Ipse DixitIslam in Love

Rania Ibrahim è l’autrice del romanzo Islam in Love, pubblicato nel 2017 da Jouvence Edizioni, casa editrice milanese collegata al gruppo editoriale Mimesis Edizioni. Prima di entrare nel merito...

Rania Ibrahim è l’autrice del romanzo Islam in Love, pubblicato nel 2017 da Jouvence Edizioni, casa editrice milanese collegata al gruppo editoriale Mimesis Edizioni.

Prima di entrare nel merito del romanzo penso sia opportuno provare a conoscere un po’ di più l’autrice. Non mi azzardo a scrivere una biografia di poche righe di una donna come Rania.

Rania a te la parola. Presentati.

Mi chiamo Rania Ibrahim, sono nata in Egitto e sono stata portata in Italia a poco più di due anni. I miei genitori sono qui dal 1971, io sono nata nel 1976. Ho frequentato tutte le scuole italiane, dalla scuola materna sino all’università (Rania è laureata in Scienze Politiche con Master in Marketing e Relazioni Pubbliche – ndr) e sono iscritta all’Ordine Nazionale dei Giornalisti come pubblicista. Mi occupo prevalentemente di tematiche legate al mio mondo, o meglio al mondo che mi attribuiscono. In Italia esiste l’abitudine di etichettare tutto e tutti in base ai propri interessi ed alle proprie origini. A me va bene, per carità, i temi di cui mi occupo sono quotidiani e di viva attualità e mi piace scardinarli soprattutto guardandoli da dentro. Ci si può esprimere al meglio conoscendo i mondi di appartenenza, quindi il mondo arabo, la religione islamica e tutto quello che concerne con questi ambiti.

Sono spostata ed ho quattro figli di differenti età; è un bel lavoro, il mio primo lavoro è fare la mamma. Quando lo dico diverse mie colleghe ci rimangono un po’ male, ma il mio primo lavoro è proprio fare la mamma. Ho scelto di dedicarmi in primis alla mia famiglia, perché per la mia famiglia penso di essere necessaria ed insostituibile. Come giornalista penso che ci possano essere tantissime colleghe anche più brave di me; non ci sono problemi. Da quando ho compiuto quaranta anni si è rinvigorita la voglia di riprendere a scrivere, di riprendere il treno, ed ho ripreso a scrivere, ad esempio per il blog di Yalla Italia e per il blog del Corriere della Sera La Città Nuova, entrambi espressioni della Milano multiculturale.

E poi è giunto il momento di tirare fuori questo romanzo, che ho iniziato a scrivere tanti anni fa; ho ripreso tre agende colme di disegni, appunti, nomi cambiati più e più volte ed in tre mesi ho messo tutto insieme.

Adesso facciamo un breve test, necessario per valutare il livello di sincerità dell’intervistato. Per quale squadra di calcio fai il tifo?

Milan!

Non ci siamo. Siamo sicuri? Perché ho visto una foto dove un bimbo vestito da capo a piedi di neroazzurro scende in campo accompagnato dal tuo grido “Forza Inter”…

E’ vero! Ma c’è anche scritto che lui è l’unico che può farmi urlare Forza Inter. E’ il mio bimbo, che gioca da un anno e mezzo nelle giovanili dell’Inter, con i Pulcini 2010. Amore di mamma! Da grande milanista, non ti dico cosa provo quando devo mettergli quella maglietta, con quei colori… Io sono milanista purosangue, mi sembra ieri che ero in strada a festeggiare la Coppa dei Campioni vinta con Van Basten, con mio padre in Duomo con la bandiera rossonera. In famiglia io sono l’unica tifare Milan; mio marito ed i miei figli sono tutti juventini.

Il libro riporta una dedica, lasciata cadere come un semino in una pagina vuota. A mio marito. Ai miei figli. Perché dedicare proprio a loro un testo così particolare, a tratti estremo?

