Il problema di come avvenga il cambiamento è centrale per la terapia cognitiva ma più in generale per tutti coloro interessati a cambiare le idee alla gente che si tratti di esperti di marketing, di politici in cerca di voti, di opinion leader o influencer, come si dice oggi o semplicemente del coniuge o del vicino di casa. L’ arte della persuasione ha sempre conferito molto potere a chi la possedeva.
In genere si usa dire che un modo per provocare il cambiamento sia mostrare i fatti supponendo siano portatori di una verità inoppugnabile. La teoria sottostante è l’empirismo per cui mi faccio delle idee o delle teorie sulla base dei fatti e sempre sulla base di altri fatti queste possono cambiare: il primato dei fatti sulle teorie è assoluto.
Due obiezioni. La prima sofisticata e teorica riprende Kant che sosteneva l’inconoscibilità della ”cosa in sé” ed il nostro accesso al solo mondo dei fenomeni (il racconto che della “cosa in sé” fa la nostra mente) e le moderne teorie sullo story-telling che sostengono non esistere realtà accessibile se non attraverso una narrazione. Tutto ciò non è difficile da comprendere per i cognitivisti abituati al costruttivismo più o meno radicale ed al primato del pensiero.
La seconda la vediamo tutti i giorni nel mondo delle idee politiche o sportive per citare due campi dove si muovono forti emozioni. Qualsiasi siano i fatti accaduti che siano i gulag, i campi di concentramento, i rifiuti per strada, gli arresti per corruzione, l’attacco alle torri gemelle, ciascuno ne trova corroborazione al proprio modo di vedere che ne esce rafforzato. Perciò riesce difficile applicare il ragionamento “cui prodest” per risalire alle cause di un evento. Si pensi agli attentati in Gran Bretagna nei giorni pre-elettorali. Giovano alla May che può invocare una maggiore chiusura del paese e l’intervento armato contro l’IS ma anche all’opposizione che li può attribuire proprio alla politica di chiusura e guerrafondaia della premier. Chi era a suo favore lo sarà ancora di più e chi non lo era lo sarà ancora di meno.
Attacchi, critiche e denunce vengono esibiti come prova che si sono finalmente andati a toccare gli interessi dei poteri forti.
Siccome è proprio vero l’assunto di Epitteto che non sono le cose a determinare come stiamo e cosa facciamo ma la nostra opinione su di esse, dobbiamo rassegnarci all’evidenza che le opinioni possibili su un fatto siano praticamente finite e sarà presa per buona quella più congrua con le credenze preesistenti.
Lasciamo per un attimo da parte i cosiddetti deliranti e parliamo con un fanatico di qualsiasi fede, sia essa religiosa, politica, sportiva, alimentare e proviamo a fargli cambiare idea sulla base dei fatti. Si ottiene esattamente l’opposto. Ora mettete da parte anche il fanatico e guardatevi allo specchio perché nello stesso identico modo funzioniamo, ovviamente senza alcuna consapevolezza, tutti noi soprattutto nelle aree che riteniamo più importanti (identità e relazioni significative in primis). Al contrario su questioni scientifiche, tecniche, pratiche non emotivamente rilevanti siamo disponibilissimi a cambiare idea imparando un percorso stradale o una procedura esecutiva per la lavatrice o per il cambio dell’ora sul cruscotto, più efficiente.
Possiamo dunque dire che popolarmente si riconosce il primato dei fatti sulle teorie, ma ad una riflessione più attenta e psicologica le cose stanno esattamente all’opposto. Per dirla con Piaget: l’assimilazione predomina grandemente sull’accomodamento.
Le persone crescono, i cambiamenti avvengono
Tuttavia è evidente che le persone cambiano anche radicalmente, che non la pensiamo più come a diciotto anni e non solo sull’opportunità di essere incendiari o pompieri ma anche su temi più personali. Insomma si cambia, anche molto ma non sulla base dei fatti che difficilmente riescono ad invalidare le nostre credenze soprattutto se centrali. E allora? La metto giù radicale per essere più esplicito e rimando a dopo la risoluzione del regresso all’infinito che può comportare. Cambiamo idea solo quando cambiano le motivazioni cosicché la lettura che diamo dei fatti è sempre e solo determinata dalla convenienza. La cognizione è al servizio dei nostri scopi (del resto sarebbe strano non fosse così: non siamo al mondo per cercare la verità ma per cavarcela). Insomma non vogliamo una cosa perché col ragionamento la reputiamo buona e giusta, ma, al contrario, la reputiamo buona e giusta perché la vogliamo…