Ipse DixitAbbiamo creato un Mondo Nuovo.

Web - social - informazione - comunicazione. Come giornalista ho avvertito tante volte la necessità di tenere questi quattro elementi in equilibrio, spesso riuscendoci solo a costo di grandi sacrif...

Web – social – informazione – comunicazione. Come giornalista ho avvertito tante volte la necessità di tenere questi quattro elementi in equilibrio, spesso riuscendoci solo a costo di grandi sacrifici e rinunce. Vorrei proporvi il pensiero di una valente psicologa che da qualche anno si occupa di questi temi così attuali e spinosi.

Si chiama Francesca Ungaro.

Nasco a Milano nel 1972. Con la convinzione già di studiare Psicologia Clinica per lavorare negli ospedali psichiatrici, non finisco la mia laurea prima di iniziare il tirocinio all’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Non sono iscritta all’albo degli psicoterapeuti, perché una volta laureata, sono assunta e continuo a lavorare. Per quasi vent’anni in corsia psichiatrica. Certo, avere un camice addosso aiuta a sentirsi forti, ma dopo tanti anni, anche per vicende familiari, lascio la professione e inizio a pormi una domanda. Che cosa so fare bene oltre alla Psicologia? Scrivere. E, in effetti, non è mancato mai per me il momento serale della scrittura, prediligendo i thriller e riuscendo a pubblicare perfino un racconto. Nel cassetto ho un romanzo finito, 270 pagine da pubblicare, e non ho idea del perché sia ancora lì fermo.

Oggi sono una donna talmente trasparente da non poter raccontare anche la più piccola bugia: mi si leggerebbe negli occhi. E dico sempre che non amo chi urla, perché il silenzio è il rumore più forte che abbiamo.

La nascita del Web ha annullato un altro genere di comunicazione, la più antica del mondo: la Comunicazione Non Verbale.

La prima proposta teorica riguardante la creazione di un sistema ipertestuale risale al 1945. Il concetto di ipertesto fu compiutamente definito nel 1965. Nell’agosto del 1991 fu messo in rete il primo sito internet; l’idea del World Wide Web era stata elaborata due anni prima al CERN di Ginevra. Quello che doveva essere un sistema di comunicazione sperimentale oggi è diventato molto più di uno strumento. Abbiamo creato un mostro?

Abbiamo creato un Mondo Nuovo. Con radici profondamente legate alle dinamiche psicologiche e sociali del mondo analogico, ma così complesso, potente e dominante da far dimenticare in fretta il mondo della comunicazione 1.0. Potente e dominante, ma altrettanto pieno di rischi e pericoli, e non solo perché è un Universo Nuovo, che ha, quindi, bisogno di regolamentazioni nuove, ma soprattutto perché non se ne possono definire i confini.

La comunicazione vis-a-vis, diciamo meglio, le caratteristiche dell’Universo della Comunicazione fuori dal Web, sono studiate da secoli, perfezionate e plasmate per essere il più possibile efficaci. Hanno regole anche non scritte, ma che indubbiamente il Word Wide Web non può rispettare. In primo luogo, perché quest’ultimo passa attraverso uno schermo.
E che vuoi che sia? Tutto. Facciamo un piccolo passo indietro. Prima della nascita di un qualsiasi sistema ipertestuale, la comunicazione era informazione e i discorsi partivano da un solo interlocutore, senza necessariamente creare un confronto di opinioni. Era unidirezionale, un mondo di notizie che non raggiungeva certo tutto il Pianeta, ma creava cultura personale e un bagaglio di nozioni e cognizioni.
Significa che l’interlocutore non aveva la possibilità di rispondere? Certo che no, ma solo attraverso un’altra espressione unilaterale, in cui confluivano i pareri di una o più persone.
E non solo. La nascita del Web ha annullato un altro genere di comunicazione, la più antica del mondo: la Comunicazione Non Verbale. Che non può certamente esprimersi attraverso uno schermo, e che è – come dichiarato dalla scienza psicologica – incapace di mentire.
Viene da dire subito che il Web la uccida, ed è vero. Perché per comunicare con il linguaggio del corpo e saper decifrare il comportamento umano è indispensabile una relazione fisica, concreta, sicuramente non virtuale.
Attenzione: non sto dicendo che la comunicazione via Web, col suo bello schermo davanti, menta per forza o, ancora peggio, non possa costruire relazioni.
E questo è dimostrato dal fatto che oggi, sempre di più, si cerca di coltivare offline le conoscenze online.