Inizialmente la dedica stavo per non inserirla. La dedica vera avrei dovuto farla alle tante Laila in giro per il mondo (Laila è la protagonista del romanzo – ndr). Ma poi nei mesi di scrittura ho ricevuto un forte sostegno da parte della mia famiglia ed ho cambiato idea. Mentre scrivevo mi si avvicinavano anche i più piccoli e mi dicevano mamma, raccontaci questa storia che stai scrivendo… Io la adattavo un attimino e raccontavo pezzi di questa storia, un po’ alla Romeo e Giulietta. Mio marito ad oggi è l’unico a non averla letta; normalmente non legge mai nulla di ciò che scrivo, sui giornali o sui social. Lui è molto critico e mi ha detto lo leggerò quando me la sentirò. In casa ne abbiamo due copie, quando vorrà lo leggerà.

Il titolo è Islam in Love, con la parola inglese amore scritta con la lettera maiuscola. Casualità, vezzo dell’autrice, intuizione dell’editore oppure esiste una connessione voluta con la parola Islam, anch’essa scritta in maiuscolo?

La scelta del titolo non è stata mia, io avevo avanzato altre due proposte. Quando ho consegnato la mia bozza pdf, aveva un titolo completamente diverso. Poi però ha scelto l’editore. Comunque i riferimenti del titolo sono più che centrati, dato che è la storia di una giovane ragazza musulmana velata che si innamora. Il fatto che sia Islam sia Love siano in lettera maiuscola è corretto; l’Islam è tanto amore. Questa storia è tutta una storia d’amore. Scegliere una persona con la quale si vuole vivere è una scelta d’amore, non certo un’imposizione. Ed è ciò che fanno i protagonisti del mio libro.

Quando si parla di Islam quasi mai si vede abbinata la parola LOVE.

Iniziamo ad avvicinarci al testo. Il romanzo si articola in tredici capitoli. Alcuni di questi capitoli sono preceduti da citazioni tratte dal Corano. Diversi altri non necessitano di alcun preambolo. Hai sentito in taluni passaggi la necessità personale di puntellare quanto avresti scritto a seguire oppure questi inserti iniziali sono solo funzionali o decorativi?

Questi inserti mi piacevano. Vorrei fare una premessa alla mia risposta. Quando si parla di Islam quasi mai si vede abbinata la parola LOVE. Siamo abituati a vedere il termine Islam abbinato a parole come terrorismo, morte, guerra, ISIS; tutte cose pesanti. Per me Rania, nella mia sfera privata, in famiglia e con gli amici, Islam è Amore. Ed anche per Laila la protagonista del mio libro è così.

Quelle citazioni mi piacevano. Alcune le ho prese dal Corano, altre le avevo lette altrove; erano funzionali al lancio del capitolo, aiutavano a dargli una botta di leggerezza.

Spero che nessuno prenda a male il mio romanzo; ci tengo ribadire che è una storia d’amore.

Intorno alla metà del romanzo, la storia della protagonista Laila cambia il proprio senso di marcia. Anche il tuo stile narrativo si trasforma. Sono numerosi i passaggi espliciti che descrivono le esperienze intime e l’esplosione della sessualità di Laila, giovane donna che comunque rimane saldamente ancorata alla propria appartenenza alla religione islamica. Non temi che qualche benpensante radicalizzato possa trovare blasfemo il tuo romanzo? Salman Rushdie docet.

No direi di no. Sinceramente mi auguro proprio di no. E’ vero che in alcuni punti del romanzo ci sono momenti di riflessione personali di Laila, ma io credo che quel genere di riflessioni siano comuni e presenti nella vita di moltissimi di noi. Capita anche a me, magari quando sto facendo il Ramadan alle nove ed un quarto del mattino (e so che non potrò bere per tutto il giorno) di dirmi: “ma cosa sto facendo? Non è che tutto questo è una cavolata?” Poi però vado avanti. Quella è la fede, continuare a fare qualcosa facendo uno sforzo per andare avanti. Spero che nessuno prenda a male il mio romanzo; ci tengo ribadire che è una storia d’amore.

D’accordo l’amore, ma nella seconda parte del libro il racconto diventa molto esplicito, non hai lasciato molto da interpretare, hai quasi disegnato la storia utilizzando immagini verbali molto realistiche. Forse in taluni ambienti, eccessivamente severi, questa seconda parte potrebbe essere considerata un po’ troppo esplicita.

