Per qualcuno rappresenta il trampolino di lancio verso una brillante carriera, per altri si trasforma in una gabbia che imprigiona fino a togliere il fiato. L’università è un momento cruciale per migliaia di ragazzi, nel bene nel male. Perché, se si ha un obiettivo ben chiaro in mente, può essere davvero una grande occasione. Altrimenti il rischio di perdersi è dietro l’angolo. Con esiti, a volte, tragici. Vergogna, senso di sconfitta, paura di deludere genitori e amici. C’è un po’ di tutto questo dietro la lunga striscia di suicidi che vedono protagonisti tanti studenti universitari. Numeri che, negli ultimi anni, stanno crescendo in maniera preoccupante. La dinamica è quasi sempre la stessa: alle famiglie dicono di essere a un passo dalla laurea quando, in realtà, hanno dato pochissimi esami o hanno addirittura abbandonato i sogni di gloria.
Assurdo morire per una laurea, anche se non arriverà mai
Giada, la 26enne molisana che si è tolta la vita nel giorno della laurea (almeno così aveva fatto credere ai suoi famigliari), è solo la più recente in ordine di tempo a non aver retto il peso della pressione. Lei ha scelto il modo più plateale per esternare il suo malessere. Ha atteso l’ultimo istante prima che il velo di bugie con cui si era fatta scudo cadesse definitivamente, è salita sul tetto della facoltà e si è lanciata nel vuoto. Il suo nome non era neanche in lista, nessun esame sostenuto nel suo curriculum. Ma lei non aveva avuto il coraggio di confessarlo. Molti altri, prima di lei hanno fatto lo stesso salto nel buio. E altrettanti sono quelli che ci hanno provato. Ma perché? Apparentemente non c’è un motivo valido che giustifichi gesti del genere. Perlomeno se ci si limita agli aspretti didattici. Probabilmente c’è dell’altro. Skuola.net ha cercato di capirlo interpellando mille universitari. E, al di là dei gesti estremi, si scopre che le ‘bugie accademiche’ sono pane quotidiano per migliaia di studenti.
Un terzo degli universitari mente sull’andamento degli studi
Più di 1 ragazzo su 3 (il 35%) ammette, infatti, di aver mentito almeno una volta sull’andamento del proprio percorso verso la laurea: il 18%, lo ha fatto più di una volta, il 17% sistematicamente. Ma quali sono le cose che gli universitari omettono di più? Quasi 1 su 4 – il 24% dei ‘bugiardi’ – non dice tutta la verità sui voti degli esami, gonfiandoli un po’. Il 18%, invece, sorvola sul numero reale di esami sostenuti. Il 16% sull’effettiva frequenza delle lezioni. Il 12% evita di aggiornare i genitori su eventuali bocciature. Il 7% ha fatto intendere che la data della laurea era più vicina del previsto.
La verità fa paura a quasi tutti i ‘bugiardi accademici’
Tutto calcolato? Non proprio. Circa 7 studenti su 10 – il 69% – tentano questa strada sperando di non essere scoperti. E se uscisse tutto fuori? Il 23% sarebbe semplicemente dispiaciuto, il 15% si sentirebbe umiliato, un altro 15% spaventato dalle conseguenze, il 16% sprofonderebbe nella disperazione. Solo il 31% vuoterebbe il sacco chiedendo scusa, mettendoci una pietra sopra come se nulla fosse successo. E allora, perché avventurarsi su un percorso che alla lunga può avere ripercussioni psicologiche devastanti?
Le aspettative spingono a camuffare la realtà
Molto ruota attorno alle aspettative che i propri cari ripongono su di loro. Il 28% mente proprio perché non vuole deludere i genitori. A cui va aggiunto un 13% che si vergogna per non essere riuscito negli studi accademici. La stessa quota (13%) è composta da ragazzi che hanno costruito un castello di bugie talmente grande da non poter tornare più indietro. Un altro 28% affronta la cosa con leggerezza, pensando che a tutto ci sia rimedio. Mentre 1 su 10 – il 10% – ha addirittura paura della reazione di chi ha immaginato grandi cose per lui. Un timore legittimo visto che – sempre a detta di chi ha “alterato” la propria effettiva situazione universitaria – solamente nel 55% dei casi i genitori hanno chiaro a che punto sia il figlio con gli esami; per il 27% sono abbastanza informati, per il 18% sono totalmente all’oscuro di come stia andando la sua carriera universitaria.
Genitori ambiziosi ma non sempre presenti
Perché per oltre la metà del campione complessivo, la famiglia è un fattore che genera ansia: il 54% degli universitari dice che i propri genitori ritengono fondamentale prendere il famoso ‘pezzo di carta’; il 30%, invece, dichiara che pensano sia importante ma non determinante; solo il 16% racconta che accetterebbero un fallimento dei figli negli studi. E dalle idee ai fatti il passo è breve: il 14% si sente pressato dai genitori durante il periodo universitario, mentre per il 52% s’interessano il giusto; il 7% si sente un po’ “abbandonato” e pensa che i suoi non gli chiedano nulla perché non sono interessati; solo il 15% dice di avere la cieca fiducia di mamma e papà.