Più che mai attuale è il nuovo concetto di Marketing ed Advertising, che riposizionano l’uomo al centro, coi suoi bisogni, con le sue emozioni.

Mai come oggi, la comunicazione immediata, in tempo reale, pubblica e incancellabile cerca di completarsi con incontri nella vita reale. Mai come oggi esistono corsi, gruppo, ritrovi per poter dare un vero volto a quell’account con cui ci relazioniamo quotidianamente. E si creano storie stupende, che confermano o ribaltano l’immagine mentale che avevamo della persona virtuale. Mai come oggi si parla di Personal Branding: la necessità che l’uomo geneticamente ha di comunicare quello che è, con coerenza. Per essere riconosciuto, differenziato e accettato dal gruppo.

Mancano gli occhi, sì, manca il sorriso – che se asimmetrico significa non sincero – manca tutto il viso, con i suoi mille muscoli facciali capaci di dare immediatezza alle emozioni. Non serve aggiungere altro. In una relazione dal vivo si crea uno spazio tra i due o più interlocutori e l’ampiezza di questo spazio, la postura del corpo, delimitazioni di campo date dalla dinamicità dei gesti, tutto parla da sé. E con una voce – anch’essa fondamentale nel tono e nell’intonazione – che è universalmente compresa e universalmente usata.

Tutta questa autenticità è particolarmente attuale, perché nella comunicazione virtuale oggi più che mai si sta sull’attenti a rintracciare fonti autorevoli per combattere le bufale o, meglio dette, fake news. E ancora. Più che mai attuale è il nuovo concetto di Marketing ed Advertising, che riposizionano l’uomo al centro, coi suoi bisogni, con le sue emozioni.

Già, emozioni: che spazio lascia il web alla comunicazione di una sensazione, percezione, sentimento? In questo preciso momento ancora poco, ma fioriscono articoli su quanto – ad esempio – la Leadership del futuro in azienda necessiti di partire dal cliente-persona, abbandonando il concetto di utente e sottolineando, piuttosto, l’importanza di conoscere le famose Soft Skills. Quelle competenze che altro non sono che prettamente umane e primordiali, come l’ascolto, l’empatia, la collaborazione, etc. Insomma, c’è da perdersi. Perché, come vuole l’evoluzione umana, è impossibile fermare l’innovazione e rinunciare oggi ad una comunicazione virtuale. Così legata a numeri e prestazioni da necessitare di un gran dispendio di conoscenze tecniche, sempre più distinte e sottili.

In passato, un passato non troppo remoto, si tendeva ad inquadrare una persona osservandone la cura nel vestire, la parlata, gli usi e costumi sociali ed ove possibile sondandone etica e moralità. Oggi nella valutazione complessiva entrano anche il numero dei followers ed i like collezionati. L’effimero avanza e ci travolge?

La Cultura del Like è oggetto di grandi discussioni, anche perché – chiediamocelo – quante volte clicchiamo il like solo per farci sentire presenti e partecipare in qualche modo ad una conversazione? Un bisogno umano e sociale, un’emozione reale che si ha necessità di provare: far parte del gruppo stretto di appartenenza ed esserne membro attivo.
Chi sceglie di non avere soluzioni di continuità tra vita virtuale e vita reale è libero di pensare che non esistano modi diversi di vivere. E che ormai tutto debba prima o poi passare dal Web. Tanto vale, raccontare pubblicamente i propri pensieri, sempre, spesso non richiesti o poco interessanti per il pubblico della Rete. In questo caso, stiamo parlando di un individuo che a volte non presta attenzione né all’importanza della Comunicazione Non Verbale, né alla veridicità delle fonti, né tanto meno alla Privacy personale.
I motivi posso essere moltissimi, e quasi tutti di origine psicologica.