In taluni ambienti rigidi un libro così non verrà accettato sicuramente bene. Lo so, anche perché già qualcuno mi ha già detto che ho sbagliato e che non avrei dovuto accostare la parola Islam ad una storia dove una ragazza, consapevolmente, compie atti Haram, che significa proibito.

Crescendo sappiamo bene che ci sono tre principi che sono rappresentati da tre parole Haram – Halal – Houshuma (proibito – lecito – vergogna) con cui dobbiamo raffrontarci. Dobbiamo imparare a gestirci, o meglio a gestire il nostro corpo. Alla fine per una donna arriva sempre il momento in cui deve confrontarsi con il proprio corpo, deve capire come controllarlo gestendo emozioni e pulsioni. Laila nel libro ha diciotto anni. Io non sono Laila. Mi sarebbe piaciuto essere così coraggiosa.

Il decalogo della mamma di Laila riportato nel libro è poi il decalogo della mia mamma Nadia, e di tante altre mamme di Laila e Rania in giro per il mondo.

Ho il sospetto che il tuo non sia un romanzo autobiografico, ma che comunque nasconda qualcosa di te, qualcosa di intimo.

Assolutamente, la ragazza della prima parte sono io. La parte in cui parlo di mestruazioni è una esperienza vissuta. Non avevo una villetta come nel libro, ma vivevo in una casa a due piani a Milano, in corso san Gottardo dove abitavo quando ero ragazzina. Quello è un episodio vero; ed ancora oggi quando ne parlo con mia mamma lei mi rimprovera dicendomi: “ma perché non me l’hai detto…!”

Io avevo questa strana paura del mio corpo ed in quel particolare momento ho subito capito che la mia vita sarebbe cambiata. Giocavo a calcio, anche con i ragazzi, e quando la mia fisiologia è cambiata anche la mia vita ha iniziato a prendere una direzione diversa. Sono iniziati i momenti del “non fare questo… non parlare di questo… copriti…non ti toccare…” eccetera eccetera. Il decalogo della mamma di Laila riportato nel libro è poi il decalogo della mia mamma Nadia, e di tante altre mamme di Laila e Rania in giro per il mondo. Funziona così, vivo in mezzo al mondo islamico e so come funziona.

Anche il mondo arabo ed islamico tira su i suoi muri, ed infatti è molto più chiuso oggi di come era trenta anni fa.

Mettiamo da parte un attimo il libro e cambiamo due parole su temi che comunque con l’ambiente disegnato nel testo hanno una certa attinenza. Se venissero ascoltate le predicazioni ufficiali dei massimi esponenti delle tre religioni abramitiche dovremmo vivere in un mondo fatto di ponti e privo di muri. Ma cosí non è. Sotto le belle parole ed i buoni principi aleggia una densa nebbia, l’ipocrisia. Laila scavalca tutto ciò con la forza inestinguibile dell’Amore. Esisterà mai un mondo pacificato e realmente multi confessionale?

Me lo auguro. Purtroppo la politica va di pari passo con la religione, ed oggi io vedo molta politica e poca religione. Lo vediamo tutti i giorni. Ogni giorno vediamo i conflitti che ci sono nella società; c’è una chiusura totale nei confronti dell’altro. Si ergono muri e non si costruiscono ponti. Ognuno si tira su il proprio muro. Anche il mondo arabo ed islamico tira su i suoi muri, ed infatti è molto più chiuso oggi di come era trenta anni fa. Io sto guardando al futuro con tanta apprensione, soprattutto per i miei figli, perché vedo la società incattivirsi giorno dopo giorno. Non so se la colpa è anche dei social; un tempo non avevamo questo mercato rionale dove urlare ogni cosa che passa per la testa, senza pudore. Magari prima si faceva rimanendo in fila all’ufficio postale, oggi tutto è amplificato dai social e dai media che hanno proprio sbagliato atteggiamento nella gestione di quelle che sono semplicemente relazioni umane.

