Le matite coraggiose delle donne arabe

Sulle pagine dei giornali e sui magazine dedicati, ma sempre piu’ spesso solo sui social media politica, società, matrimonio, amore, sesso, ogni aspetto della vita umana ha preso forma dalle loro m...

Sulle pagine dei giornali e sui magazine dedicati, ma sempre piu’ spesso solo sui social media politica, società, matrimonio, amore, sesso, ogni aspetto della vita umana ha preso forma dalle loro matite. Perché è vero che parlare di problemi cruciali con il sorriso amaro della satira, a volte, fa capire meglio alle persone l’importanza delle cose.

Anche se altrettanto vero è che gli arabi e gli europei ridono in maniera diversa. Pensiamo, per esempio, alla strage del 7 gennaio del 2015 quando da due uomini armati fecero irruzione al grido di “Allah è grande” nella sede del settimanale satirico Charlie Hebdo, a Parigi. La rivista nota per il suo stile ironico e provocatorio, che ha sempre cercato di rivendicare la sua libertà di espressione (nonostante le minacce degli islamisti piu’ radicali), solo un quarto d’ora prima dell’attacco aveva postato sul profilo Twitter una vignetta sul leader dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi.

Pubblicato alla fine del 2017, il volume in francese intitolato 50 artistes de caricature et de bande dessinée, a cura dell’associazione Alifbata con base a Marsiglia, raccoglie i lavori di alcuni vignettisti e illustratori politici dal mondo arabo, proponendo una insolita full immersion in una realtà araba contemporanea poco conosciuta, ma che comunque puo’ contare su una storia vecchia di cento anni.

Sul piano dell’estetica i disegni degli autori dal Nord Africa e dal Medio Oriente sono piuttosto eterogenei, a seconda che siano influenzati dalla tradizione del fumetto franco-belga, quella dei manga giapponesi, o dei comics americani.

Ma sono le vignette delle donne a catturare maggiormente il lettore. Forse perché affondano il dito nella piaga della parità di genere. Una partita che di rado mette d’accordo tutti. Nemmeno nel 2018.

Le vignettiste e fumettiste arabe raccontate in questo volume inseguono ostinatamente la realtà, commentando fatti di cronaca con battute e un segno che suscita un sentimento misto tra ironia e amarezza. Scelgono un momento per raccontare un universo, concentrandosi esclusivamente su una o su poche illustrazioni.

Se le vignette della saudita Manal Mohammad affrontano questioni sociali, denunciando sulle pagine di Al Jazeera Plus – si legge nel volume – l’assenza di uguaglianza fra uomini e donne sul posto di lavoro e in politica, quelle della tunisina Nadia Khiari ridicolizzano con grande coraggio il governo al potere e si scagliano contro le violazioni dei diritti umani. O meglio, a farlo è un suo personaggio, il gatto Willis, abbozzato con il tratto sbrigativo di un pennarello nero. In una vignetta del 2012, Willis è vestito da gendarme e ironizza sul fatto che i graffiti siano considerati un vero e proprio crimine (fece scalpore qualche anno fa il caso di alcuni giovani street artist che finirono in manette in Tunisia), con una battuta in cui – con un gioco di parole che funziona bene in francese – le bombolette spray diventano nel gergo della street art “bombes”, che sempre in francese significa anche bombe.

Il volume, oltre 220 pagine a colori di vignette ed illustrazioni con le biografie degli autori divise in tre parti (classici, vignette e fumetti), fa il punto sulla storia del fumetto nel mondo arabo, compilando una rara raccolta di immagini disegnate destinata ad un pubblico di appassionati del genere. Non solo. Ci aiuta anche a capire fatti che ci condizionano in modo indiscutibile, e cioè ciò che accade sulla sponda sud del Mediterraneo.