Chi si ricorda il gettone telefonico e il citofono? Nella corsa all’innovazione, immersi ormai nell’Internet of Things e nell’Intelligenza Artificiale, basta uno squillo – o il fatidico “Ok Google” – per guadagnare tempo. Tempo che poi a sua volta non viene quasi mai speso per sé stessi. Per trovare un equilibrio sano tra virtuale e reale e una modalità di comunicazione completa, arricchita sia di vita sul Web, sia di gestione delle emozioni autentiche nella vita offline. La cura nel vestire, la parlata, gli usi e costumi sociali fino a questioni delicate e preziose come l’etica e la moralità sembrano perdere d’importanza. E se questo è il Nuovo Mondo che ci porterà davvero tempo in più, scoperte terapeutiche preziosissime, evoluzione del ciclo produttivo del mercato, etc. quanto sarebbe bello raggiungere la saggezza di colmare a vicenda i punti deboli delle due realtà comunicative?
L’innovazione stessa avrebbe senso di esistere, senza dimenticarsi che siamo esseri umani.

L’effimero avanza? Sì. Tanto da travolgerci? Qui sono necessarie le distinzioni tra chi usa il Web per lavoro, ne conosce gli strumenti e ne applica le regole e chi, invece, ne usa le piattaforme Social per puro e semplice svago. Un puro e semplice svago che, però, quasi sempre non è sganciato dall’attualità. Politica, prima di tutto, e Violenza in Rete, piaga ancora lungi dall’essere curata. Ciò che giustamente viene ribadito, ripetuto, insegnato è che il Web con tutte le sue funzioni e piattaforme è solo e soltanto un mezzo. Uno strumento.
Come lo sono carta e penna. Papiri e calamai. E soltanto imparando ad utilizzare questi mezzi di comunicazione si può sperare che l’effimero non ci annienti.

Cercare e trovare l’autenticità di una notizia prima di pubblicarla è certamente impegnativo, costa tempo e studio.

Cinquanta anni fa. Io giornalista osservavo, pensavo, scrivevo e cercavo qualcuno che divulgasse il mio pensiero. Un editore. Lo strumento: un giornale oppure un libro. L’editore prima di pubblicarmi pesava il mio scritto e si assicurava che quanto da me sostenuto fosse almeno aderente alla realtà. Oggi nel web posso pubblicare liberamente, il filtro editoriale non c’è quasi più, e tutti ci troviamo esposti al fenomeno delle fake news. A suo parere, quali le cause e quali i possibili rimedi.

Come ho scritto, la caratteristica intrinseca della comunicazione sul Web è esattamente quella di essere immediata, in tempo reale e pubblica. Difficile, a tratti impossibile, cancellarla, e lo sanno bene le aziende che hanno utilizzato “fuori dalle righe” le piattaforme Social per fare pubblicità.
Non serve una laurea per scrivere sul Web, tanto che capita di incontrare giornalisti che non lo sono affatto e Marketing Manager che hanno iniziato per gioco smanettando sul PC.
È assolutamente vero che il filtro editoriale non esiste quasi più, o è comunque possibile pubblicare senza curarsi delle conseguenze.
Tutto questo naturalmente ha portato ad un fenomeno dilagante: le fake news, ovvero notizie non convalidate che fanno il giro dei Social Network.

Le cause? Si è talmente abituati a scrivere pubblicamente quello che ci passa per la testa da non considerarne i pericoli. E più appealing sono le notizie che spuntano ogni giorno in Rete, più si espande il “Mondo del Falso”. Il monito è quello di cercare fonti autorevoli, ma sembra anche troppo facile scritto così. Per combattere le bufale in Rete sono le notizie di testate giornalistiche italiane e soprattutto straniere a venirci in aiuto.
Cercare e trovare l’autenticità di una notizia prima di pubblicarla è certamente impegnativo, costa tempo e studio. Due fattori – tempo e studio – che rallentano l’immediatezza della scrittura sul Web, la produzione quotidiana di miliardi di articoli. È in gioco il Personal Branding, la cultura e la competenza individuali. Sembra poco? È come dire “ho perso credibilità perché non ho letto tutto un articolo fino in fondo o non ho tradotto la ricerca straniera citata nel post”. Verificare le fonti è la risposta per frenare e fermare il mondo delle fake news.
E ne siamo assolutamente tutti capaci.

Mondo reale e Mondo digitale. Mondi paralleli o facce della stessa medaglia?

