MillennialsAutonomia: prendiamola sul serio

Sono veneto, ma non sono mai stato un indipendentista. Né tantomeno intendo cambiare idea in occasione di questo articolo. Tuttavia c’è una questione importante, che non riguarda solo quelli del ...

Sono veneto, ma non sono mai stato un indipendentista. Né tantomeno intendo cambiare idea in occasione di questo articolo. Tuttavia c’è una questione importante, che non riguarda solo quelli del Nord, di cui bisogna iniziare a parlare. La spesa pubblica italiana è una scure sul futuro (e sul presente) dei millennials. Si spende troppo (e le tasse necessariamente alte non sono in sconto per la generazione più giovane, che è anche la più precaria e la peggio retribuita), ma soprattutto si spende quasi tutto a beneficio di generazioni diverse dalla nostra. Il nostro Paese è un rubinetto che perde (in tutti i sensi, chiedete ai poveri romani). Spesa alta, tasse alte, debito alto, ma per il futuro poche, pochissime risorse, che vanno disperse nelle innumerevoli falle presenti nella struttura.

Di misure per tappare i buchi ne servirebbero molte, ma delle tante di cui si parla, l’autonomia differenziata non è certo una delle più discusse. Eppure, a breve, avremo un’importante occasione in cui parlarne, ed è meglio non sprecarla. Il referendum per l’“autonomia” fissato in Lombardia e Veneto il prossimo 22 ottobre verrà, ahimè, tacciato dai più come il solito guizzo egoista della Lega Nord (che poi, almeno in parte, è effettivamente così), ma sarebbe un peccato, sebbene questa tentazione sia comprensibile, perché la questione di fondo è estremamente seria. Manca ancora un po’ di tempo, ma è meglio moltiplicare le occasioni di discussione iniziando un po’ in anticipo.

Il referendum non riguarda l’indipendenza, ma la volontà o meno di azionare il meccanismo previsto dall’articolo 116 della Costituzione, fin ora mai utilizzato, che permette alle Regioni virtuose di chiedere allo Stato il riconoscimento di un grado di autonomia superiore a quello ordinario (da non confondersi con le Regioni a Statuto speciale, sono un’altra cosa). La singola Regione potrà infatti chiedere di esercitare in via esclusiva una serie piuttosto lunga di competenze, prevalentemente quelle che ora sono concorrenti, ovvero esercitate, con un ruolo secondario, assieme allo Stato. Non stiamo parlando di dettagli: istruzione, commercio con l’estero, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, grandi reti di trasporto, produzione e distribuzione di energia, per citarne alcuni. L’iter è lungo e complesso: serve una legge ad hoc approvata dal Parlamento a maggioranza qualificata. La pressione politica e il supporto nei confronti di tale operazione devono essere massicci: ecco il perché (o meglio, il perché principale) del referendum popolare.

In uno Stato che amministra male le risorse, fa un’enorme differenza il fatto che tali competenze vengano gestite in autonomia da parte delle Regioni più virtuose, che tendenzialmente le gestirebbero ben meglio di come fa lo Stato. Ma non siamo qui a fare il tifo per certe Regioni a scapito di altre. I benefici dell’autonomia differenziata sono ben lungi dal limitarsi dentro i confini di Veneto e Lombardia (le regioni italiane più virtuose assieme all’Emilia Romagna), ma farebbero da toccasana per la spesa pubblica e il debito di tutto lo Stato italiano. E’ stato stimato che la devoluzione delle competenze in oggetto alle Regioni che sanno gestire bene i bilanci, che nel caso concreto sono anche le Regioni dove è accumulato il tessuto produttivo più florido e trainante dell’economia del Paese, comporterebbe un aumento del Pil nazionale di 5,2 miliardi l’anno. A ciò si aggiunga la diminuzione della spesa pubblica che consegue a un utilizzo più efficiente delle risorse necessarie per la gestione delle competenze devolute. Ma soprattutto, in generale, immaginate gli effetti sulla spesa se tutte le regioni più efficienti rispetto allo Stato venissero dotate dell’autonomia ex articolo 116, e se lo Stato nel contempo gestisse in maniera più centralizzata le stesse competenze delle Regioni più sprecone.

Poi diciamolo, anche se si potrebbe obiettare che non è politically correct: soprattutto la Lombardia (gran parte del lavoro lo fa Milano) è una delle zone d’Italia che offre più possibilità ai giovani. Il fatto che istruzione, ricerca scientifica e tecnologica e investimenti sull’innovazione siano gestiti meglio e ad un livello più “vicino” al tessuto sociale e alle sue peculiarità, può far bene. Certo, tecnicamente non erano necessari tutti quei milioni spesi per un referendum: l’articolo 116 si attiva su richiesta della Regione. Il Governatore del Veneto Zaia ha detto che la Regione ci ha già provato ma è stata ignorata dal Governo, però insomma, la puzza di strumentalizzazione per raccattare consenso elettorale rimane. Siamo vicini alle prossime elezioni, la Lega e il centrodestra in generale devono prepararsi e questa iniziativa è sicuramente una vetrina per loro. Però, in ogni caso, il referendum si fa, tanto vale prendere sul serio le questioni che smuove, perché meritano una discussione al netto delle contingenze elettorali del caso.

Leonardo Stiz