Ci sono, per esempio, le vignette di Omayya Joha, la prima donna a pubblicare cartoon sulla stampa araba, si legge nel volume. Per i suoi colleghi arabi è lei l’erede femminile di Naji al-Ali, forse il piu’ noto dei vignettisti arabi morto ammazzato a Londra nel 1987. Omayya, nata a Gaza nel 1972 da una famiglia che emigrerà negli Emirati, ha utilizzato il personaggio di Handala – che rappresenta un bambino (all’origine solo palestinese) scalzo, e vestito di stracci, inventato da Naji al-Ali – in alcuni dei suoi disegni realizzati per il quotidiano Al Qods. E’ triste e rassegnata la vita che conducono i suoi personaggi: non riescono a liberarsi dalle catene e dal filo spinato in cui restano intrappolati, diventando agli occhi dei suoi numerosi fan il simbolo della condizione di sottomissione e prigionia del popolo palestinese.

Un’altra matita decisamente appuntita è quella di Sara Qaed, nata in Bahrain nel 1990. Le sue vignette, che si leggono da destra a sinistra, sono originali e uniche. Sono riconoscibili sia per l’uso che fa del colore che per le forme flessibili e arrotondate con cui disegna i suoi personaggi. Dal 2010 crea strisce per il settimanale Al Naba, ma è sul suo account Instagram dove, oggi, molti giovani la seguono. In una di quelle scelte da Alifbata, denuncia la crudeltà dei media – e della comunità internazionale – che non si commuovono e non si arrestano nemmeno di fronte al cadavere del piccolo Aylan, il bambino simbolo del dramma siriano annegato su una spiaggia della Turchia.

Jana Traboulsi e Lena Merhej sono invece le due autrici dal Libano – terra di intrepidi illustratori fra cui Mazen Kerbaj e Jorj A. Mhaya – proposte nell’ultima parte del libro, quella dedicata al fumetto. Entrambe fanno parte della community di Samandal (‘salamandra’, in arabo, o forse anche ‘geco’, animale con una forte carica simbolica), l’antologia del fumetto arabo che esce annualmente in tre lingue (inglese, francese e arabo), e che è diventata un progetto di culto per gli amanti del genere. In “Là où nos histoires se heurtent” Traboulsi racconta con un caratteristico tratto bianco e nero le trasformazioni urbane subite dalla sua città, Beirut, che diventa il simbolo dei drammi vissuti dai suoi abitanti. Le sue tavole riflettono il silenzio e l’attesa tipica della narrazione a fumetti, mappa di un racconto illustrato che concede al suo autore piu’ ore e piu’ carta di quelle di una vignetta, perché possa sviluppare scene diverse. Il nero ampiamente utilizzato nelle sue illustrazioni diventa il simbolo del disagio, di una forte insoddisfazione vissuta con consapevolezza dai suoi personaggi e, molto probabilmente, anche dall’autrice.

Leggendo i testi introduttivi alla raccolta, ci si accorge che fra i nuovi protagonisti della cosiddetta Nona Arte nel mondo arabo oggi ci sono, forse ancora di più delle donne, una manciata di festival: da Algeri, a Tetouan, da Tunisi a Beirut e il Cairo, nascono per sostenere le fortune e le sfortune di un mercato costantemente in crisi. Sugli scaffali degli stand giacciono graphic novel da libreria, ma anche, e forse di piu’, gli albi, le cui storie sono piuttosto assimilabili ai fumetti underground americani, che oltre quarant’anni fa costrinsero questo medium così accattivante ad intraprendere nuove strade. Prima dei fumetti underground, i personaggi erano essenzialmente supereroi dai sani principi e animali parlanti. Le storie erano perlopiù piccoli sketch, commedie divertenti e avventure per famiglie. I nuovi albi disegnati oggi trattano invece tematiche più adatte a un pubblico adulto: dalle crime story alla fantascienza, dal fantasy alle memorie purtroppo spesso di guerra.

Sembra proprio che oggi piu’ che mai l’attività intorno alla narrazione disegnata sia importante. O almeno lo è di piu’ rispetto a dieci anni fa. Comincio ad avere l’impressione che l’evoluzione del fumetto corrisponda ad un’altra evoluzione.

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