Notes da (ri)vedereLe nuove professionalità nell’economia del XXI secolo

Il dibattito sulle nuove professionalità nell'economia del XXI secolo diventa sempre più incisivo; quello che dobbiamo comprendere sono le innovative frontiere occupazionali che stravolgono il futu...

Il dibattito sulle nuove professionalità nell’economia del XXI secolo diventa sempre più incisivo; quello che dobbiamo comprendere sono le innovative frontiere occupazionali che stravolgono il futuro della società. Al convegno “Tra presente e futuro”, organizzato da Pierluigi Testa, presidente del Think Tank Trinità dei Monti a Roma, sono state affrontate diverse tematiche economiche relative alle nuove esigenze sociali, sottolinenando «la sensazione di una nuova strada che in Italia e nel Sud Europa deve essere ancora valorizzata al meglio». Il mondo del lavoro insieme alle nuove professionalità stanno subendo una profonda trasformazione culturale dovuta alle nuove abitudini sociali, senza tralasciare le innovazioni digitali. La frontiera economica è in costante mutamento perché sono cambiate le esigenze e spesso si registra un evidente rinnovamento del modello sociale rispetto a quello del vecchio secolo.

«Il XXI secolo è destinato a ridefinire il concetto stesso di lavoro: come ci informa il report “The Future of the Jobs”, presentato al World Economic Forum di Davos, tra circa 4 anni più di un terzo delle competenze che sono considerate importanti nella forza lavoro di oggi saranno cambiate. I nuovi driver – spiega Pierluigi Testa – del cambiamento sono legati a competenze che sappiano affrontare la sfida di rendere flessibili orario e luogo di lavoro, del cambiamento climatico e implementare nuove fonti di energia nei processi produttivi. Avremo, in quest’ultimo caso, una vera e propria rivoluzione energetica, che determinerà cambiamenti così importanti e così veloci quanto quelli visti negli ultimi anni con la rivoluzione digitale. Oltre alle competenze tecniche, inoltre, i profili professionali del futuro dovranno padroneggiare competenze relazionali, cognitive e sociali al fine di coordinare processi che saranno sempre più automatizzati sul lato della produzione, ma che necessiteranno di un coordinamento sempre maggiore delle persone e delle aziende. Le opportunità professionali del XXI secolo sono individuabili in tre macro categorie: nuove figure professionali per i settori tradizionali con alta potenzialità di sviluppo grazie alla sharing economy: rientrano tutte le professioni legate al food, alla agricoltura, all’arrendamento e al design, al turismo. Evoluzioni delle figure professionali tradizionali: la globalizzazione e la tecnologia porteranno ad un profondo cambiamento delle figure tradizionali – soprattutto come siamo abituati a pensare in Italia – le classiche professioni di avvocato, economista, architetto, ingegnere dovranno aprirsi verso un mercato internazionale e dovranno accogliere le opportunità offerte dalla tecnologia. Nuove figure professionali emergenti con le nuove tecnologie, oppure sviluppo di nuove culture: pensiamo alla robotica, all’intelligenza artificiale, alla nano-medicina, alla biogenetica, alla sharing economy e al crowd-founding, molte già in corso di sviluppo, per non parlare di professioni legate al cambiamento culturale che avremo nel XXI secolo come curare il benessere aziendale: lavorare ovunque nel mondo attraverso le connessioni, sviluppare i servizi per la terza. Il XXI secolo sarà una nuova era e le nuove generazioni dovranno cogliere queste opportunità, le vecchie generazioni, invece, dovranno essere in grado di capirle, anticiparne gli effetti e, quindi, di guidare i giovani al cambiamento».

L’economia italiana stravolge il paradigma del XX secolo mentre il digitale è il vero protagonista grazie alle innovazioni che rivoluzionano l’economia. Non passa in secondo piano il mondo del lavoro poiché le occupazioni devono riqualificare la propria professionalità per restare a pieno titolo nel processo produttivo.

«L’industria manifatturiera italiana, con il suo indotto di servizi e commerciale, arriva a contribuire – commenta Pierluigi Testa – a quasi il 50% del PIL e perciò la rivoluzione dell’Industria 4.0 modificherà profondamente metà della nostra economia, con mutamenti sia nella progettazione dei prodotti sia nel modo di fare impresa grazie alla digitalizzazione delle filiere. Naturalmente, l’innovazione da sola non è sufficiente e bisogna formare un capitale umano sempre all’avanguardia attraverso una maggiore integrazione fra percorsi formativi all’interno della scuola e della ricerca nel mondo dell’industria. La Pubblica Amministrazione deve cogliere la sfida della digitalizzazione al fine di rendere più efficienti i suoi processi e, in tal modo, eliminare costi burocratici ed amministrativi che scontano in grande misura anche le piccole imprese e le micro imprese. Sia il settore privato sia quello pubblico dovranno, pertanto, investire per usufruire dei benefici derivanti dall’opportunità di adottare soluzioni digitali. Il digitale gioca un ruolo importante: utilizzare le nuove tecnologie e le nuove piattaforme per portare l’offerta unica al mondo verso i mercati internazionali. La questione della carenza di capitali delle nostre imprese potrà essere superata attraendo investimenti stranieri e rafforzando la capacità di entrare nei mercati esteri. A Trinità dei Monti abbiamo avuto modo di approfondire la potenzialità delle piattaforme di market place come Alibaba – prodotti italiani in vendita sulla piattaforma ed esauriti in pochi secondi – per conoscere le potenzialità delle nuove piattaforme di pagamento geo-localizzate che consentono di seguire il cliente ovunque vada e di capire i suoi gusti. Il ruolo del digitale è quello di essere una fondamentale infrastruttura del futuro. Il migliore approccio nell’affrontare la sfida del digitale è dato dalla gestione combinata delle idee dei “business native” con le capacità dei giovanissimi “digital native”».

