La settimana scorsa il terrorismo in Afghanistan ha ucciso quasi 200 persone. Non è stata una strage unica, tipo quella avvenuta a Mogadiscio il 14 ottobre. Si è trattato di uno stillicidio di attentati in cui sono morti poliziotti, militari e civili: 15 cadetti dell’esercito fatti saltare in aria a Kabul, 43 soldati trucidati in una base militare nella provincia di Kandahar, 2 poliziotti uccisi nella provincia di Ghazni, 41 allievi poliziotti trucidati nella città di Gardez, 30 civili massacrati da autobombe a Ghazni, 20 fedeli assassinati in moschea nel giorno di preghiera nella provincia di Ghor e, nello stesso giorno (era venerdì), altri 56 sterminati in una moschea sciita di Kabul. Senza contare i feriti, quelli che resteranno mutilati, quelli che non ce la faranno e moriranno nei prossimi giorni.
Questa offensiva sanguinaria è la risposta dei Talebani e degli altri gruppi terroristici in azione in Afghanistan all’annuncio, fatto in agosto da Donald Trump, che gli Stati Uniti avrebbero rafforzato il loro intervento militare nel Paese in cui sono presenti da 16 anni. “Alla fine, vinceremo”, disse Trump nel suo discorso di agosto, senza però specificare che cosa intende per vittoria.
Dopo il discorso di Trump i Talebani promisero di trasformare l’Afghanistan nel “cimitero” dei soldati americani. Finora, però, le vittime sono soprattutto gli afghani. Come avviene regolarmente in Iraq, in Somalia, come accade negli anni Novanta (con il decennio di sangue dell’Algeria), il terrorismo fa vittime fra la popolazione locale.
Quanto sia insicuro l’Afghanistan di oggi lo dimostra anche la missione segretissima del Segretario di Stato americano Rex Tillerson compiuta lunedì 23 ottobre e svelata dai media solo dopo aver fatto ritorno sani e salvi in Qatar. Tillerson è arrivato a bordo di un aereo da trasporto e si è fermato soltanto due ore nella base aerea di Bagram, tenendosi a distanza dalla insidiosa Kabul. L’incontro con il presidente afghano si è svolto all’interno di un bunker.
Le modalità di questa visita e l’aumento spaventoso degli attentati sono l’ulteriore dimostrazione che una strategia puramente militare non funziona. Mandare più soldati e intensificare le operazioni militari non sta facendo “vincere” gli Stati Uniti. E al momento non si vede alcun risultato dell’auspicato coinvolgimento nella crisi afgana di India e Pakistan.
La crescente insicurezza dell’Afghanistan non può essere sottovalutata dall’Europa, che continua a rimpatriare migliaia di afghani esponendoli al rischio di violenze, rapimenti, torture e uccisioni. Lo ha denunciato pochi giorni fa Amnesty International con un rapporto in cui si sottolinea che fra il 2015 e il 2016 il numero degli afghani rimpatriati è quasi triplicato, passando da 3.290 a 9.460. L’asilo viene accordato al 57 per cento degli afghani che lo richiedono in Europa. Gli altri vengono rimpatriati in modo forzato. In un Paese dove si può morire in strada, al mercato, mentre si prega in moschea.