in democrazia non è il delirio, è di più. Temo intenzionalmente. Come la blocchi una rivoluzione democratica? Così. Buttando i voti nel pozzo.
Se non credete alle favolette del Def, per cortesia, guardatevi intorno. E ditemi: senza una riscossa nazionalista è possibile sottrarsi al giogo della BCE? E come pensi di farla questa riscossa se non con gli ideali?
E lo state sentendo qualcuno che parli di ideali, a parte me? Non è immodestia, è la realtà. Se sbaglio, ma ve ne prego, fate i nomi.
Per il momento vi chiedo attenzione. Tra qualche mese, vi chiederò il voto. Con l’IVA al 25% e Padoan che rassicurerà che non lascerà che arrivi al 32%.
Dico davvero: potessi scegliere questo aiuto non lo vorrei.
A presto.