Non possiamo far finta di niente. La Comunicazione, in tutte le sue forme, è oggi prima di tutto Digitale. Si è “spostato” il luogo per scrivere e confrontarsi: dal foglio di carta agli spazi del Web, dalla realtà al virtuale. E, come già detto, l’innovazione non si può fermare.

Indubbiamente, Mondo Reale e Mondo Digitale sono due facce della stessa medaglia. Se così non fosse, il divario tra i due ecosistemi della comunicazione diventerebbe ogni giorno più ampio, fino a rendere confuse le identità stesse degli esseri umani. Immagino un omino di pezza, tirato per un braccio a sinistra e per un braccio a destra.
Prima o poi si spezza. La realtà digitale si è fatta spazio tra i rapporti umani, tra le competenze lavorative. Ricordiamoci i “vecchi” CV: la capacità di utilizzo del PC – Pacchetto Office completo, linguaggio Linus, e via dicendo – era considerata un plus, esattamente come la conoscenza dell’inglese.

L’evoluzione non è certo stata lenta e ha lasciato indietro moltissima parte della popolazione italiana. Tuttavia, è stata un’evoluzione necessaria e inevitabile. Infatti, grattando poco poco sotto il luccichio di questa vera e propria rivoluzione, ci rendiamo conto che le dinamiche psicologiche e sociali che sottostanno ai comportamenti in Rete sono esattamente le stesse che condizionano la vita reale.

Solo che lo dimentichiamo. Dimentichiamo che mettiamo il Like per sentirci parte vitale di un gruppo, dimentichiamo che ci sentiamo a disagio se non siamo costantemente aggiornati, come se la selezione della specie fosse in continuo agguato per eliminarci. Dimentichiamo le paure, dimentichiamo i fallimenti, dimentichiamo la storia stessa del Mondo Interconnesso. Fallimenti e paure che vengono nascosti, perché la comunicazione digitale è pubblica e certo nessuno vuole apparire “sbagliato” agli occhi di tutti. Ecco, un’altra esigenza psicologica. Sono tanti gli esempi che si possono apportare. Pensiamo all’E-commerce. Indubbiamente anche la spesa alimentare che ti arriva a casa o la possibilità di ordinare via Web la cena, sono scenari impensabili una volta. Mettere nel “cestino” di un sito un certo numero di vestiti per pensarci meglio prima di acquistare è pratica quotidiana. Poi capita che si passa davanti ad un fornaio e si è rapiti dal profumo di focaccia calda, e soprattutto, i pantaloni ordinati via Web ci stanno troppo stretti. E per le vacanze? L’importante è che rappresentino una disintossicazione dai Social, anche se non lo sono affatto, perché ci si è informati già della presenta di una connessione Wi-Fi.

Gli interlocutori non cambiano: sono sempre esseri umani con una varietà di emozioni infinita.

I bisogni umani, emotivi e professionali, non sono cambiati. La comunicazione ha certamente acquisito strategie e modalità totalmente distinte, ma è dettata dalle medesime esigenze e problematiche psicologiche. L’appartenenza al proprio gruppo sociale, la necessità di mostrarsi comunque sempre attivi e creativi, il senso di isolamento e di solitudine, la dipendenza da quello schermo che nasconde perfettamente le lacrime, l’autorealizzazione, la motivazione, l’attenzione, l’amicizia, l’amore. Gli interlocutori non cambiano: sono sempre esseri umani con una varietà di emozioni infinita.

Siamo esseri umani fin troppo spesso più stressati e depressi, magari anche solo perché l’andare a comprare pane e latte ogni giorno ci regalava un sorriso e una stretta di mano. Non occorre andare troppo lontano: la psicologia è perfettamente in grado di spiegare la maggior parte dei comportamenti virtuali, perché le emozioni sono l’altra parte della moneta. E tutti noi abbiamo bisogno di una moneta intera per sopravvivere.