La competizione delle nostre aziende sui mercati internazionali è un’altra sfida da vincere nel lungo periodo. Una buona promozione all’estero è necessaria per mantenere sempre ai massimi livelli l’affermazione del made in Italy. È importante divulgare la conoscenza dei nostri beni per competere adeguatamente a livello internazionale, senza tralasciare la strategica importanza della presenza dei nostri prodotti come veicolo promozionale del turismo.

«L’indice di performance competitiva UNCTAD-WTO poneva nel 2015 le aziende italiane ai primi posti nei ranking nei settori del tessile, dell’abbigliamento, della componentistica elettronica, dei macchinari, della manifattura di base e degli alimenti trasformati. Abbiamo anche registrato un massimo storico positivo – continua Pierluigi Testa – nel surplus della bilancia commerciale nel 2016, con un ampio contributo della manifattura che è cresciuto significativamente negli ultimi 3 anni. Questi dati ci forniscono un quadro estremamente incoraggiante per il nostro commercio internazionale, che però deve essere sostenuto nel tempo da investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, volti a incrementare una produttività del lavoro che è da troppo tempo stagnante in tutte le economie avanzate. Alla sfida del digitale e dell’innovazione tecnologica bisogna affiancare lo sviluppo di alcuni processi tradizionali come quello della logistica: esportare ci chiede di rivoluzionare il mercato della logistica e fare in modo ad esempio che un pacco possa essere consegnato in 72 ore da un capo all’altro del mondo. Occorre rinnovare completamente le dogane per gestire i milioni di volumi, dobbiamo usare la nostra più grande risorsa: il mare e il Mediterraneo. Il trasporto per nave congiunto con inter modalità su strada e ferro e l’automatizzazione e ottimizzazione dei processi attraverso il digitale, possono essere fonte di successi nella competizione, relativa soprattutto alla nostra posizione strategica, consentendoci di avere un ruolo fondamentale in Europa. Bisogna quindi che puntiamo sui nostri Porti del mediterraneo, evitando di essere schiacciati dalla concorrenza dei porti del Nord Africa».

Le esportazioni sono state la salvezza durante gli anni della recente crisi economica e devono essere valorizzate per le conseguenze positive derivanti dal loro impatto sull’economia. È naturale aumentare l’incidenza sui mercati esteri poiché l’Italia è già una nazione favorita, grazie ai suoi prodotti di eccellenza dove il vino e la gastronomia riescono a ottenere ottimi apprezzamenti da parte degli operatori internazionali.

«Le esportazioni hanno determinato una crescita netta dell’0,5% del PIL nel 2017. Il loro ruolo – commenta Pierluigi Testa – andrebbe ancor di più valorizzato attraverso il coinvolgimento di tutti gli stakeholder di settore, dalle associazioni industriali e artigianali, alle università che devono formare sempre di più la nuova classe imprenditoriale sulla tematica dell’internazionalizzazione, al Governo che deve portare avanti l’idea del made in Italy, che non è solo il food & wine, ma anche e soprattutto l’industria di stato, l’indotto automotive, la cantieristica, la domotica e molto ancora. Un ruolo lo devono giocare anche l’Agenzia per il Commercio estero e le singole ambasciate all’estero che devono intercettare opportunità e condividerle a pioggia con tutti gli enti nazionali che sono vicini all’imprenditoria. Poi c’è tutto il discorso delle aggregazioni, oggi incentivate attraverso l’istituzione dei PIR volti a canalizzare flussi finanziari verso le società italiane di media e piccola capitalizzazione e dunque per sostenere lo sviluppo economico del Paese. Le imprese più innovative e competitive necessitano di maggior sostegno all’internazionalizzazione, tramite la promozione di reti di mediazione linguistica e culturale che consentano di stabilire e consolidare relazioni commerciali in nuovi mercati nei paesi emergenti. Servono perciò investimenti in capitale umano che formino una classe dirigente e manageriale in grado di vivere in contesti internazionali, apprendere e comunicare in una o più lingue straniere e promuovere in maniera efficace le eccellenze produttive del paese. Lo sviluppo e la crescita di settori di ricerca di base che rappresentano giovani eccellenze a livello internazionale passano per una maggiore integrazione con l’imprenditoria giovanile, il venture capital e perciò la produzione di ricerca applicata ed innovazioni industriali. I regimi fiscali, infine, dovrebbero incentivare assunzioni stabili e di qualità ai campioni nazionali delle esportazioni».

Francesco Fravolini

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club