Politica & popcorn Europee, ormai la politica è social. Ma le regole?

Di queste elezioni europee sappiamo già almeno tre cose: che probabilmente cambieranno il volto politico dell'Europa, che le tematiche saranno prevalentemente divisive e polarizzanti, e che – prima...

Di queste elezioni europee sappiamo già almeno tre cose: che probabilmente cambieranno il volto politico dell’Europa, che le tematiche saranno prevalentemente divisive e polarizzanti, e che – prima o dopo il voto – torneranno le polemiche sulla (mancata) regolamentazione della propaganda politica sui social network.

Infatti, per quanto sia fondamentale la forma che avrà l’Europa dopo le urne, ancora una volta la pubblicità politica sui social media non è stata regolamentata.

Eppure, è innegabile che le leggi a cui facciamo riferimento siano datate: una è del 1956 (Norme per le discipline della propaganda elettorale), l’altra del 1993. Grande novità fu – nel 1999 – l’equiparazione tra tv pubbliche e “servizi di rete” introdotta nella legge sulla Par condicio. Tutte queste norme però si sono rivelate inadeguate di fronte alla diffusione e all’enorme pervasività del web e dei social network – soprattutto nella vita pubblica e politica. Per questo, le sollecitazioni a favore di un intervento in materia sono stati diversi, provenienti soprattutto da realtà pubbliche e private; una su tutte, la Fondazione Openpolis, che in occasione delle scorse elezioni politiche ha attivato un servizio di monitoraggio (poi bloccato da Facebook).

Adesso che le europee cominciano ad avvicinarsi, il tema ritorna d’attualità. Lo troviamo, ad esempio, nell’intervista di Repubblica a Tim Berners-Lee, fondatore del World Wide Web. Nell’intervista, Berners-Lee riaccende il caso mettendo in luce la differente regolamentazione tra gli spot tv, che in molti paesi è stringente, e i social, lasciati liberi da regolamentazioni.

Come tutti i temi complessi, anche questo presenta però due facce della stessa medaglia. Da una parte (ed è bene non dimenticarlo) i social media hanno dato spazio a realtà piccole, non titolari del diritto di accesso per i motivi più disparati; han permesso loro di organizzarsi, di avere voce, di essere conosciute e riconoscibili su territori più ampi di quelli in cui sono geograficamente operativi. D’altra parte, la regolamentazione assicurerebbe il diritto e la parità di accesso a tutte le forze politiche, imponendo inoltre il rispetto di norme di trasparenza e di responsabilità sulla loro propaganda. Sarebbero così più difficili le ingerenze esterne (straniere e non) e diventerebbe più complicato dare vita a propagande “occulte”, magari con contenuti indirizzati solo a nicchie non convenzionali, oppure diffusi in gruppi privati o con limitazioni alla visibilità o tramite canali inaspettati, come pagine Facebook di altra ispirazione.

Il tema è importante, e ci riguarda tutti. Per citare un esempio di Openpolis, “camminando per strada tutti vediamo gli stessi manifesti elettorali, su internet ognuno di noi vede pubblicità politiche differenti”. Le sponsorizzazioni online, infatti, permettono di indirizzare determinati messaggi solo ad alcuni target, rendendo difficile una conoscenza piena dei fenomeni politici.

In vista delle elezioni europee, Facebook ha preso l’impegno di ampliare il suo strumento di monitoraggio delle inserzioni politiche, già attivo in alcuni paesi (Stati Uniti, Brasile, India, Regno Unito). Con questo strumento, i partiti hanno l’obbligo di registrarsi, e le campagne che vengono attivate andranno poi a creare un archivio che conserverà tutti i post sponsorizzati. Inoltre, sono state da tempo realizzate delle modifiche nelle pagine a sfondo politico, come l’inserimento di una tab che mostri le inserzioni attive, o regole più stringenti sul cambio nome delle pagine (per evitare che pagine con volumi ampi di pubblico diventino canali di propaganda a insaputa dei propri follower).

Ad oggi, però, nulla è cambiato. E la buona volontà non basta. Affidarsi alla auto-regolamentazione è un rischio, soprattutto perché richiede impegno, assunzione di responsabilità, obbligo di trasparenza e limitazione delle risorse impegnate in questi campi.

Regolamentare, quindi, non conviene proprio a tutti: non bisogna dimenticarsi che Facebook (così come gli altri FAANG, sigla che indica il gruppo Facebook Apple amazon Netflix e Goole, i colossi del web) fa riferimento alla Facebook Inc, azienda con un fatturato di circa 40 miliardi di dollari.

E qual è l’obiettivo di ogni azienda? Sicuramente, non quello di porre limiti ai propri introiti per colmare un vuoto normativo.

Anzi.