Noi dovremmo mettere l’uomo al centro. Tutto quello che ci gira intorno è contorno. Sei araba, allora devi mettere il velo. Sei cristiano, allora devi fare così e così. Sono tutti elementi di contorno che appesantiscono la sostanza dell’essere semplicemente…un essere umano. Io la vedo così, mi piacerebbe vivere in un mondo dove tutte queste differenze venissero appianate, livellate. Vorrei un mondo scarno. Anche la struttura del libro rispecchia questo mio modo di vedere le cose, infatti è molto scarna e schematica. Influisce anche il fatto che poi il libro è lo scritto di una diciottenne, ed è per questo che ho inserito anche termini presi da internet, modi di dire che si usano tra ragazzini, presi dalle scritte sui muri o su Instagram. Riprende il modo di vedere degli adolescenti e dei post adolescenti, che magari non leggono Hegel ma sono followers di uno youtuber.

Lacerante. Terrificante.

Con l’inizio delle scuole, al parco o in altre situazioni, purtroppo certe cattiverie si sentono. Si sa, i bambini spesso ripetono quello che sentono dire a casa o in televisione. Ormai il linguaggio è anestetizzato, siamo abituati a sentire cose bruttissime dalla mattina alla sera; i media hanno un atteggiamento drammatico, in tutto il mondo. In Italia è anche peggio, in Italia è scandaloso. Ci sono diversi programmi che incitano all’odio. Io spesso vengo invitata a partecipare, ma non ci andrò mai. E’ un continuo cercare il capro espiatorio, tutto questo non so dove ci porterà.

Prima c’era l’extracomunitario di merda. Poi il marocchino di merda. Dopo l’11 settembre l’islamico di merda. L’offesa contro l’altro è in evoluzione continua.

Volendo possiamo andare anche più indietro…terroni di merda

Già, è vero. Oggi non c’è più filtro. Io sento uscire cose atroci anche dalla bocca di bambini piccoli; io sono stata molto più fortunata dei miei figli, essendo qui dal 1978 non ho vissuto tutto questo razzismo che impera oggi. Da piccolina ero probabilmente l’unica alunna straniera di tutto l’istituto scolastico, ho proseguito senza problemi negli studi e la mia diversità rappresentava qualcosa di positivo. Oggi la diversità è vista solo ed esclusivamente con connotati negativi. Che sia un filippino, arabo, dell’est, ognuno deve portarsi sulle spalle lo zainetto del pregiudizio.

Quello che sto provando ad insegnare ai miei figli è il rispetto assoluto delle leggi della società nella quale viviamo. Poi a casa, nel nostro privato, noi viviamo la nostra fede.

Tu hai quattro figli piccoli, quindi con te affronto anche il tema della scolarità. A Milano, dove entrambi abitiamo, esistono scuole paritarie cattoliche, islamiche, steineriane, svizzere, americane, bilingui, trilingui etc etc. Manca forse solo la scuola paritaria marziana. L’integrazione potrebbe, a tuo avviso, passare dall’esistenza di una sola ed unica scuola pubblica, che non istruisce cittadini cattolici o islamici o marziani, ma solo e semplicemente cittadini italiani?

Decisamente si. Io credo moltissimo nel concetto della laicità, che non vuole dire appiattimento. Quello che sto provando ad insegnare ai miei figli è il rispetto assoluto delle leggi della società nella quale viviamo. Poi a casa, nel nostro privato, noi viviamo la nostra fede. Ma la vita pubblica deve essere interpretata in modo laico. Cosa fino ad oggi mai vista in Italia. Anche certe battaglie sul crocifisso…

Su questo caso ci sono state uscite quantomeno discutibili e poco condivisibili.

Si, so bene di cosa parli. Ti riferisci alle esternazioni di Adel Smith di qualche anno fa. Ora non voglio soffermarmi su questo personaggio, in quanto è morto e non voglio parlare di una persona che non c’è più. Pur non avendo mai condiviso nulla di quello che sosteneva. Però faccio una riflessione. Capita a volte che una persona si alzi e dica la sua opinione. Ma perché se ad alzarsi è un musulmano tutti intendono automaticamente che egli sia legittimato a parlare per tutta la umma islamica? (Umma.”Comunità di musulmani”, senza alcun significato etnico-linguistico-culturale. – NDR).

