L’Ucraina è un paese spaccato. Sia perché la Crimea non c’è più e il Donbass è diventato un protettorato filorusso, sia perché, come hanno dimostrato per l’ennesima volta le elezioni (in questo caso presidenziali, ma per parlamentari e amministrative è la stessa cosa), la distribuzione del voto indica che all’est e al sud si vota in una determinata maniera, al centro e all’ovest in un’altra.
Al di là dell’uomo nuovo Volodymyr Zelensky, che tanto nuovo non è, ma che la popolarità di comico ha portato a riscuotere grande successo in maniera geograficamente (e non solo) trasversale, basta dare un’occhiata ai risultati nelle varie regioni per capire che l’ex repubblica sovietica è ancora profondamente divisa.
Petro Poroshenko e Yulia Tymoshenko si affermano nelle regioni occidentali, dove Yuri Boiko raccoglie poco più che briciole; i rapporti si invertono al sud e all’est, dove Boiko e Olexandr Vilkul fanno man bassa.
Ci si trova insomma di fronte alla perenne divisione interna, che all’estero viene sempre declinata in maniera semplicistica come una sfida tra filoccidentali e filorussi, quando la realtà è un po’ più complessa. Come nel caso delle rivoluzioni del 2004 e del 2014 la componente geopolitica internazionale viene dopo le questioni interne tra i poteri forti ucraini che solo in parte sono riconducibili a posizionamenti sullo scacchiere internazionale.
Poroshenko ha fatto la sua campagna elettorale con toni patriottici, nazionalistici e antirussi, ponendo la scelta tra lui e Vladimir Putin. Gli ucraini lo hanno bastonato ben bene, al ballottaggio rischia grosso contro Zelensky, votato in massa al primo turno. Non tanto perché sia un agente del Cremlino, quanto perché la maggior parte degli ucraini, che se sono ingenui però fessi non sono, ha visto cosa ha combinato Poroshenko negli ultimi cinque anni (e prima, visto che salta di cavallo in cavallo, da est a ovest, dalla fine degli anni Novanta).
L’establishment ucraino, politico ed economico, cioè oligarchico, formatosi dopo il crollo dell’Urss e l’indipendenza da Mosca, non è mai riuscito (non si è mai occupato della questione, a dire il vero) a conciliare le diverse anime di un Paese che storicamente ha avuto e ha un’identità fragile, perché molto differente nelle sue componenti. La crisi del 2014, l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass, hanno rafforzato l’identità ucraina nell’immaginario collettivo in senso antirusso, ma le divergenze interne sono rimaste.
Molto difficilmente Zelensky, se diventerà presidente, potrà risolvere i problemi dell’Ucraina. La fiction Servitore del popolo è una cosa, la realtà un’altra. Tanto meno il giovane comico è un uomo solo al comando, ha un’abile team alle spalle (qualche transfuga da quello di Poroshenko, il che dice molte cose), coperte anche dagli oligarchi che si sono stufati dell’attuale capo di stato. È però la prima volta (a parte Leonid Kravchuk nel 1991) che un candidato alla Bankova ha un consenso notevole in tutto il paese, segnale che gli ucraini vogliono almeno una faccia diversa.