Ho sottolineato la parola creatività perché, al di là di una capacità di saper scrivere bene, i Social Network e in generale il Web vivono di creatività, oltre che di news.
Se si corre per essere i primi a scrivere in Rete l’ultima novità della giornata, basta anticipare la sveglia di un paio d’ore prima e leggere le agenzie di comunicazione. Essere ogni giorno creativi, invece, non è per nulla scontato. La creatività è un’estensione dell’Io, una dote che si può coltivare, ma non imparare da zero. E in questo overload di informazioni da cui siamo inondati ogni giorno – a qualunque ora del giorno, sette giorni su sette – troppo facilmente rimane soffocata dall’esigenza di immediatezza.

Un consiglio? Prendiamo in mano la nostra moneta, guardiamola bene, distinguiamo i caratteri delle due facce e mettiamola in tasca. Girandola e rigirandola tra le nostre dita in quella tasca, che per fortuna pubblica non è, l’intuizione del nuovo si alimenta.
A volte zampilla da associazioni mentali, a volte rimette in gioco tutto ciò in cui abbiamo creduto. Non a caso, le idee e gli affari migliori anche nell’Era Digitale si fanno a tavola, guardandosi negli occhi. E i pantaloni sono della taglia giusta solo se li si va a provare. Mischiare con consapevolezza estrema le due facce ci porterebbe veramente lontano. Intersecandosi tra loro con coscienza e rispetto delle differenze saremo veramente capaci di dare vita a quell’Innovazione cui tanto ambiamo.

Se io fossi un imprenditore e le chiedessi una consulenza per rendere la mia attività mediaticamente virale, cosa mi consiglierebbe?

Considerando la mia competenza di psicologa, non posso certo ritenermi un imprenditore, ma dal mio lavoro sul Web ho imparato molte cose che con la Psicologia si collegano strettamente. La Viralità di un contenuto o di qualsiasi attività dipende moltissimo da quanto quel contenuto e quella attività siano capaci di stimolare il mondo emozionale.
E quanto più sono forti e inaspettate le emozioni che emergono, tanto più il contenuto si imprimerà nella mente e darà origine ad una diffusione virale.
Non si parla qui del “basta che se ne parli”: la viralità è ciò che fa fare il giro del mondo ad un’immagine, ad un cortometraggio, ad un video, ad una canzone, diventando simbolo del “credo” di una quantità immensa di persone, accomunate anche solo dalle stesse emozioni. E più le emozioni che scaturiscono sono potenti ed intense –e – più rapidamente il contenuto diverrà virale.
Nel Mondo Digitale è senza dubbio più facile far diventare virali attività che coinvolgono i sensi: un’immagine, una pubblicità, il tormentone dell’estate. L’immagine resta, si imprime. Lo slogan pubblicitario viene ripetuto in altri contesti, un video entra nel cuore. Il tormentone arriva a rappresentare l’estate intera. E tutto questo perché abbiamo bisogno di replicare le emozioni che sono emerse, e più le replichiamo più ci sentiamo parte integrante della comunità.

Al di là delle emozioni che ci rimangono nella testa e nel cuore, esistono naturalmente altri espedienti per rendere un’attività virale. Il tempo giusto, il momento propizio in cui condividere il contenuto: più persone sono presenti, più in fretta si passerà al virale. In questo senso, i Social Media sono anche il luogo giusto. E poi? Vincono più facilmente video e immagini. Come dice un vecchio detto: vale più una immagine di cento parole. Perché ciò che non dimenticheremo, e anzi replicheremo, sono le emozioni inaspettate che lentamente diventano familiari e ci rassicurano. Sì, perché la viralità rassicura: nasce fuori dalla Confort Zone, ma vi entra in brevissimo tempo, portando con sé le emozioni del momento.

Quando cucina lei va nel web a cercare un tutorial oppure apre un vecchio libro di ricette lasciato dalla nonna?

Sorrido, anzi rido e rispondo: senza dubbio il libro di ricette della nonna. Tanto più che la nonna era bolognese e cucinava magnificamente. Scherzi a parte, dipende dal tempo che ho a disposizione, e questo tempo è una variabile costante della differenza tra comunicazione reale e comunicazione virtuale. Se sono di fretta chiedo a Google, leggendo il sito che prediligo. Se si tratta di cucinare per una festività o per altre persone invitate a cena, invece, vado a ricercare le ricette scritte a mano da me bambina con la nonna che me le dettava.Ricette ingiallite e piene di errori, che mi riportano all’infanzia e al calore familiare. Quel calore emozionalmente perfetto per essere sicura che la ricetta è con certezza quella giusta.

