Il Museo delle Culture inaugura un nuovo spazio espositivo con una mostra di Steve McCurry dedicata agli animali. Il progetto, curato da Biba Giacchetti, pone le basi di un work in progress che porterà a un nuovo libro per la fine del prossimo anno.
Il fotografo di Philadelphia è noto al grande pubblico per il ritratto iconico della ragazza afgana dagli occhi verdi e, conoscendo il suo lavoro, non sorprende che molte delle 60 foto di Animals siano nate ritraendo persone con addosso i loro cuccioli: siano topi bianchi, pastori tedeschi o colombe.
Ma come si fa, gli ha chiesto Biba Giacchetti alla presentazione della mostra, a ottenere da un babbuino uno sguardo altrettanto intenso? Il segreto, ha scherzato McCurry, è la prontezza. Ritrarre gli animali è come ritrarre le persone: si cerca sempre di stabilire un rapporto, solo che la loro attenzione di solito dura meno.
La verità è che con gli animali il ritratto non basta più, perché quel che bisogna raccontare sono le ricadute dei comportamenti umani sul mondo della natura.
Quella che McCurry sembra infatti articolare è una sorta di storia naturale dei rapporti uomo-animale, un racconto in cui le più diverse tradizioni culturali si intrecciano agli sforzi di adattamento dei più diversi animali (da compagnia, da lavoro o da combattimento). “Le vite degli animali” ha osservato McCurry, “sono piene di difficoltà e sofferenze, ma ho notato che lo stesso vale per noi, e questa analogia mi ha colpito”.
È interessante che il Museo delle Culture abbia scelto di inaugurare questo nuovo spazio dedicato alla fotografia d’autore presentando i primi tasselli di questa antropologia animale in anteprima mondiale.
“Il mio lavoro che considero più importante” ha dichiarato il fotografo rispondendo a una domanda dal pubblico, “è quello che ho realizzato durante la prima guerra del golfo, dove a fare da cornice erano le conseguenze catastrofiche di una guerra scellerata” (una storia di atrocità ambientali, ha aggiunto, oltre che militari e civili).
In molti casi, dietro queste foto non c’è una vera storia, ma attimi fuggevoli, che il fotografo cerca di cogliere senza retorica, come il cane da pastore Kuchi portato in bicicletta al combattimento. O situazioni che il fotografo cattura quasi per caso, e che col senno di poi sembrano suggerire racconti sospesi, che consentono a chi osserva di farsi co-autore di storie, colmando le lacune narrative, mobilitando la propria sensibilità, proiettando emozioni e ricordi.
È quanto sembra accadere nella foto che ritrae un cucciolo di elefante accanto al suo guardiano, appoggiati a una roccia. Mentre il secondo è intento a leggere, il primo si sta solo grattando, ma la magia dello scatto fa sembrare che voglia scoprire cosa l’altro sta leggendo. La mostra rimarrà aperta fino al 31 marzo.