“Gli islamici hanno detto di non volere il crocifisso…” No! Quella certa persona ha detto quelle parole. Egli parla per se stesso. Io non gli riconosco il diritto di parlare anche per me. Per me è strano accettare il fatto che una sola persona possa parlare per tutti, cristiani, musulmani, ebrei eccetera. Islam non è un blocco monolitico. Anche all’interno della mia famiglia ci sono sensibilità diverse; mia mamma ad esempio è molto osservante, è velata da circa dodici anni, ha scelto da sola di mettere il velo. Mio padre, che proviene da una famiglia di militari, è molto laico, io e mio fratello viviamo la fede in modo molto personale. Ognuno di noi ha la propria sensibilità e vive la religione come meglio pensa di fare. Non siamo pecore che devono per forza andare tutte in una sola medesima direzione. Oggi più che mai conosco tante facce differenti dell’Islam italiano ed in giro per il mondo e so che l’Islam non è monolitico. L’Islam si può vivere in tanti modi, ovviamente sempre rispettando le differenze e le diversità, senza giudicare. Il giudizio proprio non lo sopporto. Ci sarà sempre chi si erge a traduttore privilegiato delle parole di Dio, ma io questa impostazione non la condivido.

Dobbiamo abbatterli, non costruirli questi maledetti muri.

La presenza di cittadini di religione islamica in Italia inizia ad essere numericamente pesante. Come lo vedi in un futuro un possibile partito politico di ispirazione islamica ? Un fac simile della nostra vecchia DC?

Magari tra vent’anni, oggi i numeri dei votanti non sono così rilevanti. La prima generazione è ancora troppo presa dal cercare di sistemare e rafforzare la propria indipendenza economica per pensare alla politica attiva. Magari un domani, in futuro. Non ci sarebbe nulla di male se qualcuno volesse impostare la propria politica su principi religiosi. Io personalmente mi auguro che questo non accada; te lo ripeto, in un paese dove veramente si vuole vivere tutti insieme in pace la religione va lasciata dove deve stare. Nel privato. Portarla nella vita pubblica a mio avviso è un grandissimo errore. Ci sono già movimenti ed associazioni islamiche che si stanno proponendo; rispetto il loro operare ma non riesco a dare al mio Islam un connotato politico. Al mio Islam il cappello politico non voglio proprio metterlo; le religioni sono materia da vivere nel privato. Non voglio un partito cristiano, un partito ebreo, un partito islamico, un partito dei testimoni di Geova nella mia Italia. Ognuno con il suo partitino, questo vuole dire costruire muri. Dobbiamo abbatterli, non costruirli questi maledetti muri. Il mio pianerottolo andrebbe preso ad esempio: io musulmana, una mia vicina cristiana ed una dei Testimoni di Geova.

Ti suona alla porta al sabato mattina?

ahaha no.. mi manda qualche mail !! Viviamo tutti in grande armonia con le nostre scelte ed in santa pace. Senza sbandierare i simboli esteriori della nostra appartenenza. Il velo, la barba, l’imam, l’associazione, la raccolta fondi per la Siria; ultimamente la religione sta somigliando sempre più ad un business, e questo contrasta con la mia visione di fede. Io ho un bellissimo rapporto con Dio, mi piace parlare con lui. A volte sembro una matta, non prego sempre come qualcuno vorrebbe con il tappeto; quando ho voglia o bisogno io prego e piango. Poi magari per mesi al mio Dio non parlo. Ma quando prego io lo sento vicino. E’ la mia scelta, questa è la religione per me. Io così sto benissimo. Altri hanno bisogno di fare vedere, mettono il velo, vanno in moschea il venerdì, la domenica mangiano i pasticcini sempre in moschea. Io prego da sola, vivo la mia religione con la mia famiglia, con i miei amici. Molti mi dicono tu sei diversa, ma mi rispettano.