Post-Scriptum: l’ho sempre dichiarato, sono geneticamente non programmata per cucinare bene.

Dal punto di vista psicologico, l’anonimato è un collante universale potentissimo

Negli ultimi anni si sono create e sfasciate famiglie e relazioni sentimentali a causa dei social? Sembra che non esistano regole del gioco…

Ho scritto di questo fenomeno in uno dei miei post: https://francescaungaro.it/2018/03/15/amore-e-social-network-il-tradimento/. Prendiamo ad esempio la Comunicazione che avviene nelle chat dei Social Media. La chat, si sa, è terreno franoso: è privata, è istantanea e fugace, è succinta, sintetica e, soprattutto, è caratterizzata da un linguaggio virtuale di per sé fraintendibile. La brevità dei messaggi, la velocità degli scambi interattivi, l’uso più o meno adatto delle emoticon: è cambiato il nostro modo di comunicare e di vivere, nell’Era Digitale. È naturale che cambi anche il nostro modo di incontrarsi, flirtare, innamorarsi e perfino tradire.

In qualsiasi ricerca ci si imbatta, arriveremo sempre alla stessa risposta: tradire è diventato più facile con la Comunicazione Virtuale. Sul Web si accorcia in un istante la distanza fisica e psicologica, perché è più facile aprirsi e mettersi in gioco quando si è in una situazione di anonimato. E utilizzando la “tecnologia dell’anonimato” con comoda giustificazione, flirtare diventa un gioco. Dal punto di vista psicologico, l’anonimato è un collante universale potentissimo, e non solo perché dal gioco al tradimento il passo è brevissimo. Succede, infatti, che il tradimento digitale, per come nasce, non sia quasi considerato reale. Come l’anonimato, anche l’essenza virtuale della comunicazione sul Web fa percepire il tradimento come qualcosa di addirittura ininfluente per la vita coniugale. Ed è questo il dato più sconcertante: la falsa sicurezza dello schermo ancora resta sufficiente a giustificare intimamente e inconsciamente una vita amorosa parallela, in cui il tradimento risulta poco grave.

Eppure, constatata la risposta alla domanda, ci si accorge di essere caduti nella trappola della Comunicazione Virtuale: sono davvero i Social la causa del tradimento e della scarsa coesione familiare? No. Ancora una volta, va ribadito che i Social Network, così come l’intera Rete, sono solo uno strumento. Non hanno nessuna colpa. Permettono sì espedienti che facilitano il tradimento, ma si tradisce perché emotivamente lo si vuole fare. Più o meno inconsciamente, si tradisce perché i nostri sentimenti ci inducono a farlo. È più semplice, ma non c’è colpa. Se colpa c’è, è solo all’interno delle nostre emozioni, che – lo si ripete – sono uguali sia Online che Offline. Se una famiglia si sfalda e un matrimonio fallisce il perché non va trovato nei mezzi di comunicazione, ma in tutto ciò che magari non diciamo a noi stessi, ma esiste già dentro di noi.

Secondo lei la Psicologia (intesa come Scienza Clinica) è riuscita a stare al passo con la veloce evoluzione del Mondo Digitale?

Abbiamo già scoperto insieme – in questa riflessione – che le emozioni e le dinamiche psico-sociali che sottostanno al nostro comportamento virtuale sono esattamente le stesse che inducono il comportamento reale. Naturalmente – postulato che ogni comportamento è comunicazione (Watzlawick) – cambia la velocità, cambia la segretezza, cambiano i termini usati. Non cambiano le emozioni.

La Psicologia non solo sta al passo con la veloce evoluzione del Mondo Digitale grazie alle incessanti ricerche universitarie e non, ma addirittura è perfettamente in grado di spiegare i comportamenti dell’Era Digitale. La possiamo immaginare come un’ancora: cambia il vento, cambiano le maree, cambiano le dimensioni, ma se la barca è solidamente ancorata non cambia nulla.

le immagini rimangono il linguaggio più profondo e al tempo stesso veloce

Il valore delle immagini nel web. Se posto un testo che mi è costato ore di ricerca becco 10 like. Se posto una bella foto con in braccio i miei due gatti ne becco 2000. Esistono quindi del mondo digitale dei catalizzatori di attenzione da sfruttare a proprio vantaggio?

