La scrittura, la letteratura, il cinema, la moda, l’arte del Giappone, almeno in questo momento della storia, possiedono la chiave per raccontare il nostro tempo, la sua velocità, e dentro questa inafferrabile velocità la nostalgia di una silenziosa, ipnotica lentezza: la pennellata rapida e la carta che assorbe, paziente e duratura custode, il segno
Ci sono libri che non passano mai di moda e Iro Iro di Giorgio Amitrano è uno di quelli. È per questo che, nonostante sia uscito lo scorso anno, lo recensisco solo ora. Perché è un libro che vale la pena leggere sempre, prima di partire oppure appena ritornati da un viaggio nel Sol Levante. Ma anche se uno in Giappone non dovesse andarci mai, ma quella cultura volesse anche solo sognarla. Amitrano d’altra parte è uno che non ha bisogno di presentazioni e chi si interessa di cose giapponesi lo conosce molto bene: professore di letteratura giapponese all’Orientale di Napoli, traduttore tra le altre cose di Haruki Murakami e Banana Yoshimoto è stato già Direttore dell’Istituto di Cultura Italiana a Tokyo.
Ho letto Iro Iro appena uscito e ricordo la piacevole sensazione che ho avuto durante la sua lettura che per me è stata un’ avventura molto intima. Vi ho, infatti, ritrovato un po’ della mia esperienza e alcune frasi illuminanti che, dopo averlo letto, ho utilizzato quando qualcuno mi chiedeva di parlare di Giappone. È per questo che spesso mi ritrovo a sfogliare le sue pagine, a rileggere le parti sottolineate, a aprilo nelle parti segnate dai post-it che vi ho attaccato per non dimenticare, quelli che vedete nella foto di questo articolo. “Iro Iro” è, insomma un libro da usare, una sorta di bussola necessaria per capire qualcosa di più, ma bisognerebbe dire per capire meglio il Giappone.
Il libro, a metà tra il saggio e la memoria personale, è diviso in sette capitoli ognuno dei quali è dedicato a un tema identificativo della cultura giapponese. Una sorta di zibaldone –Iro Iro, in giapponese significa “varie cose” – scritto in punta di penna, ricco di riflessioni, di ricordi e di pillole di saggezza che aprono un mondo sulla molteplice, eccessiva e contraddittoria realtà nipponica. Per chi come me si è formata all’ombra della cultura del Sol Levante trovare nero su bianco riflessioni che uniscono la cultura classica giapponese e quella contemporanea occidentale è stato un vero piacere. Sono particolarmente affezionata a quella sul parallelismo tra le Note del Guanciale di Sei Shonagon – leggendo Amitrano si capisce anche come vada letto quel libro fondamentale della letteratura giapponese che alla fine è solo una lista di cose e sentimenti – e il film di Peter Greenaway, che ho molto amato e che ovviamente andai a vedere appena uscì nel 1993. Ricordo che nonostante il film fosse molto bello, sapendo che Greenaway si era ispirato a Note del Guanciale, uscii dalla sala con un grosso punto interrogativo che mi girava sopra la testa. Chissà cosa mi immaginavo di vedere in un’opera ispirata al capolavoro di Sei Shonagon, ma di fatto, come dire, la visione di Greenaway mi aveva lasciato un po’ perplessa. E ancora oggi, quando riguardo quel film, mi accompgna sempre una sensazione di incompletezza. Ecco, Amitrano deve aver provato, almeno in parte la mia stessa inquietudine, quando analizzando alcuni film tra cui questo, chiosa con “come accadeva spesso in passato, e meno spesso oggi, gli intellettuali e gli artisti che si accostano al Giappone sono affascinati dalla superficie e trascurano l’essenza”. Leggere questa frase per me è stato un po’ un sollievo perché alla fine i libri, quelli che ci dicono qualcosa, quelli che ci parlano, ci raccontano già qualcosa di noi, ci fanno sentire un po’ meno soli. Questo è stato per me, ma suppongo per molti, la lettura di Iro Iro, un libro che nella sua forma divulgativa annuncia limiti e misunderstanding ed apre letture diverse e rivelatrici su molti aspetti della cultura giapponese.
“Gli stranieri hanno spesso difficoltà a capire queste regole non scritte e a entrare nello spirito giusto. Penso che sia uno dei casi in cui più si avverte la differenza tra l’approccio giapponese e quello degli stranieri, ai quali bisognerebbe ricordare che quando l’atmosfera si scalda e il tasso acolico sale, il divertimento potrà anche essere dionisiaco, ma lo spirito resta confuciano”
16 Aprile 2019