Una cosa voglio dirla, sulle “donne ombrello” della famigerata fotografia che gira sui social network e che desta, giustamente, molta indignazione. Per chi non lo sapesse già: si è fatto un convegno a Sulmona in cui i relatori erano maschi e le uniche presenze femminili sul palco si limitavano ad alcune ragazze la cui funzione era quella di reggere degli ombrelli per proteggere i presenti dalla calura estiva. Il convegno è stato organizzato dal presidente della Regione Abruzzo, tale Luciano D’Alfonso, del Partito democratico. Insieme a lui, il ministro per la Coesione territoriale, Claudio De Vincenti, anch’egli del Pd.
Faccio notare questa cosa perché sempre da quel partito arrivano, poi, strali contro sessismo e misoginia verso soggetti altri, verso i partiti avversari. Questa pagina imbarazzante della politica italiana non dimostra, ovviamente, che il Pd sia un partito misogino nella sua complessità, ma che è un soggetto politico – semmai – che non ha ancora le carte in regola per ergersi a moralizzatore sul tema della questione femminile. Un po’ come la questione delle stepchild adoption, per capirsi: fu Renzi il primo a indebolirle, con il suo via libera contro la possibilità di adottare il configlio, dando appunto libertà di coscienza ai suoi parlamentari. La narrazione politica addebita, tuttavia, la colpa unicamente al M5S che pure ha fatto errori grossolani e imperdonabili.
Con la questione femminile è lo stesso: ricordiamo la “bambolina imbambolata” di De Luca, governatore della Campania, a Virginia Raggi? La cultura di riferimento, dietro il convegno abruzzese, parte proprio da quell’immagine: belle statuine, al servizio di un potere maschile che non mette in discussione le sue pratiche escludenti e che non prova il minimo imbarazzo a inscenare una situazione in cui la donna è, ancora una volta, oggetto di un sistema di potere invece che soggetto politico paritario.
Sia ben chiaro: non voglio parteggiare per questo o quel soggetto politico, tra quelli citati, che reputo invece responsabili in egual misura in relazione alla condizione femminile e, più in generale, alla questione di genere. Naturalmente con i dovuti distinguo, interni ed esterni. Ma un partito – qualsiasi esso sia – che permette ai suoi di rappresentarsi con messaggi del genere, poi perde credibilità quando cerca di fare la morale agli altri. E se tale partito si vende come istituzionalmente più credibile, il tonfo che fa di fronte a fatti come questo è ancora più forte. Da un cafone, per capirci, ci aspettiamo il peggio pur non perdonandolo. Da un signore, invece, ci aspettiamo un comportamento esemplare.