State of MindI meccanismi psicologici nella diffusione delle Fake News

Il fenomeno delle fake news poggia su meccanismi psicologici ben noti agli studiosi del comportamento e dei quali siamo tutti, più o meno consapevolmente, vittime. Un supporto nella comprensione d...

Il fenomeno delle fake news poggia su meccanismi psicologici ben noti agli studiosi del comportamento e dei quali siamo tutti, più o meno consapevolmente, vittime.

Un supporto nella comprensione di tali meccanismi ce lo fornisce la Behavioral Economics, disciplina diffusasi con particolare vigore a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso – grazie al lavoro di due psicologi israeliani, Amos Tversky e Daniel Kahneman, premio Nobel per l’Economia nel 2002 – e che ha recentemente tratto nuova linfa grazie al riconoscimento ottenuto da Richard Thaler, vincitore anch’egli del Premio Nobel per l’Economia solo poche settimane fa.

La Behavioral Economics studia i processi decisionali messi in atto dalle persone nel momento in cui devono prendere decisioni e compiere scelte, in modo particolare in condizioni di incertezza.

A tal proposito può essere utile riprendere il pensiero di Daniel Kahneman, che nel suo libro “Pensieri Lenti e Veloci” (2012) descrive in modo metaforico due sistemi che convivono nel nostro cervello, definiti Sistema 1 e Sistema 2.

Il primo è un sistema automatico, molto veloce ma poco preciso, utile per prendere decisioni rapide. Il secondo è invece un sistema riflessivo, molto accurato ma relativamente lento e “pigro”, deputato al controllo delle informazioni.

Nella maggior parte dei casi i due sistemi lavorano in sinergia e in modo ottimale. Le informazioni in entrata vengono rapidamente elaborate dal Sistema 1 e – qualora palesemente errate o incoerenti con l’esperienza pregressa – rielaborate in modo più dettagliato dal Sistema 2. Tuttavia in alcune occasioni i due sistemi entrano in conflitto.

Riportando tale metaforica distinzione nella realtà quotidiana, è possibile constatare come in molte occasioni le persone valutino – per semplicità o necessità – in maniera veloce e automatica le informazioni in loro possesso. Tali rapide valutazioni, definite euristiche, hanno avuto una funzione adattativa per la nostra specie e tuttavia possono portare talvolta a scelte sistematicamente distorte, ovvero bias.

Durante la loro lunga e proficua collaborazione, Kahneman e Tversky hanno cercato di mappare quelle che sono le principali euristiche e i bias che influenzano le scelte.

In che modo questi meccanismi favoriscono la diffusione delle fake news?

Prendiamo come esempio quello che viene definito bias di conferma. La letteratura mostra come le persone tendano a cercare informazioni che confermino le proprie ipotesi iniziali su determinate tematiche. Ciò significa che, se le idee di partenza risultano distorte, tenderanno a trovare conferma. È facile comprendere come, nell’era digitale, chi sviluppa per diverse ragioni opinioni contrastanti con la realtà dei fatti – per esperienza personale, per senso comune, per appartenenza a un gruppo – troverà con molta facilità conferma nel web. Nell’era dei big data, peraltro, le nostre ricerche vengono costantemente analizzate e ci vengono suggerite notizie in linea con queste ultime. Si crea, in tal modo, un circolo vizioso che si autoalimenta: pertanto, più cerchiamo conferma di una nostra opinione, più troveremo notizie che la confermano. Inoltre, si favorisce lo sviluppo di sacche di disinformazione dalle quali è difficile uscire senza un controllo esterno.

Purtroppo, questo è solo un esempio che aiuta a comprendere come le fake news possano proliferare. Esistono infatti molti altri meccanismi simili che ne favoriscono la diffusione e la possibilità di condividere con pochi click le informazioni presenti sui social fa sì che il controllo del Sistema 2 venga facilmente bypassato e che il Sistema 1 prenda il sopravvento.

Quali sono i pericoli nella diffusione di fake news?

