Paolo Borsellino, magistrato antimafia, muore a Palermo il 19 luglio 1992. Un’ autobomba lo dilania insieme ai cinque agenti di scorta.
Rita Atria scrive sul suo diario: “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi. Ma io senza di te sono morta”.
Una settimana dopo la morte del giudice, il 26 luglio, Rita mise la parola fine alla sua vita gettandosi dal balcone della sua casa, a Roma in via Amelia 23, quinto piano, dove viveva in segreto. All’arrivo dei soccorsi non ci fu nulla da fare, Rita era deceduta.
Chi era Rita Atria? Una ragazzina nata a Partanna, in provincia di Trapani, il 4 settembre 1974. Oggi, se fosse viva, soffierebbe sulle sue 44 candeline. Nel 1985 perde il padre Vito, affiliato alla locale cosca mafiosa, ucciso in un regolamento di conti.
Il fratello Nicolò venne ucciso il 24 giugno 1991, nel ristorante pizzeria della moglie Piera Aiello. Piera Aiello decise allora di denunciare gli assassini del marito ed iniziò a collaborare con polizia e magistratura, unitamente alla cognata Rita, confrontandosi direttamente con Paolo Borsellino. Piera Aiello è stata recentemente eletta alle elezioni politiche 2018, candidata dal Movimento Cinque Stelle nel collegio uninominale di Marsala; è la prima parlamentare nella storia della Repubblica Italiana avente lo status di testimone di giustizia.
La tradizionale omertà mafiosa è stata oltraggiata, tanto che persino la madre prende le distanze da Rita, accusandola di tradimento.
Come detto Rita Atria segue l’esempio della cognata e, ancora minorenne, rivela a Marsala a Paolo Borsellino tutti i segreti della cosca mafiosa a cui appartenevano il padre ed il fratello.
La Procura si muove e sono numerose le persone indagate ed arrestate in seguito alle rivelazioni di Rita e di Piera. La tradizionale omertà mafiosa è stata oltraggiata, tanto che persino la madre prende le distanze da Rita, accusandola di tradimento.
La permanenza di Rita in Sicilia diventa problematica e pericolosa e pertanto, in gran segreto, viene trasferita a Roma, dove già dimora in incognito la cognata Piera.
A quei giorni tribolati (ricordiamo che Rita è ancora una ragazzina) risalgono alcuni suoi scritti. «Prima di combattere la mafia devi farti un esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combatterla nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci».
L’attentato a Borsellino è per Rita un colpo durissimo. Un vero e proprio trauma. Il suo punto di riferimento svanisce con la morte del magistrato. In un momento di disagio estremo decide di togliersi la vita. «Quelle bombe in un secondo spazzarono via il mio sogno, perché uccisero coloro che, col loro esempio di coraggio, rappresentavano la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto. Ora tutto è finito».
Al suo funerale a Partanna non partecipò quasi nessuno, nemmeno sua madre. Una madre che, cinicamente, qualche mese dopo si procurò un martello e fece a pezzi la lapide di sua figlia.
Una “figlia sbagliata” che aveva “disonorato la famiglia Atria” collaborando con sbirri e magistrati. Si dice che la notizia del suicidio di Rita fu accolta nel carcere di Trapani con un lungo applauso dei reclusi mafiosi.
Suo malgrado Rita, la picciridda, è stata poi ricordata con opere letterarie e ricostruzioni cinematografiche della sua sfortuna esistenza.
Oggi, giorno del suo compleanno, la vogliamo ricordare anche noi.
“Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda”. Peppino Impastato