I casi più recenti di ‘suicidi universitari’
E allora il pensiero va a loro, ai ‘caduti della laurea’; ragazzi forse troppo fragili per prendere la propria vita in mano, per dire a sé stessi e agli altri che l’università non era la propria strada. Covando rimorso misto a sconforto per anni. Prima di esplodere nel gesto estremo. Solo negli ultimi quindici mesi – dall’inizio del 2017 – ci sono stati altri due casi fotocopia a quello di Giada. Il primo ha riguardato un 27enne di Chieti, figlio di una famiglia di notabili della città abruzzese. Lui studiava Giurisprudenza a Roma e, pur di evitare che i genitori partissero alla volta della Capitale per assistere alla discussione della tesi, scoprendo che era tutto falso, ha preferito spararsi in testa la sera prima del grande giorno. Esito tragico, ma dinamica differente, per il 22enne di Badia Polesine – (finto) laureando in Ingegneria all’università di Ferrara – che per porre fine alla sua vita si è lasciato travolgere da un treno alla stazione di Rovigo.
Quasi sempre la decisione si prende alla vigilia della laurea
Ma l’elenco, come detto, è molto più lungo e dai contorni tristemente uguali. Giugno 2016: un 27enne di Genova si uccide con un colpo di pistola a pochi giorni dalla presunta sessione di laurea, salvo poi scoprire che gli mancavano dieci esami, l’ultimo dei quali risaliva a due anni prima. Aprile 2016: un 26enne di Potenza si uccide nel cortile della facoltà di ingegneria dell’università Roma Tre, davanti agli occhi dei suoi colleghi; troppa la frustrazione per non riuscire a passare gli esami. Ancora Roma (Università La Sapienza), ancora Ingegneria: siamo a novembre 2014 quando un 28enne si lancia dalla finestra della sua casa, nel quartiere Montesacro; quella mattina aveva convocato tutti per la discussione della tesi, ma non aveva dato neppure un esame in cinque anni.
Il fallimento fa scattare una molla interna
Gliene mancavano solamente cinque di esami, invece, alla 29enne di Pomigliano d’Arco che si è impiccata con il filo della doccia il giorno in cui (forse nella sua tabella di marcia mentale) si sarebbe dovuta laureare in Farmacia alla Federico II di Napoli: siamo a febbraio 2014. L’imminenza della laurea, sbandierata ai suoi cari nonostante le cose non andassero come avrebbe voluto, ha portato al suicidio una 27enne iscritta sempre a Farmacia ma alla Seconda Università di Napoli, buttandosi da una finestra dello stesso ateneo (siamo ad aprile 2011). Mentre a Scicli (in Sicilia), a inizio 2011, una 22enne prende la macchina della madre e la spara a tutta velocità giù da un ponte: in un primo momento si salva, morirà in ospedale per le ferite riportate.
Difficile reggere la pressione della finzione
Fingeva di essere in dirittura finale il 25enne di Ascoli Piceno che studiava a Roma. La famiglia stava già organizzando i festeggiamenti, ma la maggior parte degli esami che diceva di aver sostenuto, non li aveva mai superati. Lui la ‘soluzione’ l’ha trovata una mattina di ottobre del 2009 gettandosi sotto un treno della stazione Tiburtina. Solo un paio di mesi prima, un ragazzo di Cittadella (Padova), si era impiccato nel fienile di casa, consumato dal senso di colpa. Ma si potrebbe continuare. Con una media di almeno un paio di episodi all’anno.
Qualcuno, per fortuna, non riesce nel suo intento
A questi vanno aggiunti quelli che, fortunatamente, si concludono in maniera meno tragica. È il caso del 26enne di Salerno che, la mattina stessa della laurea – lo scorso febbraio – anziché tornare a Napoli (dove studiava) ha premuto il grilletto contro sé stesso. La scarsa dimestichezza con l’arma lo ha salvato (anche se ha perso un occhio ed è rimasto sfigurato). È invece atterrata su un’auto in sosta la 24enne che, a Messina, ha tentato il suicido dal quarto piano dell’abitazione che aveva affittato per frequentare l’università, neanche un mese fa. Mentre è stato il conforto del Telefono Amico a far desistere un giovane della provincia di Udine, nell’ottobre 2017. E una telefonata ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai genitori di un 22enne di Sirolo (nelle Marche) che aveva fatto perdere le proprie tracce a 24 ore dalla laurea, a metà marzo di quest’anno: non era vero e per la paura di doversi giustificare aveva optato per sparire nel nulla, salvo poi ripensarci e avvisare la famiglia che stava bene e sarebbe presto tornato. Quello che in tanti non sono riusciti a fare, inghiottiti dal buco nero della vergogna.