La diffusione di fake news può avere un impatto fondamentale sull’opinione pubblica e sulle scelte individuali, con ripercussioni inevitabili sul benessere individuale e collettivo. È chiaro come tale problema diventi di indiscussa priorità quando il pericolo della loro diffusione può avere un impatto sulla salute pubblica.

Alcuni esempi possono esserci utili per comprendere la portata del problema: pensiamo alle ultime evoluzioni in tema di vaccinazioni.

Da un lato c’è chi diffonde dati fondati su evidenze scientifiche, come Roberto Burioni – Ordinario di Microbiologia e Virologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano – che da mesi si batte per promuovere una corretta informazione su tale tematica mostrando come l’impatto dei vaccini sia stato e sia tuttora di fondamentale importanza per debellare malattie ed epidemie fatali fino a pochi decenni fa.

Dall’altro una schiera di antagonisti, irragionevoli detrattori dei vaccini, composta da sedicenti scienziati, sedicenti giornalisti, millantatori vari convinti, in modo più o meno genuino, della loro pericolosità per la salute individuale.

Gli antivax esistono dal giorno dopo che sono stati scoperti e utilizzati i vaccini come ben spiega Andrea Grignolio nel suo “Chi ha paura dei vaccini” (2016): ma si trattava di piccole minoranze, che rimanevano chiuse nel loro piccolo mondo delirante.

Oggi, invece, ci sono strumenti di propagazione molto efficienti, grazie ai quali è possibile diffondere informazioni, del tutto prive di fondamento empirico, che seminano e ingenerano dubbi, che trovano terreno fertile nella popolazione, non solo nella sopracitata categoria di analfabeti funzionali. Di fatto, il recente obbligo di vaccinazione imposto per tutelare la salute pubblica ha provocato forti reazioni in questa seconda schiera e diverse persone hanno deciso di non far seguire ai propri figli la profilassi vaccinale, mettendo allo stesso tempo in pericolo la salute dei loro stessi figli e ancor più quella di coloro per i quali i vaccini rappresentano realmente un rischio e che per tale ragione non possono vaccinarsi, pur volendo.

Un altro caso in cui le fake news si traducono in un pericolo in termini di salute pubblica riguarda le medicine cosiddette alternative: “Metodo Hamer”, “Metodo Di Bella”, “Metodo Stamina”, “Medicina omeopatica”. Si tratta di sedicenti metodi di cura alternativi alla medicina occidentale basata su evidenze scientifiche, privi di validità, come dimostra anche la recentissima scomparsa di Sofia, la bambina farfalla simbolo e vittima dell’inefficacia della cura proposta da Vannoni e sostenuta da una popolare trasmissione televisiva.

Purtroppo, la proposta di tali cure attecchisce sulle persone vulnerabili, come è chi comprensibilmente soffre vedendo i propri cari provati da gravi malattie e spera di trovare in tali metodi una scialuppa di salvataggio destinata purtroppo a portarli a picco. Posta al vaglio della conferma scientifica, l’efficacia di tali metodi non ha trovato alcun supporto. Tuttavia, complici alcuni programmi televisivi che troppo spesso sulla sofferenza costruiscono la propria audience, questi metodi si sono diffusi con conseguenze disastrose, in diversi casi fatali per chi ne ha usufruito.

Un discorso simile può esser fatto per l’omeopatia, un trattamento da molti considerato alla stregua della medicina, sebbene non esistano prove della sua efficacia se non quella derivante dall’effetto placebo, effetto che può essere ottenuto gratuitamente senza ricorrere a prodotti costosi. Il pericolo, anche in questo caso, è quello del loro utilizzo in situazioni che richiedono invece un intervento medico tempestivo, per scongiurare fatali complicazioni, come nel caso del piccolo Francesco, il bambino di Ancona curato con prodotti omeopatici per un’otite e purtroppo deceduto, con grandi sofferenze, a causa delle complicazioni derivanti dall’infiammazione.

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