Credo di aver già implicitamente risposto a questo interrogativo, nello spiegare cosa rende virale un’attività. Dunque, sarò breve. Se un contenuto – in questo caso i gatti – suscitano emozioni particolarmente vive ed immediate (tenerezza, affetto, stupore, dolcezza, amore), tale contenuto si fisserà nel nostro Sistema Cognitivo molto più intensamente di quanto può fare una informazione scritta a parole. Quello che più fa discutere è la strumentalizzazione “del gattino”, quello sfruttare le emozioni suscitate per trarne proprio vantaggio. In questo caso, in questo caso per beccarsi 2000 like con poca fatica.

La polemica dei gattini è storia ripetuta per chi lavora sui Social. Da un lato è bello pubblicare foto personali e tenere: è questo ciò che rende i nostri account più umani e più autentici. Specchio di quello che siamo. Eppure, dall’altro lato, costa assai poco coinvolgere i nostri contatti con una foto accattivante piuttosto che studiare, leggere, leggere e studiare per imparare ad esprimere al meglio contenuti più complessi, scrivere, riflettere, coinvolgere con la creatività della comunicazione. Quanto siamo creativi scrivendo? Oggi, la “polemica del gattino” sembra cosa superata e assodata, ma le immagini rimangono il linguaggio più profondo e al tempo stesso veloce. Nessun testo può far emergere emozioni così immediate e comunemente condivise.

Lei è una bella donna e pertanto è ovvio che abbia al suo fianco un compagno. Trovato online o al mare ballando sulla spiaggia?

Di nuovo sorrido, anzi rido e rispondo: nessuna delle due, ma qualcosa che si avvicina molto più alla spiaggia anche se meno appealing. La verità è che mi ero appena trasferita in un’altra zona a Milano e, si sa, dopo il trasloco, la prima tappa è il supermercato e la seconda la farmacia. Dunque, io entro in farmacia e, oltre al resto e allo scontrino, mi ritrovo in mano un numero di telefono. Ma-siamo-impazziti-per-chi-mi-ha-preso-il-farmacista? Cestinato immediatamente.

Due giorni dopo, tuttavia, mi trovo nella necessità di un nuovo farmaco e telefono per sapere se è disponibile. E mi risponde lui, il farmacista. Da lì è nata una complicità bellissima – stessa età, stessi interessi -, ma vissuta in rari e rapidissimi momenti: il tempo di una sigaretta perché lui potesse uscire dalla farmacia. Ha avuto pazienza e amore. Perché credo che solo pazienza e amore, oltre al fondamentale rispetto, possano rendere capaci un uomo di aspettare un intero anno prima di un mio “SI”.

Non ho avuto mai alcuna relazione con uomini conosciuti online, a meno che non fosse per una bella amicizia. Paura? No. Il senso del mistero, semplicemente, non mi ha mai attratto in un uomo, così come lo sguardo bello e dannato. Preferisco gli occhi buoni, che paiono distratti eppure vedono tutto e ricordano tutto. E se avessi l’occasione di incontrare e invaghirmi sentimentalmente di qualcuno sui Social, so che la seconda cosa che gli chiederei sarebbe: quando ci vediamo? Dopo il nome, ovviamente. Sì, sono all’antica. Senza la fisicità e il linguaggio del corpo, senza la Comunicazione Non Verbale, affettivamente non mi sento sicura.

Esistono facoltà universitarie che insegnano ai propri studenti come diventare operatori attivi nel web. Web marketing, web writing, Social Media Management. Quali caratteristiche è necessario avere per sfondare in questo mercato del lavoro?

