Abbiamo vinto. Gli antifascisti hanno vinto. Il Salone del Libro è cominciato senza lo stand della casa editrice di Casa Pound. Con un lungo articolo in 10 punti Wuming , ovvero il primo soggetto letterario ad aver annunciato la propria “secessione” dal Salone rivendica le ragioni e il merito della propria scelta ponendosi in una sorta di avanguardia culturale e politica. Eppure ad uno sguardo meno superficiale l’espulsione della casa editrice Altaforte dal Salone del libro di Torino non è stata una vittoria della politica ma piuttosto della biopolitica. Finchè infatti il dibattito è rimasto tra gli scrittori nostrani, sull’opportunità o meno di partecipare, in uno spettacolo di reciproca delegittimazione non proprio edificante, la situazione sembrava avvitarsi senza uno sbocco. E’ stato poi il “no” di Alina Birembaum, la sopravvissuta, direttrice del museo di Auschwitz, chiamata per inaugurare l’edizione del Salone dedicata al centenario di Primo Levi, a far definitivamente precipitare la situazione e convenire gli organizzatori circa l’inopportunità della presenza di Alta Forte.
In tutto il lungo ragionamento di Wuming questo dettaglio non trova alcuna menzione. E’ un po’ come fare i conti senza l’oste, è un po’ come alzare la palla ma farla schiacciare al giocatore di un’altra squadra e pretendere di averlo segnato noi quel punto. E invece quel giocatore gioca su tutto un altro piano, non il piano della politica, del progetto, ma quello della biopolitica, della testimonianza, non quello del “logos” il ragionamento, ma quello della “sarx”, la carne. E’ di fronte alla carne, a una carne che porta in maniera indelebile il marchio dell’umiliazione e dell’oppressione che gli organizzatori della fiera hanno sacrificato il principio della libertà di espressione riconoscendo una sopravvenuta inopportunità culturale e politica della presenza della casa editrice neofascista. Niente lo spiega meglio che le parole di Alina Birembaum: “nella mia vita ho sofferto troppo per poter essere nello stesso posto di persone che propagano le idee a causa delle quali ho perso tutta la mia famiglia”.
Di fronte a queste parole non ci sono principi che tengono. La forza di quella testimonianza e del suo passato, si impongono in modo assoluto e incontrovertibile. Ma quando quel passato vissuto non ci sarà più, quando quella carne ferita cesserà di vivere e magari una casa editrice pubblicherà un altro libro su un altro ministro dell’interno che suscita reazioni antifasciste, quale sarà l’arma finale, il bottone dell’espulsione? Quali saranno gli anticorpi che renderanno immune dal contagio il corpo sociale?
Domande queste che non trovano, né potrebbero, risposta nel lungo articolo di Wuming.