Rispetto. Quando scegli di intraprendere un percorso da migrante devi porti con grandissimo rispetto nei confronti del Paese che ti ospita. Si entra in casa di qualcuno, ci si deve porre con attenzione e rispetto per le tradizioni del Paese nel quale arrivi. Io non sono leghista, ma concordo sul fatto che le leggi del Paese ospitante debbano essere rispettate. Poi si possono fare tante piccole battaglie, anche perché magari quel Paese non è ancora abituato ad essere un Paese di accoglienza. Cosa anche abbastanza logica essendo magari stato quel medesimo Paese, sino a pochi anni fa, un Paese di migranti; ovviamente parlo dell’Italia. Siamo ancora troppo migranti noi italiani per potere parlare serenamente di immigrazione.

I numeri relativi all’immigrazione in Italia iniziano ad essere importanti, soprattutto mettendoli a diretto confronto con una popolazione che non cresce, ma i numeri non devono mettere paura. Vogliamo esagerare, considerando tutto il flusso immigratorio (quindi compresi i migranti economici) ci saranno al massimo sette milioni di immigrati contro una popolazione residente complessiva di circa sessanta milioni di persone. E’ una proporzione che può reggere. In talune città come Roma o Milano esistono concentrazioni particolari, ma nel complesso nel territorio nazionale non ci sono squilibri evidenti.

La base per una convivenza civile compiuta è solo una. Il migrante deve rispettare usi, costumi e leggi del Paese ospitante. Vogliamo fare un esempio banale? A volte sento dire “i datori di lavoro dovrebbero concedere la giornata festiva al venerdì ai lavoratori di fede islamica”. Una cosa del genere non sta in piedi; non possiamo forzare un’impostazione tradizionale del lavoro condivisa da tutti i cittadini italiani per venire incontro alle tradizioni dei musulmani. Nell’impostazione laica della vita civile le religioni non devono entrarci. Faranno un giorno un partito islamico? Facciano ciò che credono, io non ne sento alcuna necessità.

A mio avviso in questo momento stiamo vivendo una sorta di Medioevo dell’Islam.

Anche su questo tema ovviamente non esiste un pensiero unico all’interno dell’Islam.

Ogni cambiamento necessita di tempo e di impegno perché i cambiamenti sono difficili. A mio avviso in questo momento stiamo vivendo una sorta di Medioevo dell’Islam. E’ un momento storico di grande lotta interna; l’Islam al proprio interno è pieno di voci contrastanti e tutte queste voci dicono: “siamo noi…siamo noi…siamo noi”. Questo è il nostro Medioevo, ma dopo il Medioevo giungeranno altre fasi e forse arriverà anche per noi il Rinascimento. Oggi siamo nel Medioevo.

Giro per Milano e per l’Italia e vedo per la strada diverse donne islamiche; alcune con il velo, altre in jeans, anziane e non con abiti tradizionali, ragazzine con orecchini e piercing. Lo stereotipo è quello della donna infilata in un abito nero integrale, sottomessa ed obbediente. Mi fotografi la situazione della donna islamica in Italia?

Perfetto, hai usato la parola giusta. Stereotipo. Sono stereotipi, e nessuno ha voglia di sfatarli parlando direttamente con le persone interessate. Se guardi con più attenzione dentro le comunità trovi tante anime diverse, tanti colori e sapori differenti. Poi c’è la solita brutta abitudine di etichettare tutto con la definizione “il mondo arabo”. Ma non esistono cittadini di una unica nazione araba. Io sono egiziana, e non sono uguale ad una tunisina o ad un marocchino. Ci sono fedeli pakistani, sauditi, iracheni, palestinesi, siriani, libanesi. Siamo al massimo mediorientali, siamo musulmani, ma non siamo mica tutti uguali. I processi di migrazione si portano dietro tutta una serie di culture differenti; io ad esempio con le tradizioni marocchine non ho punti di condivisione. Io sono egiziana ed ho altri usi e costumi. Parliamo delle donne islamiche che ci sono oggi in Italia e facciamo una serie di distinguo. Ad esempio il velo… quando mia mamma è venuta in Italia dall’Egitto (vale anche per tante amiche tunisine che abbiamo) non era velata. Oggi le loro figlie, nate in Italia, sono tutte velate. Mi chiedo “ma allora le nostre mamme non erano brave musulmane e voi lo siete?” “Proprio voi che siete nate e cresciute in Italia? “ Si è creato simbolicamente un muro di protezione, un muro tirato su dalle comunità islamiche all’estero. Si iniziano sentire cose tipo mettiamo il velo perché accresce il senso di comunità. Ma questo frena l’interazione, INTERAZIONE, non integrazione. La parola integrazione non la sopporto, non dobbiamo certo fare un mix frullato di culture, dobbiamo imparare a conoscere le culture altrui e rispettarle. Ascolto la tua musica, mangio i tuoi piatti, guardo i tuoi film, ma non devo per forza farli miei. Interagisco con te ma non devo per forza fagocitarti o essere assorbito da te. L’unica cosa che tutti dobbiamo rispettare in egual modo è la legge. Poi si possono fare piccole conquiste che non sono conquiste religiose, ma sono conquiste civili. Prima completiamo questo processo di accettazione ed interazione, meglio è. L’Italia non ha ancora accettato il nero italiano, il cinese italiano, il musulmano italiano. Basta vedere tutte le polemiche che saltano fuori per una miss od un calciatore italiano ma diverso.