Questa è una domanda un po’ difficile per me, dal momento che vengo dalla Psicologia e solo 6 anni fa ho iniziato a lavorare come freelance, senza neppure un’esperienza in agenzia di comunicazione. Posso, tuttavia, ribadire con certezza che le professioni del Web sono tante e sono diversissime tra loro. Per cui trovo molto corretto che ci siano facoltà universitarie specifiche. Nella mia bio, non ho mai scritto quello che non so fare: lo riconosco, alzo la mano, cerco un collega per una collaborazione. Io sono prettamente una Web Writer e una Content Manager. Significa che ho un mio blog, che è gestito da un professionista della programmazione IT, in cui io scrivo e “basta”. Fare Content Marketing, invece, significa divulgare attraverso le piattaforme social – che, sì, conosco molto bene in effetti – post e contenuti altrui. Per imparare io stessa, per creare cultura, per dare spazio a chi sul Web fa un mestiere diverso dal mio.
Ciò che mi sento di dire con sicurezza, in ogni caso, è che sfondare in questo mercato del lavoro non è per nulla né facile né alla portata di tutti, come potrebbe sembrare. Quando mi chiedono come ho fatto io a raggiungere i risultati di oggi, rispondo sempre e solo: studiare, leggere, leggere, studiare, scrivere, cancellare, riscrivere, correggere. Tutte qualità di una mente aperta al confronto e al dialogo con i diversi attori del Web. Al di là di studi specifici che sono necessari, quello che permette secondo me di comprendere l’Era Digitale e di lavorare coi suoi strumenti è qualcosa che ha sempre più un sapore legato alla Psicologia e all’Intelligenza Emotiva.

Sempre più il marketing sul Web e l’innovazione, dall’incubazione di una startup al saperla far crescere e dominare la scena, dalla formazione in aula su temi Social alla competenza concreta di un Social Media Manager, richiede la necessità di imparare e mettere a frutto le Soft Skill. Ci si domanda, insomma, chi sia il vero leader capace di far fronte alla complessità dei cambiamenti aziendali in atto. E sempre di più, la risposta è che la leadership vincente deve abbandonare l’immagine stereotipata del comando e dell’autorità, tipica del passato, di matrice prettamente americana, spostandosi verso un modello di leadership “Emotiva”, collaborativa, empatica, consapevole, capace di ascoltare in maniera costruttiva i bisogni del cliente e di ritagliare proprio sul cliente il prodotto adatto.

Come si riesca a mettere in atto questo proposito è un vero e proprio cambiamento di rotta. Qualsiasi sia la competenza sul Web, il nuovo obiettivo – di più, l’unico obiettivo capace di permettere la continua innovazione – è quello di ri-mettere la persona al centro. Di concepire il mercato come una conversazione tra personaggi dai diversi ruoli, attenti tutti, però, all’ascolto e al cambiamento anche in corso d’opera. La persona al centro, coi suoi bisogni e pure i suoi dubbi, diventa il target del nuovo mercato, per tutte le differenti figure professionali presenti in Rete.

Tra dieci anni le offrirò un caffè e rideremo insieme del mondo digitale 2018. Dove stiamo andando, quali sono le grandi rivoluzioni che ci attendono all’orizzonte?

Fra dieci anni…dunque, vediamo. Per scherzare le risponderei: «anche il 2028 sarà l’anno dei video», ma la realtà è molto, molto lontana. Sicuramente chiederemo un caffè ad alta voce senza la presenza di un barista, e ci verrà pure chiesto se lo vogliamo espresso, macchiato o in tazza grande. Indubbiamente, l’Internet of Thing avrà dominato usi e consumi. Io non amo la fantascienza e un po’ di timore ce l’ho: che il futuro sia la fantascienza di ieri e di oggi.

Parlando sul serio, verrà data importanza e spazio illimitato alla Realtà Aumentata, ma mi sento di affermare che gli scenari del futuro sono ancora piuttosto indecifrabili. Come dice l’informatico imprenditore Stefano Quintarelli «Nel gioco del futuro non conta vincere, conta saperlo guardare, comprendere, rigirare, accogliere con cuore aperto e mente serena, senza cedere alle obiezioni, alle ottusità, alle resistenze che hanno reso il presente di questo Paese una scocciante perdita di tempo e di energie».

Come tutti, dunque, il mio timore deve per forza tramutarsi in accoglienza del “diverso e nuovo”, mettendo in pratica più che mai il concetto psicologico di adattamento. Di capacità di cambiare, non ponendo paletti irremovibili, non negando di dover imparare qualcosa di nuovo, non perdendosi nemmeno dietro ai sogni poiché di lavoro da fare, per tutti noi, ce n’è tanto davvero.

Buon lavoro e buona vita!

Per approfondire:

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