Qualche giorno fa al cimitero di Oneglia in provincia di Imperia si è ricordato, per il centenario della nascita, l’ultimo segretario del Pci Alessandro Natta. L’ultimo, perché – dopo – ci fu la Bolognina e il Pci cambiò nome.
Quello rappresentato da Natta era un vecchio mondo. Un mondo di tante sezioni e tanti iscritti, di discussioni infinite (ma terribilmente serie), di feste de l’Unità oceaniche, insomma un mondo che in larga parte non c’è più.
Ma non è di reducismo che si vuole parlare, almeno non di quel reducismo lì. La condizione del reduce è brutta, perché il reduce è qualcuno a cui manca qualcosa. Un qualcosa generalmente che non si rinviene nel presente e di cui non si vede traccia nel futuro.
Cosa mancava a Oneglia lo ha spiegato bene Ugo Sposetti, il vecchio storico e abrasivo tesoriere del partito, intervistato da Repubblica: “Quella come Natta era davvero gente di un’altra cultura. Lui era laureato alla Normale, potevi sentirlo duellare con Paolo Bufalini sui grecisti e sui latini”.
Ora – a parte che Sposetti evidentemente appartiene alla nuova gente (o dici grecisti e latinisti oppure greci e latini) – il tema posto non è di poco conto. Ricordo al liceo di aver studiato su libri di testo che contenevano scritti dello storico dell’economia Amintore Fanfani, dello storico del Risorgimento Giovanni Spadolini, dello storico Palmiro Togliatti. Studiosi, prima che politici. O forse politici perché studiosi.
Senza scomodare la Repubblica (nel senso di libro VIII), resto convinto che – al netto dei “sapienti” di Platone – sia preferibile votare qualcuno che abbia qualcosa da insegnare, che sappia come-si-fa, che sia migliore di me. Beninteso, non migliore in senso morale, ma più preparato.
Quindi, lunga vita agli alessandrinatta. Di qualunque partito politico siano.