Ricostruire qualcosa che si è rotto senza nascondere le fratture ma, anzi, mostrandole. È questa l’antica arte giapponese del kintsugi (金継ぎ) letteralmente “riparare con l’oro”, una tecnica di restauro nata in Giappone nel 1400 e che consiste nel riparare oggetti di ceramica che si sono rotti con la lacca mescolata a polvere d’oro o d’argento, lasciando però ben visibile la riparazione. La tecnica ebbe origine durante lo shogunato di Ashikaga Yoshimasa, ottavo shogun del periodo Muromachi, e sotto il quale si svilupparono le grandi artci classiche giapponesi come la cerimonia del té o l’ikebana. Anche il kintsugi nasce durante la cerimonia del té quando lo shogun ruppe volontariamente la propria tazza da té per poi ripararla con il materiale più prezioso che ci sia, la polvere d’oro, facendola così diventare unica e irripetibile.
Dal 10 al 20 maggio, alla AD Gallery di Via Petrella a Milano, Alberto Moro, fotografo e Presidente Giappone in Italia, e Chiara Lorenzetti, artista ed esperta della tecnica kintsugi presentano una mostra per raccontare questa antichissima arte del restauro giapponese ancora poco conosciuta in Italia. La mostra si sviluppa in venti scatti che raccontrano il processo artistico che dona nuova vita alla ceramica ridotta in frantumi. Un’arte che diventa quasi un rito in cui si susseguono vari passaggi, dal rimettere insieme i pezzi incollandoli tra loro, al processo di laccatura e infine all’utilizzo della polvere d’oro che non copre la ferita, ma al contrario la evidenzia e la impreziosisce.
“I giapponesi sono molto sensibili all’unicità delle cose” spiega Alberto Moro, Presidente dell’Associazione Giappone in Italia e autore delle fotografie della mostra. “Quando una tazza si rompe lo fa in modo unico e anche la riparazione con la polvere d’oro che la impreziosisce la rende unica e irripetibile, sta qui il suo fascino e la sua bellezza. È una metafora che possiamo applicare anche alla nostra vita quando subiamo dei traumi e cerchiamo di ricostruire la nostra vita. Quest’arte ci insegna che non dobbiamo cercare di cancellare il nostro vissuto anche quando è doloroso, che ma dobbiamo passare oltre portandolo con noi, perché esso ci rende unici e bellissimi”.
“Mi sono innamorata del kintsugi nel giro di una settimana, quattro anni fa” spiega la restrauratrice Chiara Lorenzetti,. “Per realizzare il kintsugi utilizzo tutti strumenti giapponesi. Poiché la tecnica nasce durante la cerimonia del tè anche io cerco di non allontanarmi troppo dagli oggetti che appartengono a questo mondo, tanto che lavoro per lo più tazze di ceramica. La prima azione da fare è la rottura della tazza, che però non è casuale. Prima di rompere la tazza col martello, mi concentro affinché la rottura sia chiara e totale. Si tratta, insomma, di un gesto artistico, che si avvicina alla pratica zen. Durante la riparazione, che avviene mescolando la lacca alla polevere d’oro (in caso dell’argento utlizzo la lacca nera), si può anche praticare lo yobi kintsugi, ovvero l’inserimento di un pezzo estrano alla tazza durante la riparazione. Come diceva Alberto Moro questa è una tecnica che si può applicare anche alla nostra vita perché dobbiamo sempre ricordarci che, anche quando siamo feriti, siamo unici e abbiamo la capacità di aggiungere l’oro su noi stessi, ovvero di fare tesoro delle nostre ferite e di crescere e migliorare”
Appuntamento da non perdere: il 19 maggio Chiara Lorenzetti propone un workshop di 4 ore in cui insegnerà come realizzare una ceramica con questa tecnica. Costo del corso 100€ inclusi materiali e una ceramica.
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