Il mondo sta cambiando, basta vedere i bambini nelle scuole. Ai miei tempi era diverso. Io abitavo ed andavo a scuola in una zona molto popolare di Milano, in corso san Gottardo; eravamo tanti, milanesi di ringhiera, meridionali immigrati, eravamo un nugolo di bambini. Io ero l’unica con quel nome strano, Rania Ibrahim. Oggi nelle scuole, nelle classi, si vedono tantissimi bambini di nazionalità diversa. E’ normale e bisogna imparare ad accettare.

Pensa che la prima donna velata che ho visto in vita mia era alla scuola materna, non ridere… era una suora! Nella famiglia di mia mamma e di mio papà le donne non erano velate, io non vedevo il chador. Le donne portavano un velo, ma era come quello che si usava anni fa in meridione o nelle campagne cremonesi, una sorta di accessorio che voleva significare rispetto, si metteva quando arrivava qualcuno e poi si toglieva, si viveva senza. Ma le cavolate che sto vedendo adesso con tutte queste donne addobbate e rinchiuse, credimi non riesco a capirne il perché. Io sono volontaria in parrocchia, mi occupo di insegnare l’italiano durante il giorno alle donne straniere che fanno parte di questa nuova immigrazione. Mi fermo su questo concetto. Fino agli anni ’90 si migrava verso l’Italia e l’Europa in modo differente rispetto ad oggi. Oggi i migranti arrivano qui con dei preconcetti pazzeschi e non hanno voglia di interagire e di integrarsi. E’ brutto da dire ma purtroppo è così, sarei ipocrita se non lo rilevassi a voce alta. Non parlo di tutti e non generalizzo ma questo è ciò che vedo. Dagli anni ’90 in poi è arrivata una migrazione dai paesi arabi e mediorientali molto chiusa. E qui conta la politica. Sono persone che vengono da paesi dove per trent’anni il welfare non è esistito, gli stati le hanno abbandonate a se stesse e di conseguenza è stato semplice captarle da parte di diverse associazioni. Associazioni e forze politiche che mettono la religione avanti a tutto. Ed ecco che allora abbiamo ad esempio i Fratelli Mussulmani in Egitto, pronti a darti un grandissimo welfare; ti permettono di mandare a scuola i tuoi bambini, di vestirli, ti danno le medicine.

Da diversi di loro io sono considerata una musulmana non musulmana.

Non mi meraviglio, anche in talune parti d’Italia dove lo Stato ha innalzato bandiera bianca sono proliferate associazioni benefiche che ti aiutano : si chiamano mafia, camorra n’drangheta. Rappresentano la sconfitta della nostra civiltà.

Purtroppo le persone che sono nate e cresciute in questi ambienti difficili quando vengono in Europa ed in Italia tendono a chiudersi a riccio ed a giudicarti. Da diversi di loro io sono considerata una musulmana non musulmana. Sono molto chiusi e ti dicono “questo è l’Islam oggi”. Rimango basita quando mi sento dire da giovani mamme che non sono un buon esempio per i miei figli, che dovrei vestirmi diversamente; ci rimango male soprattutto se ho appena finito di impiegare due ore del mio tempo libero ad insegnargli l’italiano in parrocchia.

