Una versione inglese di quest’articolo e’ comparsa su open Democracy: https://www.opendemocracy.net/can-europe-make-it/ernesto-gallo/childless-proletarians-ten-years-after-great-recession-would-you-st
A dieci anni dall’inizio della ‘Grande recessione’ possiamo chiaramente vedere alcuni dei suoi effetti politici. Le difficoltà economiche del mondo sviluppato hanno accresciuto le chances di leader come Donald Trump, hanno contribuito alla Brexit e alle sue conseguenze, e hanno rafforzato il ‘populismo’ in occidente e non solo. Fino a che punto i problemi economici hanno influenzato l’ascesa del populismo? C’è un qualche tipo di dinamica a lungo termine?
Pensiamo che una delle cause dell’insoddisfazione per lo stato attuale della democrazia sia l’esistenza di due o più mercati del lavoro o, per usare un termine più ‘tecnico’, la segmentazione del mercato del lavoro.
L’idea che ci sarebbero molti mercati del lavoro, ognuno dei quali strutturato come un segmento separato, guadagno’ popolarità nelle università statunitensi negli anni ’60 e ’70. Gli economisti notarono l’esistenza di un mercato primario con posti di lavoro altamente qualificati per professionisti altamente qualificati e un mercato secondario di lavori che richiedono competenze inferiori, meno competitivi e spesso occupati da donne o gruppi emarginati: minoranze, giovani, migranti . Questa tendenza si è gradualmente estesa dagli Stati Uniti al resto dell’occidente, l’Europa e ora potenzialmente il mondo globale.
La competizione globale ha riprodotto il dualismo e la segmentazione in tutto il mondo. Alcune industrie (principalmente nell’alta tecnologia e nei servizi) impiegano sempre più ‘innovatori’ o ‘creativi’ altamente pagati e cosmopoliti, persone che spesso hanno frequentato i migliori colleges e università; nel frattempo, centinaia di milioni di lavoratori combattono per ‘McJobs’, con lunghi orari di lavoro, scarsa preparazione, alto turnover e limitate possibilità di far carriera. Nei paesi più periferici (si pensi all’Europa meridionale o orientale) ciò si traduce in un’alta disoccupazione (soprattutto per i giovani), condizioni di lavoro precarie e, talvolta, nell’emergere di settori informali al confine con la criminalità organizzata e le mafie. In un paese come la Polonia, che ha registrato una crescita economica sostenuta, la quota di lavoratori salariati con un impiego a tempo determinato raggiunge il 25%.
Purtroppo, il dualismo del mercato del lavoro è stato rafforzato da gerarchie sociali e politiche radicate: in Italia, in Grecia, in misura minore in Spagna, gli apparati dello stato clientelare hanno difeso le loro posizioni privilegiate nel settore pubblico, mentre i contratti temporanei e l’informalità proliferano nell’economia privata, e colpiscono principalmente le giovani generazioni.
In paesi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti il privilegio coincide con la ricchezza o il ‘capitale educativo’ (ed è incarnato dalle élite di ‘Oxbridge’ o della ‘Ivy League’) e la mobilità sociale è stagnante o addirittura diminuita. Eserciti di nuovi proletari, di solito senza figli (come sostenerli finanziariamente?), spesso qualificati (anche se non nelle cosiddette istituzioni o università di alto livello), solitamente senza proprietà di valore, stanno emergendo come nuovi attori sociali ed economici, e sono ora entrati nell’arena politica. Alcuni autori li hanno definiti precarians e hanno messo in evidenza il rischio che possano diventare una fonte di voti per i partiti populisti (specialmente di estrema destra).
Quanto è grave il rischio? Quanto sono orientati a destra i ‘nuovi proletari’ o – per usare il neologismo – precarians?
Non esiste una sola o semplice risposta. Ad esempio, i dati sulle elezioni tedesche mostrano che l’AfD (Alternative fuer Deutschland), partito di estrema destra e anti-immigrazione, gode di popolarità anche tra le classi medie e alte. Tuttavia, nelle elezioni piu’ recenti (2017), in cui AfD ha ottenuto 94 seggi nel Bundestag, il suo miglior risultato è stato nei più poveri Laender orientali (ad esempio il 27% in Sassonia, il 22,7% in Turingia), dove l’insicurezza del posto di lavoro è elevata e c’è diffusa disaffezione verso le politiche dei partiti tradizionali come la CDU (Unione democratica cristiana) o la SPD (Partito socialdemocratico). È noto che sia Marine Le Pen che Trump hanno ottenuto voti nelle aree della Francia e degli Stati Uniti con classi lavoratrici forti e impoverite, mentre livelli di istruzione più elevati tendevano a essere più associati ai sostenitori di Clinton e in particolare di Macron. La Brexit era principalmente popolare tra i meno abbienti e istruiti, mentre livelli di istruzione più bassi erano generalmente associati ai sostenitori dello UKIP nella sua golden age (in pratica, fino al 2016).
In altre parole, i dati mostrano una certa varietà; il populismo di estrema destra tende ad essere popolare tra gli strati più poveri o meno istruiti, anche se ci sono delle eccezioni. Una visione più qualitativa, tuttavia, suggerisce che le tendenze, specialmente in tempi di crisi, sono piuttosto fluide; e il populismo di estrema destra, con la sua enfasi sul nazionalismo, la ‘purezza’ culturale, l’anti-immigrazione e la sicurezza, potrebbe diventare un catalizzatore molto più forte dei voti degli insoddisfatti e degli emarginati, anche dove questo non è ancora successo e dove i mercati del lavoro contrappongono un’élite nel mercato del lavoro primario alle ‘masse’ deluse nel mercato secondario.
Tale disillusione è anche radicata nella debolezza della politica occidentale nell’era globale. Una rapida occhiata alle più grandi democrazie europee è molto significativa. Tre mesi dopo le elezioni federali, la Germania è ancora priva di un governo e la soluzione più probabile sembra essere il ritorno alla grande coalizione CDU-SPD. Le grandi coalizioni tendono a compattare le élite dominanti e possono quindi essere un modo per aumentare la retorica populista.
Un altro grande paese dell’UE, l’Italia, potrebbe cadere nella stessa trappola nel 2018, quando si terranno le elezioni e né un Berlusconi risorgente né un Renzi non convincente né il Movimento a cinque stelle sembrano essere in grado di ottenere una maggioranza stabile. L’esperimento francese Macron, dopo una partenza in grande stile, è stato messo a dura prova da bassi livelli di approvazione. La Gran Bretagna è combattuta nel limbo Brexit e potrebbe presto andare alle elezioni. La Spagna ha avuto governi di minoranza per circa due anni e ha gestito la questione catalana nel peggiore dei modi possibili. La stessa UE ha assegnato tramite sorteggio due Authorities cruciali (sul sistema bancario e sulla medicina), come se si trattasse di partite di calcio. Chi è pronto ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte?
Ultimo ma certamente non meno importante, non possiamo dimenticare che la Banca centrale europea tiene insieme l’Europa grazie alla sua politica di Quantitative Easing. Cosa succederà dopo la fine del mandato di Mario Draghi? Il 2018 del ‘vecchio continente’ promette di essere molto molto impegnativo.
[Immagine dal Guardian].