SkypeEuropaLa guerra è finita (con una nuova guerra in cantiere?)

È un Medioriente nuovo e trasformato quello che esce dai 5 anni di guerre civili. Vincitori e vinti si guardano, si parlano (indirettamente) e si minacciano. Ma chi sono i primi e chi sono i second...

È un Medioriente nuovo e trasformato quello che esce dai 5 anni di guerre civili. Vincitori e vinti si guardano, si parlano (indirettamente) e si minacciano. Ma chi sono i primi e chi sono i secondi?

Partiamo dai vincitori della guerra all’Isis, quelli veri, gli iraniani e l’islam shiita.

La rinconquista di Raqqa in Siria e prima ancora di Mosul in Iraq ha segnato negli ultimi mesi la sconfitta dello stato islamico e di quel disegno, nato circa 5 anni fa di ritracciare i confini politici tra il Tigri e l’Eufrate per instaurare un Califfato islamico (sunnita).

Se in questi anni Russia e Stati Uniti si sono prodigati nel coordinare, bombardare e addestrare uomini di ogni fazione purché si arrivasse alla sconfitta di Daesh, l’Iran ha portato uomini in carne ed ossa, formando numerosi reparti di volontari shiiti. Paese di 80 milioni di abitanti, per la quasi totalità di religione schiita, in questi anni l’Iran è riuscito a controllare e a costruire un esercito parallelo di volontari (si parla di qualche centinaio di migliaia di uomini sul terreno).

Un successo militare e organizzativo stupefacente, da cui scaturisce un’area geografica che politicamente unisce l’Iran dei pasdaran, l’Iraq delle milizie volontarie Ashd al Shaabi (sul modello dei pasdaran iraniani, anch’esse shiite), la Siria dell’alawita Assad (da sempre vicine all’Iran shiita) fino al Libano delle milizie (shiite) Hezbollah. Quattro paesi e quattro differenti (ma affini e alleate) forze militari terrestri. Tutte nemiche giurate di quello stato di Israele che osserva e dietro le quinte si agita costruendo strategie di difesa (rafforzamento dei confini) e strategie diplomatiche (incontri serrati con turchi e sauditi). Un’area d’influenza politica grande, molto grande, tanto probabilmente da non sembrar vera agli occhi delle gerarchie iraninane. Costruire con la forza e palesare una zona d’influenza così era francamente impensabile 5 anni fa, nonostante da dopo la caduta di Saddam vi fosse già stata una effettiva influenza su quelle aree.

Ci sono poi i kurdi, vittoriosi a metà. Da un lato hanno sconfitto l’Isis, dall’altro hanno ricevuto il NO di tutti i paesi confinanti (a cominciare dalla Turchia e dall’Iran) alla possibilità di vedere realizzato uno stato autonomo e indipendente. Dovranno accontentarsi, sia in Siria, sia in Iraq di contrattare nuove forme di stato federale. Nel primo caso, vista la debolezza di Assad, più marcato.

Infine gli sconfitti. Quelli intenti a leccarsi le ferite (l’Arabia Saudita su tutti, che attraverso alcuni rami della famiglia reale ha segretamente finanziato l’Isis) e chi fa buon viso a cattivo gioco, la Turchia, che dopo aver permesso a migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo di raggiungere le terre del Califfato e in molti casi di aver palesemente tifato per le milizie di Al Bagdadi per togliere la Siria dal controllo del Presidente Assad e dell’Iran, oggi si ritrovano ad osservare la situazione, coscienti che solo una potenza militare di livello superiore potrebbe disgregare l’area filoiraniana.

Se questi sono i vincitori e gli sconfitti, per il futuro si parla di una futura conferenza di Pace dagli effetti ancora tutti da scrivere. Di certo la preoccupazione di Gerusalemme (potenza di livello superiore!), col pensiero di ritrovarsi migliaia e migliaia di uomini addestrati dopo anni di guerra ai propri confini, avrà il suo peso. Preoccupazione che si combina con l’iperattivismo del nuovo principe saudita MbS (Mohamed bin Salman) intenzionato ad accentrare i poteri del Regno dei Saud, fino ad oggi molto frammentato tra le tante anime della famiglia reale. Anche al costo di anomale purghe (anomale o dorate se a quanto sembra i cugini finora estromessi dal potere sono trattenuti in resort extralusso).

E la nuova politica del principe MbS promette di segnare il Medioriente a suon di dollari. Ne sa qualcosa Donald Trump, che da poco ha sottoscritto con i sauditi un fornimento di armi per la cifra record di 100 miliardi di dollari. Una quantità spaventosa, su cui poco ci si sta interrogando e di cui invece le opinioni pubbliche americana e europea dovrebbero occuparsi, al di là di ogni guerra finita, al di là di ogni futuribile Conferenza di Pace.

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