La campagna elettorale non è ancora entrata nel vivo, mancano ancora le liste ed i candidati, ma già si sta presentando con tutte le sue sfaccettature, senza esclusione di colpi. Al momento si contano già diverse promesse, da tanti milioni di euro, tweet e post con tanto di hashtag e card a supporto, ed editoriali lunghissimi ai quali manca sempre l’elemento centrale: la volontà popolare.
Sappiamo bene quali sono le forze in campo, di ognuna di loro conosciamo limiti ed elementi di forza, ma proprio per questo preoccupa molto il tono e gli stili che in tanti, non tutti a dir la verità, stanno già adottando come cifra del proprio “fare politico”. La crescita importante dei movimenti populisti ha inevitabilmente cambiato anche il linguaggio della stessa politica. Ogni giorno leggiamo annunci e dichiarazioni da brividi, che ci riportano alla memoria gli anni più bui della nostra Repubblica. C’è un arretramento in corso, piuttosto che una corsa verso il futuro. Non solo nella scelta dei temi in agenda o delle proposte politiche messe in campo, ma anche nell’idea che una parte delle forze candidate per governare l’Italia sta proponendo agli elettori. Dai vaccini alla “razza”, per fare due esempi, questi primi giorni di campagna elettorale stanno mostrando il lato peggiore della propaganda e della sua narrazione. Da qui al 4 marzo vedremo e leggeremo ancora tanto altro, purtroppo.
Ogni scusa è buona per trasformare la naturale – e democratica – contrapposizione tra le parti in rissa verbale. Gli staff dei candidati sono ormai alle prese più con le risposte da dare agli avversari, sempre alzando il tiro, che non con i propri programmi e con le scelte politiche da sottoporre al giudizio degli elettori. Vero è che una parte dell’elettorato italiano è cambiato, colpito alle gambe da una crisi economica che ancora si fa sentire e mortificato dalla mancanza di reali e durature prospettive occupazionali. Ma è anche vero che una parte della politica italiana ha saputo usare strumentalmente la rabbia dei cittadini per creare consenso, stimolando pericolosamente paure e debolezze. Tutto ciò non ha fatto altro che generare odio sociale, disgregazione, estremismi, individualismi feroci ed un imbarbarimento del linguaggio.
Proprio sul linguaggio di odio si sono scritti libri e post, articoli e tweet, eppure nulla è ancora cambiato. Nemmeno la politica ha modificato il suo linguaggio, sul web e nei talkshow, contaminando il dibattito pubblico che oggi si amplifica e si snoda dai bar ai socialnetwork. C’è un dato che si riconosce nettamente e che, negli anni, è venuto fuori: l’uso di parole forti e aggressive è attribuibile a una parte del panorama partitico italiano, che va dai soliti grilini a Salvini, passando per gli estremi della destra e della sinistra dura e pura (ma in continua scissione). Il web, ovviamente, è il luogo dove tutto ciò si moltiplica. Viene da chiedersi che fine abbia fatto il mito della partecipazione democratica attraverso la rete. C’è chi l’ha predicata per anni ma poi l’ha praticata male e per soli fini propagandistici. Per non parlare delle piattaforme di partecipazione ad uso e consumo di aziende che guidano partiti politici. In questo quadro va sottolineata anche la debolezza del sistema mediatico, che continua a rincorrere la politica dell’odio dandogli titoli e spazi decisamente fuori misura. Sarà perché anche il giornalismo sta man mano cambiando la sua natura, sarà che i “vaffa” fanno moltissime visualizzazioni, sarà che il mestiere del giornalista non è – ahi noi– più lo stesso, ma ogni giorni assistiamo ad una rincorsa affannosa a chi la spara più grossa.
Ma non tutto è così, per fortuna.
C’è ancora una pare significativa degli italiani che non accetta e non ha mai accettato questo imbarbarimento. C’è ancora chi crede nella politica come “luogo” e strumento di contrapposizione civile. E c’è anche chi si è stancato di tutto questo rumore della politica urlata e del giornalismo del clcikbait e senza notizia. A questo pezzo significativo di italiani chi parla? Chi parla a questi elettori? Quale forza politica è in grado, oggi, di resistere alla tentazione della propaganda ad ogni costo? C’è un’Italia che si è stancata dello spettacolino da quattro soldi dei bot e dei retweet, che non sopporta più la volgarità del linguaggio politico, e che chiede alla politica ed ai suoi protagonisti di occuparsi di questioni reali e non di sponsorizzare post. E’ l’Italia che è consapevole delle proprie potenzialità, che lavora ogni giorno, che chiede più opportunità, che nel progresso, nella scienza, che vuole un Paese più stabile ed un’Europa più politica e meno burocratica. E’ L’Italia di chi non si arrende, di chi sa distinguere una bufala dalla verità, di chi si preoccupa di sé stesso e degli altri, di chi si apre al nuovo e non costruisce muri ma ponti, di chi ha meriti e competeze. Questa Italia non è pronta per fare il salto nel buio e vuole un governo solido, responsabile.
I problemi sono tanti, urgenti e complessi. Servono serietà e visioni di futuro, sobrietà e lavoro, concentrazione e pragmatismo. La politica che vuole governare, che guarda ai destini collettivi e non solo a quelli di chi siederà in Parlamento, deve necessariamente invertire questa tendenza e cambiare la propria agenda. Questo appello si rivolge a tutti, sia chiaro. Mancano ancora molti giorni alle elezioni, non lasciamo che siano l’odio e la paura a vincere.
L’Italia merita un futuro migliore.