Rania ma non hai proprio mai timore di trovarti qualcuno di male intenzionato sotto casa?

Minacce su internet ne arrivano. Ma io sono una donna sincera, dico quello che penso. Se una persona scrive un libro per contribuire ad abbattere le ipocrisie qualche rischio lo mette in conto. Ma non ho paura. In tutte le società ci sono sacche di ipocrisia, nel mondo cattolico ed anche in quello islamico. L’ipocrisia è veramente trasversale. Siamo persone e l’ipocrisia fa parte di noi.

Lo Ius Soli è un dramma. E’ un tema che si lega molto al mio libro. Se una ragazza non è cittadina italiana, anche se vive stabilmente in Italia, è costretta a fare riferimento alle leggi del suo Paese d’origine. Se volesse sposare come è capitato a me un cittadino italiano, deve andare alla sua ambasciata e chiedere un nulla osta. In Egitto non te lo danno perché il futuro coniuge non è musulmano. Tutto si blocca. Se io invece fossi cittadina italiana, perché santo cielo sono qui da quaranta anni e mi spetta, potrei sposare civilmente chi cavolo mi pare. Ci sono ragazzi nati in Italia che l’Egitto non l’hanno mai visto ed altri che al massimo hanno passato dieci giorni a Sharm. Mio marito ha dovuto cambiare religione, perché altrimenti non avremmo potuto sposarci.

Tornando al libro la mia storia e la storia di Laila sono storie diverse, ma in certo modo simili. Ho voluto ambientarlo a Dover in Inghilterra, perché ambientarlo alla Barona forse sarebbe stato troppo semplice (il quartiere Barona è un quartiere periferico di Milano – ndr), ed a Laila ho messo il velo (io non l’ho mai indossato). Come accade a Laila anche i miei genitori non hanno preso proprio bene la mia storia. Mi hanno portata per un certo tempo in Egitto sperando di allontanarmi dal fuoco, ma poi parlando con i nonni le cose si sono sistemate. Io trovo che i nonni in Egitto (ed anche le ragazze che vivono li) per certi versi siano molto più aperti di chi è venuto in Europa ed in Italia. Qui c’è chiusura, mentre nei paesi d’origine c’è la ricerca di una apertura, la voglia di conoscere l’altro. Poi arrivano qui e c’è una chiusura totale. E’ quasi come se ciascuno fosse impegnato a controllare il proprio confine. Casa mia confine 1. La mia comunità confine 2. Il mio gruppetto confine 3. La mia moschea confine 4. Inoltre c’è anche il fatto che negli ultimi anni l’immigrazione proveniente da Egitto, Tunisia e Marocco è composta da persone meno colte di chi è venuto decenni fa. Sono uomini e donne che provengono dalle campagne e non dalle città, ed a volte sono analfabete.

Tuo papa’ ha letto il libro?

Veramente no. Domenica l’ha preso ma non l’ha ancora letto. Ho una certa ansia riguardo il suo giudizio. Diciamo che gliene ho parlato e l’ho preparato. I miei genitori sono persone molto intelligenti anche se quando ero ragazza sono stati molto rigidi nei mie confronti; forse hanno temuto troppo il giudizio degli altri. Paura di essere additati come quelli che non sono stati capaci di crescere come si deve la propria figlia. Mio papa’ non legge molto bene l’italiano… speriamo che si addormenti alla fine della prima parte !!!

Caro Genio della Lampada vorrei… imparare a guidare come si deve.

Per concludere ti presto la mia lampada di Aladino e ti permetto di formulare tre desideri.

Caro Genio della Lampada vorrei… imparare a guidare come si deve, ho la patente da dieci anni ma guido malissimo. Sono una frana. Ed in una città come Milano senza sapere guidare sei out. Mi manca la sicurezza, ho un po’ paura. Secondo desiderio: vorrei che il libro diventasse un film e che venisse distribuito in tutto il mondo. E poi vorrei la felicità per i miei figli. Li voglio vedere crescere felici, sereni e sorridenti.

Grazie Rania. Buon lavoro buona vita.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter